Il luogo del ricordo
Intervista a Benedetta Tobagi
Qualcuno ha immaginato un superamento della sepoltura terrena in uno spazio web. Byte dedicati al ricordo come quello di www.cemetery.org. Funziona così: un ricordo di una persona in una “memorial page”. Per esempio quello di una donna scomparsa a settant’anni per un tumore, Giovanna. Un pensiero (in italiano e inglese) dei suoi cari e una foto. Poi i visitatori che lasciano fiori o un pensiero. “Il XX gennaio XXXX alle 12.50 è nata la tua nipotina XXX. XXXX stanno bene e sono sicuro che sotto la tua protezione la bimba crescerà sana e serena.” Un’indicazione di sepoltura con mappa indica dove andare a celebrare il ricordo della persona scomparsa. Se c’è una rete di assenze – parenti, legami –, dei link sotto la scheda ricostruiscono un’ideale cappella di famiglia. Ne nasce una sorta di mappatura di non più presenti che offre a chi lo voglia – e la “visitors page” ne è manifestazione commossa – la possibilità di una continua traccia con fiori o pensieri. A creare su Internet il più antico cimitero e memoriale online è stato il pioniere Mike Kibbee nel 1995, morto poi l’8 marzo 1997 dopo una lunga malattia, il linfoma di Hodgkin, e ora seppellito fisicamente al Toronto Necropolis, in Canada. Naturalmente ce ne sono altri di siti di questo tipo. RipCemetery è un’app italiana con scopi simili. Di certo c’è bisogno, più che di ricordare, di non dimenticare. Le strade sono piene di ricordi e anche i cimiteri sono lastricati di buone intenzioni che poi si affievoliscono, talvolta. I fiori appassiscono, molte lapidi subiscono il peso delle piogge e del sole che le porterà al disfacimento. Spesso il tempo segna linee interrotte. Un altro sito, www.myheritage.it, offre la possibilità di riconnettere questi vettori di tempo interrotti, anche attraverso un esame del DNA, oltre che con la ricostruzione di un albero genealogico. Cosa faremo di un passato sempre più ingombrante? E, ancora prima, cosa possiamo fare con quel che non abbiamo più e che ci è caro? Come si fa a non lasciar andare cose e persone senza rimanere invischiati nella ragnatela nera del dolore e del rimpianto?
Confesso una stima speciale (anche se ogni intervista, questa inclusa, tradisce una stima particolare che avevo coltivato per anni e letture) per l’autrice di questa intervista. Scrivo “autrice” perché, prima di incontrarla nelle parole che seguono e averla inseguita in mail e messaggi, ho covato il segreto pensiero che questo incontro atteso e dilatato dal tempo (stava completando la scrittura e l’editing di Piazza Fontana) avrebbe avuto una sua luminescenza per me e per il libro. Letta in saggi e racconti d’autofiction, riverberata in agili ma pensati elzeviri sui giornali, Benedetta Tobagi mi è sempre sembrata un’autrice curiosa e rigorosa, analitica ma brillante – due qualità rare da abbinare.
In Come mi batte forte il tuo cuore lei scrive una frase che è la summa dell’intero libro, pur stando quasi all’inizio: “Nella mia storia, pubblico e privato sono inestricabili, e non solo perché da bambina sono stata sbattuta in prima pagina contro la mia volontà. È stato il cocente senso di vuoto derivato dall’assenza di ‘papà’, figura famigliare e privata, che mi ha indotto ad approfondire la conoscenza della sua immagine pubblica: era una componente essenziale per capirlo davvero”. C’è anche la ragione del suo libro: il privato messo in pubblico e il pubblico riportato nel privato, il suo. Quanto le è costato abbattere questa parete sottilissima che, come lei scrive, è stata già da subito di vetro?
Correggerei leggermente: il libro comincia un istante prima e un istante dopo l’omicidio, non a caso. Il libro comincia da questo flash iniziale e poi c’è in parallelo il racconto della mia ricostruzione della sua vita che porta nel cuore del libro, quando l’omicidio accade. Per cui probabilmente questo sentimento è generato dal fatto che io volevo creare da una parte un climax e dall’altra l’occasione perché il lettore imparasse a conoscere mio padre e ad affezionarsi a lui. Un mio modo di comunicare l’importanza di contrastare la deumanizzazione di cui sono oggetto le persone la cui vita è spezzata dalla violenza, non solo terroristica. Un modo per restituirgli umanità e voce, affinché il lettore potesse sentire cosa accade quando si spezza una voce così.
Tutto il libro è, in definitiva, la storia di un presagio che alle volte fa rabbrividire, quindi deve essere riuscito questo patto col lettore. Guardando invece al dato più storico e rigido, per dire così, lei scrive che al tempo in cui suo padre è stato assassinato la politica era “una cosa terribilmente seria”. Molti rimpiangono, per ragioni diverse, quei tempi. Leggendo o ricostruendo le passioni di quegli anni, crede che qualcosa si sia perso di ...