L'inførme
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L'informe, figlio incerto della volontà di metter fine al rapporto tra Kunst und Rasse (1928), è furiosa dinamo che sconvolge e scompagina – sin dentro la sua esasperata dialetticità – tutto quel che assieme a esso alberga nella rivista "Documents" (1929-30). Grave errore sarebbe, dunque, considerarlo nei limiti del vocabolo o dell'immagine: esso è quasi l'estremo di un fuor-di-segno, indecifrabile e capace di mimarla propria presenza sul "foglio del mondo";romito nella propria invisibile solitudine, lì dove "ciò che è inganna il suo affermarsi". L'intentodi questo lavoro d'analisi è di far risorgere quella criticità che l'ha generato rivolgendolacontra Magistros Fetiales: criticità che non s'appresta al gioco della pacata inquietudine del ricercatore, bensì al manifesto gusto d'un verso ravacholiano; criticità necessaria affinché si sur-scriva quell'ipotesi fi gural-estetica alla quale l'informe era stato relegato e lo si restituisca alla casa del nulla, lì dove è d'ufficio e dove potrà esser funzione di destituenza.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788857569956
Cheder I – par. I
A nessuno sembra interessare
che dietro la maschera di Batman
ci sia il volto cianotico
dello scrittore Georges Bataille
All’ombra di questo verde groviglio giacciono i resti d’un arco antico, piccolo in verità se raffrontato alle vie di pietra liggiù a Gard13, ma di certo costruito ad ingegno e con medesima sapiente mano. Un miracolo di ridotte dimensioni, che arreso al tempo fa sfoggio del suo tutto sesto d’una muratura ancor solida, e lì dove il grillo splende distinguendosi dal lanuginoso muschio, altrove la sua luce va tutta disperdendosi in una costellazione di pietra che sconfina in altra pietra. Un macaone dalle ali rosse e nere vola nello spazio umido dell’intradosso eroso del suo poco bianco, ancora poche montagne in basso alle sue ali ed un’acrobazia ancora – all’indietro e poi risalendo piano in alto – verso il grande anello di bronzo arrugginito a far da boa in quell’oceano verde petrolio. Eppur questo terraneo Ozymandias, ben altro sembra essere che una pietra sul qual s’affatica lo sguardo dopo aver a lungo vagato; una memoria – o più un monito – quando, deposto il febbrile tramestar si prende a nota, infine, d’esser vivi, e forse dinnanzi ad evidenza di perità se ne gioisce, chi ne è a misura, solo perché ormai lontani anche da quella forma e ciechi ancora alle altre a questa prossime.
ll saper quella mole ormai quieta e pertanto limitata – fuor del suo uffizio – all’albergo suo lì in aperto, continuare a svettar, immota e sempre a sé, infuor dalla legge di città e dai suoi latori e così liberamente vivere, per il lampio d’un solo istante lo costrinse a guardar all’occhi fisso e così a ciò in pensier giunto – nonostante i suoi sforzi – a quel tutto dal quale aveva cercato ristoro e congedo; non che depensar la nuova e sfavillante Lutezia, i suoi tempi sol lanciati in divenire ed i suoi spazi, il rombar fragoroso d’un epoca dall’intimo del puro di Boemia; Lutezia come la Laputa scoperta, da quell’irlandese, faro di scienze e dove ogni essere è costretto al limite osceno d’una danza rapprossimata d’altri fiati ed altri sguardi.
Gérard14 sfilando tra l’edera avvolta al busto d’un grosso pioppo bianco, sogna una diversa età del mondo, non l’epoca di poche candele che dondolano al vento, piuttosto quella d’una sola teda portata da invisibile mano a quel glacial bracier, che sopisce in fondo all’animo. Un tempo solenne dove, oramai, in congiunta vita al fine della storia, sarà sacrilegio persino il vergarne parola e dove ogni terra farà abiura della propria discendenza, così mutandosi in irrequieto mare. Una carovana come bianca vela dispiegata – quella mole – e per solitaria mano d’un viaggiatore che vuol smemorarsi del suo giorno, e così sfila agile tra l’ossa rosse del mattone ed a raso, superando l’affanno donato da tanta pristina bellezza, vola e si costringe a saper il vero ed il giogo di quel deserto; ne sprofonda lambendone il rinfianco come fosse il petto d’un Cristo vittorioso sulla morte, ed al basso dell’abiezion dell’uomo, lì deposto. I piedi di malta cinti da una ghirlanda di rovi rinsecchiti e foglie rosse, mentre slanciato abbandona la scia di quel labirinto, non più adesso, ma in incontro all’ombra dei campi – e così ai covoni come lucenti torri di guardia – lestamente si rivolge. Mondato dall’usar pensiero, dal greve di dover per forza farsi uso, un felino s’appresta alla macchia e lascia, come se fosse inatteso il gesto, il boccone suo dilaniato, ed ogni altro indizio in terra; un sol occhio – ahimè indifferente – ne coglie la fuga e ci si sofferma per quel tempo che basta ad usmar in altrove la malolente salmodia che fa dell’uomo il più uomo. Il costringersi nell’affratellamento. Subitanea, scorrendo di geometria in geometria, s’alza al cielo un’apparizione di rossa umanità, fabbriche, carbone e serragli.
Novella Lutezia non sorella alla Capitolina, ma matrona del mondo nuovo.
Incedendosi al nuovo tempo dove la mano è frettolosa, smaliziata l’anima esile ed ai nuovi torpori trafelata e la miseria in giù sino all’opera del nero.
Il medesimo [tempo] che nel suo piccolo è al lebbroso piagato avvolto nel suo sudario di twill sdrucito, velo grigio di carbone e fumo; dissalato e raffermo il suo pane; smunto e ferito nei suoi giunti; scansato al di là sicché nessun occhio possa dolersene; sputato nel segreto fasullo della sua gibba caricata al dovere – di cui si fece carico sol perché Lui, per tutti l’altri ha sofferto – da chi pensa di possedere questi romito che in sua difesa, nonostante l’affannoso esser, peregrino va del suo bastone. Lebbroso questo [tempo] avanza d’ascosto in ascosto e di piazza in piazza, mendicando giustizia e legge là dove in vero si crogiolano i sogni sulle soglie di chi ha inventato a comodo suo, la mendacia del tutto. Scorre senza fatica di sdegno in sdegno; infimo a tutti questo cane dalla lingua penzoloni che s’abbevera alle pozze. Da tutti temuto con una fragorosa risata, come se il mondo fosse uno da sempre nella sua risposta stolida.
Ma il minor [tempo] sa già che al suo orizzonte prima o dopo i molti verso di lui il capo volgeranno. Non più alcun obolo di cera, ma una distesa di sabbia al cui centro torreggia la Padrona del suo scialle rosso vestita.
Od in grande [tempo] – or che va per mai volgersi indietro – sempre futuro a sé, in quella misura in cui è esclusiva ai nuovi Dei di ferro, oboli anch’essi alla scienza nova che ogni cosa dice al suo posto. Dei di cromo lucenti che bramano più d’ogni altra cosa che poggia ombra in terra, ottener la propria ragione e di poter dimostrarne necessità; disposti a tutto come è per un qualsiasi noviziante schiavo del suo zelo; nuovi Dei ora lì questi confabulano e mormoreggiano dove prima d’essi si andò celebrando l’inchino cortese.
I tetti blu di ciano al di sotto di un’onda ricurva di latta grigia a spuma bianco panna, incostante, screziata.
La città e le sue case già andavano disperdendosi tra le sue dita. Lunghe strade di lavico sin dentro la rossa terra da poco battuta di mille venature del nero e del marrone serpeggiano via verso ogni direzione. E più s’addentrava a quel mondo che dell’altro andava ad esser dimentico – e così ritmava il suo petto ad un respiro disteso, in sacrificato abbandono alla santa geometria del granverde – alle sue anse, ai suoi silenzi; strillano d’ogni dove fornai e ciabattini, dai ferracavalli e dalle nutrici una nuova rumorosa infanzia d’umanità, mentre in altro – nel suo profondo – ne lamentava il costretto addio all’ombra secreta, e non nascondeva in modo alcuno lo stridio d’un pensiero rapace, Come se fosse possibile far farsa del volto o d’un segreto la smorfia, di contro a quella affrettata e presta – sua – consegna ai lucenti ceppi e così ai muri di mattoni e così ancora a nuovo il patire. Una città dove sotto l’ombra d’un cappello il volto e la farsa d’esser uguali. L’impresa e la concessione del carnevale dei folli. Così mosso al gran strazio lento proseguiva. L’anima s’unisce al latrar dei cani nelle sale dell’ippodromo, mentre l’odor del letame sparsosi donava generoso il vero verso alla città di luce. Nessuna gloria gli sarebbe stata certo tributata al farsi minuto come fosse germe d’orzo, non dissimile ad altre infiniti schiacciati in quel medesimo sacchetto di granaglie posto sul bordo del mondo: la periferia come il bordo scheggiato della ciotola, inservibile per il verso sbagliato.
Camminava passandosi la mano al volto lungo rue Raynour. S’immolava la sua ombra, la sola cosa che fosse in grado di disperdersi, di fuggir una volta in più in avanti al suo corpo.
Il freddo della sera già s’era fatto pungente.
“Il numero 47 dovrebbe esser vicino”, proferì a voce bassa.
Case ancor in via di rifacimento e muretti bianco virati al grigio. Un labirinto, ulteriore. Il fango in ogni dove, colorito del sangue che rivola giù al basso dal bancone del macellaio è segnato da due rette parallele d’un carretto di stagnai che ritira verso nord. Quasi apparigliato ad un altare di fortuna. Di gran carriera, a passo di ruota svelta, prima che la lama della notte s’abbassi sui loro colli. Corrono, se è fortuna la loro, forse verso le baracche lassù a Nanterre; così svanisce l’asse di legno largo e polveroso di questa Medusa15 popolana al secondo cono di strada, portando sul suo dorso un mondo cavo e pieno di bugie. All’angolo della strada, quasi per errore s’intravede il brillio l’inatteso d’un cosmo al più basso grado: a mano d’uomo.
Ecco due solitarie zampe di bovino, zoccolo fesso e impiantato nella terra, poggiate al rosso divenutone alone e così anche aureola e santità, a queste lascia luogo al sospiro d’un qualsiasi S. Tommaso che passa di li e ne coglie il vero. Tozze, dipinte in fretta per esser abbandonate al passaggio d’una folla distratta, tra il bianco merlettato viola ed il rosso brunito della polvere. Intere sin che è consentito alla mente d’aggiunger dove non si può e poi ancora a farne Cookaygne pensandone gettate allo spreco. Ora, con quel poco di luce che filtra da...

Indice dei contenuti

  1. Κατάβασις
  2. Cheder – Éfes (אפס)
  3. Cheder I – par. I A nessuno sembra interessare che dietro la maschera di Batman ci sia il volto cianotico dello scrittore Georges Bataille
  4. Cheder I – Par. II
  5. Contra Magistros fetiales
  6. Cheder I – par. II (II) Didi-Huberman e Rosalind Krauss
  7. Cheder I – par. III La dialettica
  8. Cheder I – Par. IV Noli ab lege adolebitur, neque minus deus salvet
  9. Cheder I – par. V Come si entra in città non pagando il cencio?
  10. Cheder I – par. VI La comunità informe
  11. Cheder I – par.VII Olam Ha Tohu o cercar il caos-dentro
  12. Cheder I – par. VII (II) In limine Hypnerotomachia
  13. Cheder I – VII (III) Cosa alle avanguardie?
  14. Cheder I – par. VII (IV) Quid est in quotidianus?
  15. Ἀνάβασις
  16. Cheder I – par. I Informalità letteraria nei romanzi di Georges Bataille
  17. Cheder I – par. II Letteratura e strumenti
  18. Cheder I – par. III Bildungsromans und Verbildungsromans nella narrativa batailleana: il luogo del romanzo come spazio dell’etica deformante
  19. Cheder I – par. IV Bildungsromans und Verbildungsromans nella narrativa batailleana: il luogo del romanzo come spazio dell’etica deformante (II)
  20. Cheder I – par. V Fiche letterariaPiano di ridondanza: Post-libertinismo
  21. Cheder I – par. VI Fiche letteraria sulla poesia e sull’inutile
  22. Cheder I – par. VII Verbildung und Verbildungsromans la narrazione deformatrice di un valore invertito
  23. Cheder I – VII (II) Perché un romanzo è una mappa?
  24. Cheder I – par. VIII Verbildung come personaggio?
  25. Cheder I – par. IX Il personaggio informe
  26. Cheder I – par. X Analisi polare dell’informità nei romanzi fiche letteraria Histoire de l’œil – Storia dell’occhio
  27. Actus Informabilis I
  28. Actus Informabilis II
  29. Actus informabilis III
  30. Actus Informabilis IV
  31. Conclusioni su histoire de L’œil
  32. Cheder I – par. X (II) analisi polare dell’informità nei romanzi fiche letteraria Madame Edwarda
  33. Actus Informabilis I
  34. Actus Informabilis II
  35. Actus Informabilis III
  36. Actus Informabilis IV
  37. Actus Informabilis V
  38. Conclusioni su Madame Edwarda
  39. Bibliografia essenziale
  40. Manifesto per l’AufgÆben
  41. Cheder #000 Chi ancor non sono?
  42. Cheder #001 Flagellum Sibi, Flagellum Deum
  43. Cheder #001 ½
  44. Flagellum Sibi, Flagellum Deum
  45. Cheder #002 La vita infame
  46. Cheder #002 ½ La vita infame
  47. Cheder #003 Amorfocene I
  48. Cheder #004 Amorfocene II
  49. Cheder #005 Amorfocene II ½
  50. Cheder #006 Defectus