Primo capitolo
La teoria dei kleśa
I.1 Il percorso a ritroso dello yoga
Il tema delle afflizioni mentali (kleśa), trattato magistralmente nel testo buddhista dell’Abhidharma, fa da sfondo alle argomentazioni di tutti i darśana e rappresenta il cuore della filosofia di Patañjali che trova la sua ragion d’essere nell’indagine fenomenologica della sofferenza umana e nell’elaborazione del metodo per la sua definitiva rimozione. Lo yoga è il metodo che distrugge i kleśa per mezzo della concentrazione meditativa (samādhi, II. 2).
Kleśa deriva dalla radice verbale kliś- che ha le seguenti accezioni: kliś-kliśnāti, “tormentare”, “molestare”, “disturbare”, “causare dolore”, “affliggere”, “soffrire”; kliś–kliśyati, “perseguitare”, “causare pena”; kliś–kliśyate, “essere perseguitato o importunato”, “essere afflitto”, “patire dolore”; kleśayati (se letto come causativo) “maltrattato”, “importunato”. La traduzione più appropriata per kleśa è “afflizione”, nel senso di tribolazione, sofferenza, ma anche nel senso di ciò che causa il dolore e la pena. Convenzionalmente kleśa è considerato sinonimo di sofferenza (duḥkha) ma, contestualizzato nella filosofia soteriologica indiana, acquista il significato più forte di ostacolo: i kleśa impediscono alla coscienza di liberarsi dall’erronea percezione di sé.
Un kleśa è una nevrosi, un fattore mentale disturbante e perturbante, negativo e conflittuale, dinamico e persistente, non virtuoso, che spinge gli esseri umani a pensare, parlare e agire in modi malsani e viziosi, che oscura la serenità, produce confusione e aggiunge sofferenza a sofferenza. I kleśa forniscono la struttura dinamica della coscienza mentale, stimolano l’essere a proiettarsi all’esterno di sé attraverso il pensare, il sentire, il volere e l’agire: sono forze compulsive, cognitive, conative ed emotive che ostacolano la vita felice. Creano la coscienza centrifuga che si allontana sempre di più dal suo centro e che, dominata dall’incessante fluire dei pensieri (vṛtti), si perde nelle inquiete modificazioni dei contenuti mentali. I kleśa appartengono alla sfera dei vṛtti, vorticose modificazioni della mente che assumono di volta in volta la forma di sensazioni, percezioni, cognizioni, ricordi, emozioni. Nello specifico, i kleśa sono percezioni erronee (viparyaya), modi di vedere le cose che non riflettono la realtà per ciò che essa è davvero, che creano l’abitudine alla sofferenza (saṃsāra) e ostacolano il discernimento (vivekakhyāti) necessario per la liberazione (kaivalya) da essa.
La maggior parte delle scuole di pensiero indiane elenca, in modo piuttosto generico se non sporadico, gli stati mentali negativi più evidenti, come ignoranza (avidyā), desiderio ossessivo (icchā), attaccamento (rāga), repulsione (dveṣa), orgoglio (māna), gelosia (mātsarya), paura (bhaya). Patañjali, invece, facendo eco agli insegnamenti del Buddha, pone la rimozione dei kleśa al centro della riflessione teorica e della prassi yogica fin dai primi sūtra della sua opera. Ma è dal terzo all’undicesimo sūtra del secondo pāda che sono studiati i cinque kleśa specifici (pañcakleśa): avidyā, l’ignoranza, il non-vedere come stanno realmente le cose; asmitā, la coscienza mentale soggettiva, il senso individualizzato dell’io-sono; rāga, l’attaccamento alla ricerca sensibile del piacere (sukha); dveṣa, la repulsione verso l’esperienza sensibile del dolore (duḥkha); abhiniveśa, la paura della morte e l’attaccamento smanioso e patologico alla vita. Secondo il commento di Vyāsa, queste cinque afflizioni esprimono il disagio esistenziale che, pur con intensità diversa, tutti gli esseri sperimentano e sono riconoscibili rispettivamente come stati di offuscamento (tamas), delusione (moha), delusione estrema (mahāmoha), cupezza (tāmisra) o profonda cupezza (andhatāmisra). Il malessere dell’esistenza deriva dalla capacità dei pañcakleśa di generare modi erronei di vedere o percepire sè stessi e il mondo. Per usare un linguaggio caro alla filosofia gnoseologica kantiana, potremmo dire che l’essere soffre perché le categorie mentali con cui egli si percepisce e percepisce il mondo non solo sono contaminate ma sono generate dalle afflizioni.
L’ignoranza (avidyā), la tendenza a non-vedere le cose come realmente sono, è la causa primaria del dolore (hetu, II.24) e il terreno ...