La normale improbabilità dell’amore
Riccardo Prandini
1. Incipit. Il problema sociale dell’amore
Fa una certa impressione leggere questo seminario sull’amore del 1969. Mentre in Europa e negli Stati Uniti, già da tempo, il freudismo e il marxismo s’alleavano (litigiosamente) per fare di eros e dell’orgasmo una energia messa al servizio della rivoluzione (Reich 1942 [1975]; Marcuse 1955 [1964]; 1964 [1967]) – subendo però nel giro di pochi anni la critica “schizo” dell’anti Edipo (Deleuze e Guattari 1972 [1975]) –, mentre il femminismo si scagliava contro il dominio maschile e patriarcale nella famiglia (Firestone 1970; Irigaray 1974 [1975]; Lonzi 1974) e gli psicologi contro i legami intimi e le loro derive psicotiche (Laing 1964 [1972]; 1970 [1974]; 1976 [1978]), a Bielefeld un (non ancora famoso) sociologo si chiedeva quale funzione avesse l’amore per la società. Domanda davvero bizzarra in un’epoca che desiderava sovvertire tutte le istituzioni e gli ordini funzionali (a cosa? La risposta al tempo era chiara: al capitalismo imperialista occidentale!). E si badi bene: non che funzione psicologica avesse l’amore di coppia; ché di risposte a tale quesito ne erano già piene le biblioteche. E neppure come si era andato elaborando il simbolismo dell’amore con tutti i suoi topoi classici, perché anche di questo già si era ampiamente scritto (De Rougemont 1939 [1993]). La domanda riguardava invece un livello di realtà – la “società” – che era presupposta (al massimo, ipostatizzata), cioè praticamente non problematizzata, nel dare risposta alla domanda. Ma Luhmann andava già elaborando il suo funzionalismo: scienza comparativa e storicizzante per definizione che aveva come referente sistemico i problemi sociali e non quelli psichici. Da qui il porre la domanda in termini “sociologici”, in un modo che ancora oggi risuona – a pensarci bene – quasi “cacofonico”. Cosa potrà mai significare l’amore per la società (Goode 1959)? Quale problema “sociale” affronta, dando una soluzione che non ha equivalenti a livello sociale? E cosa questa risposta implica per l’ambiente della società che comprende gli individui nella loro concretezza psico-fisica inaggirabile e immediata?
Il precedente più illustre di questa “scandalosa” modalità d’interrogazione rimaneva Talcott Parsons, il grande teorico di Harvard che, già nella metà degli anni ’50, aveva azzardato una prima risposta, in specifico rispetto ai due assi della relazione familiare: la coppia coniugale e il rapporto genitoriale (perché era là che ci si aspettava che l’amore fosse legittimo: e questa presupposizione è già oggi da archiviare come un documento storico del tutto problematico). Invece che ribadire lo slogan (una sentenza di morte? una speranza? un premuroso consiglio?) che avrebbe fatto la fortuna di generazioni di distratti studiosi – perdita di funzioni sociali della famiglia e, al massimo, privatizzazione dell’amore – lo struttural-funzionalismo osservava che l’amore “nella” famiglia svolgeva due funzioni sempre più fondamentali – in quanto non sostituibili da altre istituzioni – per la società: la socializzazione (amorevole) dei figli e stabilizzazione (amorosa) delle personalità adulte (Parsons 1956 [1974]). L’amore di coppia svolgeva, per conto della società contemporanea ed occidentale (!), niente di meno che la funzione di agevolare-permettere la scelta di un partner così che ognuno potesse trovare un “sostegno” nei momenti di difficoltà (che si stavano già moltiplicando, vista la complessità sociale crescente). Altri avrebbero scritto: la famiglia è un rifugio in un mondo senza cuore (Lasch 1977 [1995]); oppure avrebbero spiegato che la coppia è una nomos building activity che svolge la funzione di confermare l’identità contingente dei suoi membri (Berger e Kellner 1964 [2010]).
“Per la società”. Questo è il punto che il funzionalismo di Luhmann sviluppò nei decenni seguenti. Nei termini ancora protofenomenologici che il lettore ritroverà in quel seminario del ’69: «L’amore fornisce una doppia conferma di senso: in esso si trova, come spesso osservato, una conferma incondizionata del proprio sé, dell’identità personale. Qui, e forse solo qui, ci si sente accettati per la persona che si è, senza riguardo allo status e ai risultati conseguiti. Nella visione del mondo dell’altro ci si sente attesi come chi ci si sforza di essere. Le aspettative dell’altro convergono con le aspettative auto-orientate dell’Io». Trovare un Altro che confermi la assoluta unicità e contingenza di Ego (e viceversa), sostenendo il suo idiosincratico punto di vista sul mondo: proprio questa aspettativa – di un’improbabilità sconcertante – la società (moderna e occidentale) la delega all’amore e quindi alla coppia, prendendosi rischi spaventosi e mettendosi in una situazione di estremo pericolo laddove non prevede più ridondanze o equivalenti funzionali. L’inclusione della persona, l’aspettativa di essere con-fermati e con-divisi nella propria concretezza esistenziale, è possibile solo attraverso l’amore; l’inclusione dell’individuo, invece, è operata nei diversi sottosistemi sociali mediante il “rivestimento” in un ruolo, cioè in un “copione” capace di spersonalizzare l’agire rivestendolo di aspettative generalizzabili (Luhmann 1982 [1985]).
Ma nella debolezza, sta anche la forza dell’amore. Infatti se solo l’amore può realizzare tale prestazione iperbolica, allora quali alternative esistono all’innamorarsi? Non innamorarsi pare tanto improbabile quanto trovare l’amore, quindi non sembra una alternativa efficace: innamorarsi di se stessi sembrerebbe portare all’isolamento, almeno così a partire dalla riflessione teologica sulla distinzione tra amour propre e amour de soi (Bénichou 1990), fino al narcisismo (Zweig 1984): e poi chiedere conferma di sé a se stessi si rivela quasi subito un “salto mortale” logico ed esistenziale. Ancora Luhmann, nel ’69: «L’integrazione dell’essere-Io con la costituzione del mondo, attraverso l’amore, si basa su un livello molto concreto d’elaborazione dell’esperire personale nel mondo vicino, che ha poche alternative. In questo risiede la sua leggerezza e la sua capacità persuasiva: non problematizza né nell’Io, né nel Tu, né nel mondo, l’assoluta contingenza di altre possibilità. Tale fondamento funzionale fa dell’amore qualcosa a cui la società non può rinunciare. Per quanto si possa immaginare di condurre una vita individualmente senza amore e di riuscire a trovare comunque l’affermazione di sé nel mondo, per esempio attraverso le proprie attività e i propri successi, non è affatto possibile sostituire, al livello della società, l’amore. Già soltanto per la socializzazione dei bambini, che può avvenire unicamente attraverso un’elaborazione del vissuto molto concreta e comunque già ricca di scoperta di senso, l’amore pare irrinunciabile. Anche gli adulti riescono a sopportare meglio e con minor sforzo le disgrazie, a resistere a un ambiente pieno di problemi e instabile, se hanno relazioni intime che offrono loro punti di riferimento e occasioni per esprimere e trovare conferma del fatto che proprio in queste difficoltà e nonostante tutti i mutamenti continuano a rimanere gli stessi». Sembrerebbe di rileggere il professore di Harvard (che avesse però fatto una scorpacciata di romanzi romantici).
Proprio di questa domanda urticante – che funzione svolge l’amore per la società (e non per gli individui) – mi occupo in questo saggio cercando di dare un con-testo al testo luhmanniano. Si tratta di una operazione didattica, anche se nelle conclusioni cercherò di riaprire il discorso in temini meno pedanti. La comprensione di un testo certe volte richiede un po’ di pedanteria. L’amore per il testo, invece e come sempre, non può essere prescritto perché si tratta di accedere, attraverso di esso, al mondo con gli occhi di un altro. E nessuno può davvero pretenderlo, ma solo appassionarsi.
2. Il contesto della teoria. La “catastrofe” della Modernità come fine della socialità naturale e del sapere connaturato
Alla base del seminario sull’amore sta, come orizzonte teorico di riferimento, l’idea non intuitiva del “mito del sentimento”. La teoria sociologica di Niklas Luhmann – rifacendosi alle elaborazioni del sociolog...