Capitolo terzo
Analisi dei risultati
In questo capitolo vengono presentati tutti i risultati delle risposte alle quindici domande del questionario, divise per le tre tematiche oggetto dell’indagine, inserite all’interno di un quadro di riferimento più ampio.
3.1 Il rapporto con la religione
Come precedentemente illustrato, la religione o “fattore religioso” è stato individuato come il primo ambito da indagare. Si consideri, infatti, che un soggetto musulmano residente in un Paese dove la maggioranza dei cittadini non è musulmana si trova ad affrontare problematiche che invece in un Paese islamico non avrebbe.
In un paese dove si è minoranza religiosa, in un momento storico in cui le comunità islamiche e i propri fedeli non sono ben visti da alcune fasce della popolazione, la religione diventa il primo modo per riappropriarsi di una propria identità che affonda le radici nell’Islam o, comunque, di ribadire la propria fede o “riscoprirla”.
In questo percorso di costruzione della propria identità, si assiste con frequenza a processi di re-islamizzazione da parte dei musulmani europei, ossia dinamiche che portano alla “riscoperta dell’identità religiosa dell’individuo con conseguente avvicinamento profondo alla fede e all’osservanza della pratica religiosa”.
C’è da considerare infatti che spesso, in terra di diaspora, diversi musulmani, specie tra le prime generazioni, hanno un approccio meno ‘interessato’ alle questioni religiose e l’Islam, visto più “come parte del proprio patrimonio culturale che come strumento di identificazione religiosa”; altri ancora tendono a perdere le proprie radici religiose e spirituali. Ecco quindi che invece la re-islamizzazione funge da riscoperta della propria identità religiosa e della propria fede islamica.
Spiegare perché oggi siamo di fronte ad un fenomeno di ‘revival religioso’ o ‘ritorno all’Islam’ è complesso e richiederebbe anche l’analisi di fattori sociali, culturali, di integrazione, etc.
A titolo di esempio, un’intervistata durante la fase preliminare della ricerca ha espresso questa problematica in maniera molto significativa:
Per quanto mi riguarda, i miei genitori non hanno avuto la possibilità di un’istruzione e ciò che mi hanno insegnato non è nient’altro che quello che è stato spiegato loro dai propri genitori o ciò che hanno sentito da altre persone, ma non conoscono tutto il Corano, la sua spiegazione, le storie dei profeti (da cui si prendono esempi di vita e comportamento), le regole della preghiera, gli esempi del Profeta, i cosiddetti racconti (hadith) riportati dai suoi compagni. L’islam è una religione molto ampia e ci si impiega veramente tanto tempo a conoscerla fino in fondo. Inoltre c’è da considerare che crescere in paesi non islamici, può portare la persona a seguire meno la pratica religiosa, soprattutto nel periodo adolescenziale, e cosicché quando arriva ad un’età adulta si trova senza sapere quasi più nulla della propria religione.
Ciò comporta che “il percorso di riscoperta della fede, emerge come risposta a bisogni diversi, che nascono nel raffronto tra il singolo, il paese di partenza e quello di arrivo. Ed è soprattutto il confronto con il paese di immigrazione a favorire l’avvicinamento all’Islam […] Il processo di ridefinizione della propria condotta di vita sulla base del riferimento religioso rende la religione stessa un sistema di condotta e di azione pratica. In tal caso, l’Islam costituisce un codice morale che permea di significato tutte le attività mondane”.
Vivere in un contesto non islamico è una sfida importante per i musulmani, sia per i figli degli immigrati sia per gli stessi genitori.
Gli approcci però sono ben diversi: i genitori, infatti, non hanno l’assoluta necessità di ambientarsi in questo paese: arrivati già in tarda età, quasi sempre per motivi di lavoro, con un’identità già ben definita, sono legati ancora fortemente ai valori culturali e tradizionali del paese di origine e con il desiderio di poterci un giorno ritornare, una volta raggiunto il benessere a cui aspiravano.
I figli dei migranti musulmani, invece, sono arrivati in Italia in giovane età o sono nati qui: frequentano le scuole italiane, i quartieri, parlano la lingua italiana.
Renata Pepicelli, tra le massime esperte italiane sulle comunità islamiche, osserva che “volgersi verso la religione non è percepito come un ritorno al passato, ma piuttosto come un’espressione di ridefinizione individuale e collettiva profondamente calata nella contemporaneità… differentemente dalle madri e dai padri che nei decenni addietro nascondevano i segni identitari dell’Islam, vuoi per convinta adesione a uno stile di vita laico, vuoi per strategie di ‘mimetismo’, diversi figli e figlie delle migrazioni oggi rivendicano orgogliosamente l’identità musulmana. Rifarsi all’Islam dell’umma può rappresentare un senso identitario forte anche tra chi non si considera particolarmente praticante. Per questi ultimi l’Islam è una dimensione sociale e socializzante”.
La vita dei giovani è quindi caratterizzata da un doppio binario, sia rispetto alle proprie famiglie di origine, che non vivono allo stesso modo il passaggio ad un contesto socio-culturale diverso, sia rispetto ai coetanei italiani, da cui sono comunque percepiti come “diversi”.
Inoltre, a partire dall’11 settembre, data considerata ormai nell’immaginario collettivo come l’inizio dei problemi con una parte del “Mondo Islamico”, essere musulmani comporta “un continuo doversi dissociare, discolparsi. Da grandi a piccoli: perché sì, nessuno ci pensa forse, ma anche i bambini si ritrovano a chiedersi: “cosa c’entro io, in tutto questo?”. Il giovane musulmano che v...