Il senso della dissonanza
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Il senso della dissonanza

Racconti di quel che conta nella vita economica

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Il senso della dissonanza

Racconti di quel che conta nella vita economica

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"Ricerca" è la parola d'ordine dell'età dell'informazione, ma in questo studio sull'innovazione David Stark esamina un differente tipo di ricerca – quello che si dà quando non sappiamo cosa stiamo cercando e tuttavia riusciamo a riconoscerlo una volta che lo troviamo. Basandosi sulla nozione di indagine collaborativa introdotta da John Dewey, Stark usa l'etnografia per studiare quelle situazioni problematiche in cui gli attori sociali si mettono alla ricerca di ciò che ha valore. I casi presi in considerazione analizzano le storie di un gruppo di operai ungheresi, di alcuni team di professionisti all'interno di una new media company nella Silicon Alley di New York, di operatori finanziari che a Wall Street si occupano di derivati. Nell'affrontare l'incertezza, le organizzazioni traggono beneficio dalla tensione tra criteri di valore in competizione fra loro. La dissonanza tra diversi principi di valutazione può di fatto portare a delle scoperte. Espressa in termini un po' diversi, possiamo trovare la stessa idea nel Canto X del Purgatorio della Divina Commedia: Non tener pure ad un loco la mente.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788857563060
Categoria
Sociologia

1.
Eterarchia:
l’organizzazione
della dissonanza

Alla ricerca di domande

La parola d’ordine dell’era dell’informazione è “ricerca”. Tra le tante tecnologie dell’informazione che stanno cambiando il lavoro e la vita quotidiana, forse nessuna ci apre più possibilità delle nuove tecnologie di ricerca. Con poche parole chiave nella barra del browser, possiamo accedere ad enormi database e scovare un articolo di un collega lontano, trovare il fornitore di un componente assolutamente fondamentale e strategico, documentarci su benefici ed effetti collaterali di nuovi farmaci o ritrovati medici, oppure reperire l’informazione che risolve immediatamente una diatriba su un’opera lirica, un atleta o un fondo d’investimento. Laddove la macchina a vapore, la turbina elettrica, il motore a scoppio o il motore a reazione hanno sospinto l’economia industriale, i motori di ricerca sono i propulsori dell’economia dell’informazione.
Il termine “ricerca” è incluso tra i concetti chiave di questo libro perché indica quel processo che meglio di tutti esemplifica le sfide che oggigiorno le organizzazioni si trovano ad affrontare. Ironia della sorte, queste sfide non possono essere risolte da quelle stesse tecnologie di ricerca che stanno trasformando il modo in cui lavoriamo, il modo in cui facciamo acquisti, e perfino il modo in cui ci collochiamo nello spazio fisico e sociale. Senz’altro, queste nuove tecnologie hanno acquisito un valore inestimabile se pensiamo al modo in cui le organizzazioni gestiscono le conoscenze. Ma i risultati che producono sono proprio del genere sbagliato se pensiamo ai problemi più profondi con cui si confrontano oggi le organizzazioni. Il tipo di ricerca più difficile da portare avanti non è legato tanto al cercare, trovare e fornire coordinate rispetto a entità o categorie pre-identificate – come quando, ad esempio, siamo alla ricerca di un indirizzo e-mail oppure di un paper che abbiamo visto presentare alla tal conferenza. Non si tratta nemmeno di cercare soluzioni per problemi definiti in modo chiaro. La sfida fondamentale sta piuttosto in quel tipo di ricerca dove non si sa cosa si sta cercando, ma lo si riconosce una volta che lo si è trovato.
Gli studiosi del settore hanno ben presente ciò di cui sto parlando. In effetti, per distinguerlo dal cercare (search) ciò che già si conosce, l’inglese utilizza un’altra parola: research1. In altri contesti, si usa un termine un po’ diverso: innovazione. John Dewey, uno dei fondatori del pragmatismo americano, utilizzava il termine “indagine” (inquiry2).
Dewey ci teneva a sottolineare come l’indagine (inquiry) – in quanto specifica modalità di ricerca – dovesse essere distinta dal problem solving. Questa sua chiarificazione merita di essere citata per intero, poiché ha il vantaggio di spostare la nostra attenzione dai contesti in cui abbiamo a che fare con problemi definiti ai casi più interessanti in cui ci troviamo davanti a situazioni che ci lasciano perplessi:
È artificioso, per quanto riguarda le attività di pensiero, immaginare un problema bell’e pronto, creato di sana pianta dal nulla. In realtà, un “problema” è sempre un compito. Non è che prima abbiamo una situazione e poi un problema, né si danno problemi senza situazioni. Quello con cui abbiamo a che fare sono piuttosto situazioni intricate, problematiche, che ci lasciano perplessi, in cui le difficoltà sono per così dire distribuite lungo l’intera situazione, coinvolgendola nel suo complesso. Se sapessimo esattamente la natura e l’esatta collocazione delle difficoltà, lo sforzo di riflessione richiesto sarebbe minore... in effetti, possiamo dire di aver capito esattamente in cosa consista il problema nel momento in cui troviamo una via d’uscita e una soluzione (Dewey 1998 [1933], 140, corsivo nell’originale)
Il richiamo di Dewey a situazioni intricate e problematiche suonerà familiare a tutti quei lettori che hanno dovuto affrontare la difficoltà di sapere che a volte bisogna cercare anche senza sapere che cosa si sta cercando. Cogliamo bene la differenza tra quello che Dewey chiama assigned task e altre situazioni molto più impegnative: cioè, sentiamo che esiste una differenza tra quelle occasioni in cui cerchiamo soluzioni entro parametri ben definiti, e altre – che Dewey chiamerebbe situations (situazioni) – ricche d’incertezza e purtuttavia (proprio per tale motivo) ricche di possibilità (Mische, White 1998). La vita sarebbe meravigliosamente semplice se potessimo trovare tutte le risposte con qualche click sulla barra del browser. Ma sarebbe anche molto meno interessante e molto più povera di soddisfazioni.
Nel loro studio sullo sviluppo di nuovi prodotti nel campo della telefonia, dei blue jeans e dei dispositivi medici, Richard Lester e Michael Piore colgono sinteticamente la differenza tra i due tipi di ricerca (Lester, Piore 2004). Nella modalità analitica, il compito del buon manager è quello di identificare con chiarezza il problema, segmentarlo in componenti indipendenti e quindi decidere come risolverli al meglio. Ma Lester e Piore sottolineano anche come il più importante componente dell’innovazione consista in un processo che non è direttamente orientato alla soluzione di problemi ben definiti. Questa seconda modalità è caratterizzata dall’interpretazione. Laddove il problem solving implica uno scambio preciso di informazioni, il modello interpretativo incoraggia invece conversazioni aperte e dagli esiti imprevedibili: laddove la modalità analitica orientata al problem solving cerca la chiarezza, la modalità interpretativa – dal momento che la sua sfida di fondo è quella di integrare conoscenze tra domini eterogenei – va alla ricerca di spazi di ambiguità. Lester e Piore dimostrano che ciascuno dei casi d’innovazione radicale da loro discussi comporta un combinarsi tra ambiti disparati: i jeans alla moda sono la sintesi tra l’abbigliamento tradizionale dei lavoratori e le tecniche di lavaggio prese in prestito da ospedali e alberghi; i dispositivi medici si basano sia sulla biologia che sulla esperienza clinica; i telefoni cellulari ricombinano, in maniera del tutto nuova, le tecnologie della radio e della telefonia. Si può concludere che “senza integrazione lungo i confini che separano questi diversi ambiti, non sarebbero mai esistiti questi nuovi prodotti” (Lester, Piore 2004, pp. 14-15).
Dal momento che in questa prospettiva l’innovazione comporta il coordinamento di tradizioni tendenzialmente incompatibili, non dovremmo aspettarci un processo particolarmente armonico. Col senno di poi sembra facile osservare e constatare che i jeans slavati alla moda sono una ricombinazione di abiti da lavoro e tecniche di lavaggio. Se possiamo dire che i telefonini sono “ovviamente” la sintesi di radio e telefono, ciò è possibile solo perché – come mostrano Lester e Piore – diversi gruppi di lavoro hanno cooperato a partire dalle loro differenze. Retrospettivamente noi crediamo che, in qualche modo, essi dovessero già sapere che cosa stessero cercando, mentre di fatto – come sostenuto da Dewey e dagli altri pragmatisti – fu proprio nel tentativo conflittuale di trasformare le cose che il problema poté anche solo essere formulato3. All’interno della stessa ottica, Lester e Piore osservano:
In molti ambiti, è possibile individuare alcune innovazioni che, almeno inizialmente, non erano rivolte ad uno specifico problema o bisogno, o in cui il problema divenne chiaro solo dopo che il prodotto si era reso disponibile. In questi casi, gli sviluppatori del prodotto spesso si mettono all’opera senza veramente sapere ciò che stanno tentando di creare (Lester Piore 2004, 41, corsivo nell’originale).
I problemi che vengono affrontati in questo libro non sono riconducibili alla nozione comune di “esplorazione”, se con tale termine si intende il processo dell’andare alla ricerca di pozzi petroliferi, o simili ricerche di beni od oggetti conosciuti già in partenza. Sulla scia di James March utilizzerò invece il termine esplorazione per riferirmi specificamente a quei processi che si distaccano da routine familiari e soddisfacenti e che si inoltrano in territori sconosciuti (March 1991). In altre parole, se decidiamo di utilizzare la metafora dell’esplorazione, le ricerche più ardue e impegnative corrispondono agli sforzi di trovare e riconoscere nuove terrae incognitae.
Riformulata come riconoscimento dell’incognito, l’innovazione è un processo paradossale poiché coinvolge una curiosa funzione cognitiva: il riconoscere ciò che non è (ancora) stato formulato come categoria. Un conto è riconoscere uno schema già identificato in precedenza, tutt’altro è creare una nuova associazione. Per fare alcuni esempi molto concreti e alla portata di tutti: l’utilizzo del gas per l’illuminazione industriale nel XIX secolo (il riconoscimento come preziosa risorsa di un sottoprodotto della conversione del carbone in coke, vedi Schivelbusch 1995, 18); il carrello della spesa (un cestino su ruote, vedi Grandclèment 2008); il parchimetro (un pilone da posteggio dotato di un meccanismo ad orologeria); l’autoradio (introdotto da un’azienda a conduzione familiare – la Motorola – che già produceva accessori per carrozze e che cercava di entrare nel mercato degli accessori delle neonate automobili); i centri commerciali all’interno o in prossimità degli aeroporti (che combinano viaggio e consumo); infine, le mega-chiese delle periferie dormitorio (exurbs) statunitensi, che combinano in modo inquietante architetture mastodontiche tipo Wal-Mart, tele-evangelismo e piccoli gruppi di nicchia presi dal repertorio dei movimenti religiosi underground, per creare una nuova forma di spiritualità sotto forma di consumismo a misura di massa. Tutti questi esempi di ricombinazione o riconversione hanno implicato dei salti di categoria che adesso e col senno di poi sembrano banali e scontati proprio perché possono essere facilmente riconosciuti dagli utenti.
Che ci si riferisca a tali processi in termini di innovazione, esplorazione oppure indagine, ciò che conta è che quel tipo di ricerca che chiama in causa certe capacità interpretative – piuttosto che la semplice gestione di informazioni – richiede una specifica cognizione riflessiva. Che si tratti di scienze, di politica, di attivismo o di affari, non basta semplicemente mettersi alla ricerca di un’innovazione fondamentale ancora sconosciuta; bisogna anche essere in grado di riconoscerla quando la si trova. E si deve essere in grado di presentare tali soluzioni rivoluzionarie in forme che possano essere riconosciute da altri scienziati, politici, attivisti, investitori o utenti. Questa è una sfida davvero molto impegnativa, perché più ambizioso è il progetto più il processo iniziale di ricerca sarà volutamente indefinito; e più complicato è l’eventuale processo di riconoscimento, maggiori saranno l’ambiguità e il disagio che l’organizzazione innovatrice dovrà affrontare. L’innovazione, come osservava Schumpeter, è ricombinazione; tuttavia, come Schumpeter notava altrettanto a proposito, è un processo che scardina in profondità gli assunti culturali dati per scontati e le routine di cognizione organizzativa.
Possiamo ora comprendere nuovamente perché per Dewey l’indagine (inquiry) è provocata da “situazioni problematiche, impegnative e intricate”. Le organizzazioni che devono affrontare tali situazioni hanno varie opzioni a disposizione. La prima tentazione dei leader di progetti scientifici, aziendali o civili è quella di affrontare una situazione ambigua (che ben si presterebbe a una ricerca interpretativa), utilizzando invece la strategia di problem solving ben definita della ricerca analitica. Questa strategia manageriale focalizzata su un controllo preventivo dall’alto, però, comporta il rischio di non sfruttare appien...

Indice dei contenuti

  1. MIMESIS / COINCIDENTIA OPPOSITORUM
  2. Ringraziamenti
  3. Prefazione
  4. 1. Eterarchia: l’organizzazione della dissonanza
  5. 2. Lavoro, valore e giustizia in una fabbrica ungherese
  6. 3. Attrito creativo in una New-Media Start-up
  7. 4. L’ecologia cognitiva di una camera di arbitraggio
  8. 5. Dalla ricerca sul campo al campo della ricerca
  9. Chiusura
  10. Bibliografia
  11. Coincidentia oppositorum