Per una filosofia del tra
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Per una filosofia del tra

Pensare l'esperienza umana sulla soglia

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Per una filosofia del tra

Pensare l'esperienza umana sulla soglia

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L'uomo è l'espressione di un'opposizione che lo rende anfibio in quanto vive in due mondi che si contraddicono: quello del finito, che lo rinchiude nella temporalità terrena, e il regno dell'infinito, del pensiero e della libertà. Questi due mondi sono accomunati dal fatto di essere entrambi ambienti del nostro vissuto, per cui non possono essere considerati incompatibili: vanno posti in una correlazione che, non potendo ignorare le loro differenze, produce un attrito animante, dal quale ha origine la cultura, la potente forza trasformatrice che crea il passaggio tra gli spazi della percezione quotidiana e dei saperi profani e quelli dell'indicibile. È questo il luogo intermedio immaginale, autentico tessuto connettivo che mette in relazione aspetti della realtà troppo spesso scissi e contrapposti, di cui gli autori tracciano le coordinate attraverso un'emergente filosofia del tra che spazia dall'antropologia alla psicoanalisi, dalle neuroscienze alla fisica, dalla geochimica alla teologia.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788857568003

Silvano Tagliagambe
Pensare sulla soglia:
la filosofia del tra

Il nomadismo dello spirito e il cosmismo

Quanto sia centrale e costitutiva, nel pensiero di Pavel Florenskij, l’idea di uno spazio intermedio, e quindi di un mondo “tra” che esige, per essere esplorato, un pensiero che sappia stare sulla soglia tra dimensioni diverse e assuma lo scarto, anziché la corrispondenza tra di esse, come proprio ambito di ricerca e d’azione, ce lo dice egli stesso con chiarezza e al di là di ogni possibilità di equivoco e fraintendimento nella prima delle dodici lettere nelle quali si articola La colonna e il fondamento della verità. Essa s’intitola, non a caso, “Due mondi” e pone subito, in termini espliciti, l’oggetto della questione:
Sì, nella vita tutto si agita, tutto vacilla in immagini di miraggio, ma dal profondo dell’anima si innalza la necessità ineluttabile di appoggiarsi alla “Colonna e Fondamento della verità” (στῦλος καί ἑδραίωμα τῆς ἀλήθειας) (1 Tim. 3, 15), della verità, τῆς ἀλήθειας, e non semplicemente ἀλήθειας, di una delle verità, non di una verità particolare, bonaria, umana, che si contorce e vola lontano, come polvere spinta verso i monti dal soffio del vento; della verità (Istina) integra ed eterna nei secoli, una e Divina, della Verità luminosa e sovraluminosa, di quella Verità-Giustizia (Pravda) che secondo un antico poeta è “il sole per il mondo” (Euripide, Medea, atto III, scena X, parole della corifea).1
Questi due mondi, per chi crede in Cristo e nel novum rappresentato nell’evento dell’incarnazione, pur restando distinti, sono anche ipostaticamente uniti nel Verbo incarnato e, per mezzo di Lui, lo sono anche, per lo Spirito Santo, in coloro che diventano “uno in Cristo” (Gal. 3, 28). Di ciò Florenskij è tanto consapevole da dedicare una parte significativa della sua riflessione al tentativo di superare il dualismo che lacera la coscienza moderna della realtà.
D’altro canto, però, egli è convinto che il rapporto tra i due mondi non possa essere posto in termini di “trasparenza” assoluta, di corrispondenza dell’uno rispetto all’altro, tant’è vero che il suo saggio Ikonostas, del 1922, è imperniato sull’idea del valore reale di separazione, di diaframma, che ha l’iconostasi nella chiesa ortodossa e sulla maggiore aderenza e significatività, proprio per evidenziare questo stacco, dell’opacità dorata del piano dell’icona rispetto al vetro trasparente della “finestra” prospettica rinascimentale. Questo spiega la sua attenzione e il suo costante interesse per gli aspetti di sdvig (scarto), la “frizione”, determinata dalla ricchezza inesauribile degli eventi e dei processi che vengono di volta in volta indagati e dall’apertura che ne consegue, in seguito alla quale gli uomini sono costantemente e inevitabilmente di fronte a una frattura che si aspira a comporre, a una sorta di fossato che si cerca di colmare senza mai poter riuscire a farlo compiutamente, tra rappresentante e rappresentato, tra “oggetto della conoscenza” e “oggetto reale”.
Questo scarto insopprimibile ci impedisce di vedere in modo diretto e trasparente e ci vincola a uno sguardo, espressione di un’articolazione tra il visibile e l’invisibile che Florenskij esprime con il termine skvoznoj, un concetto di luminosità interiore che F. Malcovati rende correttamente con “translucidità”2. La translucidità, ovvero quel grado di trasparenza di un corpo che consente di distinguere approssimativamente la forma, ma non i contorni, di un oggetto posto dietro di esso, è la condizione tipica delle realtà di confine, vale a dire di tutto ciò che, pur essendo estraneo alla coscienza, è tuttavia capace di entrare in un qualche tipo di relazione con essa, dimostrata dal fatto che è comunque in grado di far risuonare e produrre significati al suo interno, anche se, ovviamente, non in modo immediato, ma attraverso un prolungato lavorìo di scavo e di approfondimento e un processo di “visione attraverso” che ci mette in condizione di approssimarci a ciò che vogliamo conoscere senza renderlo mai trasparente e del tutto accessibile alla rappresentazione, magari attraverso una qualche misteriosa capacità che oltrepassi gli strumenti razionali di cui l’uomo dispone. In una nota autobiografica Florenskij scrive che “la cultura, come risulta chiaro anche dall’etimologia, è un derivato del culto, ossia un ordinamento del mondo secondo le categorie del culto. La fede determina il culto e il culto la concezione del mondo, da cui deriva la cultura”3. E ancora, nelle sue Lezioni sulla concezione cristiana del mondo, egli osserva: “La teoria del sacro, dicevamo. Chi l’ha studiata (gli inglesi: Frazer, Hubberrs, Smith, Jevons..., i francesi: Perlet, Hubert, Mauss...) sostiene che la cultura derivi dal culto. E a favore della teoria sacra si esprime anche l’analisi filologica. “Cultura” – participio futuro, così come “natura” – è ciò che svela le potenzialità del culto”4.
Proprio il fatto di raccordare il culto alla cultura e, attraverso questa, all’intera storia spirituale dell’umanità indica chiaramente come per Florenskij questa sorta di “barriera di contatto” tra lo spazio ultraterreno e l’ambito accessibile all’esperienza diretta, in cui si disloca, appunto, il sentimento religioso, sia un confine mobile, che l’uomo è in grado di spostare sempre più avanti via via che si innalza, di qualità e di livello, la sua ricerca culturale.
È importante sottolineare che l’idea di spazio intermedio ha una funzione fondamentale e centrale nella cultura russa e non è espressione soltanto di tendenze e aspirazioni di carattere religioso, ma emerge anche in un ambito strettamente scientifico. Cruciale, da questo punto di vista, è la figura di Vladimir Ivanovič Vernadskij (1863-1945), mineralogista e geochimico che ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo del cosmismo, di cui il figlio di Pavel Florenskij, Kirill, era uno stretto collaboratore.
Questo ricercatore, geniale e innovativo, profondo studioso della vita in tutte le sue espressioni, non si stancò mai di sottolineare come essa si manifesti e sviluppi all’interno di quel “grande sistema” che è la biosfera, la quale nel suo insieme è un complesso “meccanismo di trasformazione e traduzione”. Con questo termine ci si riferisce alla zona della crosta terrestre che si trova alla superficie del nostro pianeta e accoglie tutto l’insieme della materia vivente. Si tratta di un sistema interconnesso con quello planetario e profondamente interrelato con l’ambiente che lo circonda, per cui non può essere studiato prescindendo dal contesto globale nel quale si colloca. Esso costituisce un’infiltrazione nell’idrosfera (vita acquatica) e nella parte più superficiale della litosfera (vita terrestre), espandendosi per un’altezza di circa 5 km nella parte più bassa dell’atmosfera (nella troposfera). Se ammettiamo che esso occupi le profondità abissali delle acque e uno spessore di un paio di km della litosfera, rappresenta pur sempre una sottile pellicola, in confronto alle dimensioni complessive della Terra. Eppure, questa minuscola presenza assume un’importanza enorme, per le attività chimiche che essa svolge incessantemente, e che condizionano la composizione stessa dell’atmosfera, delle rocce, e di vasti giacimenti minerali. Basterebbe ricordare che forse tutto l’ossigeno dell’atmosfera è prodotto dalla fotosintesi, e che comunque tutto l’ossigeno dell’aria e delle acque ha più volte attraversato la biosfera compiendo una circolazione dall’atmosfera all’idrosfera dai tempi remoti a cui risale l’apparizione delle prime piante verdi. Se si pensa che proprio la fotosintesi agisce ormai da alcuni miliardi di anni utilizzando l’enorme disponibilità dell’energia solare e le grandi riserve originarie di anidride carbonica dell’aria per formare composti organici essenziali a tutta la vita del mondo, ci si può fare un’idea dell’importanza fondamentale di questo fenomeno nel divenire della biosfera. La materia organica vegetale è dunque una forma di accumulo dell’energia solare di enormi dimensioni, e proprio per questo Vernadskij sottolinea che:
[...] la biosfera è una creazione del Sole nella stessa misura, se non di più, di quanto è una manifestazione dei processi terrestri. [...] Essa, nella sua essenza, può essere considerata come una regione della crosta terrestre, occupata da trasformatori che cambiano le radiazioni cosmiche in energia terrestre attiva, elettrica, chimica, termica, ecc. Le radiazioni cosmiche provenienti da tutti i corpi celesti si estendono a tutta la biosfera, attraversano quest’ultima e tutto ciò che vi si trova. Noi captiamo e conosciamo solo una parte infinitesima di queste radiazioni, delle quali abbiamo studiato esclusivamente quelle del Sole. [...] Lo studio dell’influenza delle radiazioni solari sui processi terrestri ci permette di farci una prima idea precisa e profonda della biosfera dal punto di vista scientifico, come meccanismo a un tempo terrestre e cosmico. Il Sole ha trasformato radicalmente il volto della Terra, ha traversato e permeato la biosfera. Quest’ultima è dunque in misura notevole espressione della radiazione solare: essa è il meccanismo planetario che trasforma tale radiazione in forme nuove e diversificate di energia libera terrestre, energia che cambia radicalmente la storia e il destino del nostro pianeta.5
Proprio in quanto “meccanismo a un tempo terrestre e cosmico”, la biosfera è uno spazio intermedio e la vita emerge e si sviluppa in questo specifico ambiente. È dunque in questa esile pellicola superficiale esterna del nostro pianeta che va cercato il riflesso non solo di fenomeni geologici isolati e casuali, ma anche e soprattutto l’espressione della struttura generale del cosmo, collegata alla struttura e alla storia degli atomi e degli elementi chimici in generale. Proprio per questo la biosfera non può essere compresa attraverso la sola ...

Indice dei contenuti

  1. MIMESIS / Filosofie
  2. Romano Màdera Introduzione Un modo di conoscere e di vivere
  3. Paolo Bartolini In-between: per una filosofia del tra
  4. Silvano Tagliagambe Pensare sulla soglia: la filosofia del tra
  5. Filosofie