La democrazia a una dimensione
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Percorsi filosofici su modernizzazione, laicità e costituzione

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Percorsi filosofici su modernizzazione, laicità e costituzione

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Questo testo torna a riflettere sul modello di razionalità che ha ispirato il costituzionalismo liberale e sull'idea di laicità che a esso si richiama. Un modello che nel corso del Novecento è stato tragicamente travolto dai totalitarismi e che oggi appare nuovamente in crisi. È necessario indagare sulle cause di tale crisi – come ormai si fa da prospettive diverse ma convergenti – risalendo anche al modo, troppo meccanico e lineare, con cui quel modello di razionalità, sorto nell'ambito della rivoluzione scientifica, è stato trasferito in ambito sociale e politico, dando inizio, a sua volta, a una rivoluzione antropologica. I processi di modernizzazione costruiti su questa base hanno liberato le spinte all'autoaffermazione individuale e all'innovazione economica, ma non si sono rivelati altrettanto capaci di garantire una convivenza equilibrata e inclusiva. Si tratta di prendere atto che tali limiti, non contingenti ma strutturali, favoriscono il sorgere periodico di derive illiberali che tornano a mettere in discussione lo Stato di diritto e le sue irrinunciabili libertà; derive e regressioni che non possono essere arginate facendo ricorso soltanto alle risorse cognitive e morali messe a disposizione dal modello antropologico e politico liberale. Parte essenziale di questo lavoro è un confronto critico con alcuni autori – Löwith, Habermas, Fukuyama, de Giovanni, Butler – che sui limiti del liberalismo classico si sono interrogati, ispirandosi variamente al pensiero politico hegeliano.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788857557816
1.
Liberalismo e laicità tra storia e ideologia
Democrazia e ragione laica
Quando si parla di laicità, la premessa condivisa da (quasi) tutti è che essa sia una condizione necessaria per qualificare uno Stato come veramente democratico e liberale. È la laicità delle istituzioni, infatti, che permette la convivenza tra diversi orientamenti ideali e pratici, religiosi e non religiosi, in uno spazio pubblico pluralistico e paritario.
Ma come queste irrinunciabili finalità vengono concretamente realizzate? Conosciamo la risposta più usuale: ponendo a presidio dello spazio pubblico il criterio che stabilisce, e fa rispettare a tutti, una chiara demarcazione tra diritto e morale – tra ciò che è giusto e ciò che è bene, tra norme e valori. Il primo termine di ciascuna di queste coppie indica ciò che è cogente, vincolante per tutti; il secondo, viceversa, ciò che è riservato alla libera scelta soggettiva, che non soggiace a imposizioni da parte di altri, ma solo ai limiti di legge.
Sembra salvaguardata, in tal modo, sia l’universalità della legge sia la libertà di scelta personale; riconoscendo però che la prima è la condizione che rende possibile la seconda.
Questa idea di laicità appare così convincente – quasi ovvia – da non richiedere particolari giustificazioni. Come se l’autoevidenza, di cui sembra provvista, rendesse inutile qualsiasi domanda intorno alla sua origine, al contesto storico-culturale in cui si è affermata e, infine, alla sua validità per noi, per il nostro contesto.
Ma è davvero così? Oppure può essere utile tornare a riflettere sui presupposti della ragione laica, e sulla concezione della democrazia che vi si connette?
Il cammino della laicità è iniziato con la volontà dei moderni di porre i principi universali della ragione a fondamento sia della conoscenza della natura, sia della convivenza sociale. Tale volontà ha dovuto innanzitutto liberare il campo:
– dalla sacralità della natura (con conseguente disincanto e rifiuto del pensiero magico);
– dalla sacralità del potere politico (con il progressivo dislocamento dei riferimenti etico-religiosi dalla sfera pubblica a quella privata).
Si è così avviato il processo di “razionalizzazione”, con la sua trama di idee “rivoluzionarie”: secolarizzazione, laicità, primato del sapere tecnico-scientifico. A partire dal XVI-XVII secolo, la razionalizzazione è apparsa come “la sola condizione dell’agire dell’individuo moderno”, come un “destino storico irreversibile” (Weber), una strada che, una volta imboccata, non avrebbe consentito alcun ritorno all’indietro.
Ma a che cosa non si doveva più fare ritorno? Alle credenze tradizionali, ai miti religiosi comunitari, ai saperi – presunti e inverificabili – del passato. L’uomo moderno, che “ha assaggiato il frutto dell’albero della conoscenza razionale”, non può più soggiornare nei luoghi incantati della tradizione religiosa. Qualsiasi racconto religioso, qualsiasi credenza tramandata e condivisa, appare improvvisamente come un’illusione, un autoinganno, in quanto non accetta di confrontarsi con i “limiti” dettati dalla ragione.
Ed è per questo che l’agenda della razionalizzazione prevede, nella sua pars construens, un radicale ri-orientamento dell’immaginario degli individui, a partire da quello religioso, oltre ad una nuova organizzazione dello spazio pubblico.
Il mondo sociale, quello che tutti condividono, deve ora essere fondato su regole razionali, comprensibili e accettabili universalmente, e non sulle improbabili mitologie del passato. La ragione è la facoltà che gli uomini posseggono in comune e che li pone in una condizione naturale di eguaglianza: su di essa occorre far leva per costruire una comunità davvero evoluta. L’umanità potrà uscire dall’oscurità e dall’inganno del pensiero magico soltanto se la ragione diventerà il perno di una nuova religio politico-sociale. Essa, come un Giano bifronte, da una parte mostra i criteri, assoluti e indiscutibili, con cui lo Stato moderno è chiamato a governare la sfera pubblica; dall’altra ha il volto, liberale, del pluralismo e del relativismo etico. Ed è proprio attraverso la rigida osservanza dei criteri della ragione, dichiaratamente avalutativi e metodologici, che si apre la via per la libertà e per la varietà delle scelte etiche personali.
Laicità e epistemologia
Per la scienza moderna il mondo dei fenomeni naturali, per poter essere conosciuto, deve essere sottoposto preventivamente al filtro dei criteri logico-formali della ragione, senza del quale le rappresentazioni della realtà non sarebbero attendibili, perché basate su semplici impressioni soggettive.
L’esercizio della ragione per diventare produttivo (di conoscenza) richiede perciò il rispetto di precise regole d’impiego, come chiarisce Cartesio nel Preambolo del Discorso sul metodo:
Il buon senso è la cosa del mondo meglio ripartita: ognuno pensa di esserne così ben provvisto che, coloro stessi che sono più difficili ad accontentare in ogni altro campo, non desiderano averne di più di quel che ne hanno. Ora è inverosimile che tutti s’ingannino; ciò vuol dire piuttosto che la facoltà di giudicare rettamente, e distinguere il vero dal falso – che è quel che si chiama propriamente il buon senso o la ragione – è per natura identica in tutti gli uomini e, ancora, che la diversità delle nostre opinioni non proviene dal fatto che gli uni sono più ragionevoli degli altri, ma solo dal fatto che che noi conduciamo i nostri pensieri per vie diverse, e non consideriamo le stesse cose. Infatti non basta essere forniti di ingegno, quel che più conta è d’indirizzarlo bene.10
Ecco, dunque, individuata la sorgente della diseguaglianza – non naturale ma di fatto – tra gli uomini: è la diversa capacità nell’ usare il dono della mente in modo corretto, produttivo, cioè metodico. Al di là dei contenuti particolari, a cui si applica, è la forma del ragionare che consente di raggiungere la conoscenza vera. Salvaguardare questa forma, la sua intangibilità, è la premessa dell’intero processo di razionalizzazione.
Dobbiamo soffermarci ancora sul carattere formale della ragione, a partire dall’ambito conoscitivo. La scienza moderna presuppone che i principi della ragione siano posti al di sopra del mondo dell’esperienza, lo trascendano, e nel contempo lo pongano sotto il loro dominio. Kant, a questo proposito, ha fatto ricorso alla metafora della “rivoluzione copernicana”, per designare il momento in cui le forme pure e immutabili della ragione logico-matematica sono divenute il punto fisso intorno a cui i contenuti mutevoli dell’esperienza hanno cominciato a ruotare, venendone rischiarati:
Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su un piano inclinato, con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all’aria un peso, che egli stesso sapeva già uguale a quello di una colonna d’acqua conosciuta…fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno e che, con principi de’ suoi giudizi secondo leggi immutabili, deve essa entrare innanzi e costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per così dire, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria, che pure la ragione cerca e di cui ha bisogno.11
Su questo punto specifico, va registrata la sostanziale unità che si riscontra nella gnoseologia moderna. Dove troviamo una varietà di posizioni: innatismo, convenzionalismo, empirismo, trascendentalismo; tutte quante concordi, però, su un punto decisivo, e cioè sulla netta separazione tra i contenuti della conoscenza, da una parte, e i principi dall’altra. Anche se in disaccordo riguardo all’origine di tali principi, tutti gli orientamenti sopraindicati attribuiscono ad essi un identico carattere astratto e formale. Ed è questo carattere ad evidenziare l’analogia tra epistemologia, politica e laicità. Come, in campo gnoseologico, i principi non determinano nessun contenuto particolare ma fissano le condizioni a cui qualsiasi contenuto deve sottostare per poter essere riconosciuto come oggettivamente vero; allo stesso modo, le regole dello “stato di ragione” non prescrivono alcuna condotta particolare ma solo criteri giuridico-formali, a cui qualsiasi condotta deve uniformarsi per essere considerata legittima.
Quello tra forma (razionale) e contenuto (sensibile) si configura come il rapporto “tra due termini connessi ma mai del tutto corrispondenti” e, piuttosto, tali da costituire “una dualità che tende all’unità attraverso la sottoposizione di una parte al dominio dell’altra”12.
Il primato d...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. PARTE PRIMA
  3. 1. Liberalismo e laicità tra storia e ideologia
  4. 2. Confronti sul moderno
  5. 3.Politica tra filosofia antica e scienza moderna
  6. 4. Modernità e “fine della storia” in Hegel
  7. PARTE SECONDA
  8. 5. Correggere la modernizzazione. J. Habermas
  9. 6.Un revival hegeliano, sul finire della guerra fredda. F. Fukuyama
  10. 7. Il concetto di mediazione
  11. 8.Riconoscimento, democrazia, corporeità
  12. Conclusione
  13. Appendice