Mariagabriella Cambiaghi
Marco Praga
e “L’Illustrazione italiana”:
dieci anni di Cronache teatrali
(1919-1928)
La quinta vita di Marco Praga
Alla fine del 1918, in concomitanza con la conclusione della Prima Guerra Mondiale, Marco Praga firma con l’editore Treves un contratto come critico teatrale de “L’Illustrazione italiana”, inaugurando una collaborazione decennale che avrà fine con la sua stessa vita. Il contatto tra Praga e il periodico, all’epoca uno dei più diffusi tra il pubblico italiano, è condotto e sostenuto da Giovanni Beltrami, garantendo allo scrittore una certa libertà di consegna e un compenso stabilito per ogni singolo pezzo.
Nell’ambito dello spettacolo drammatico il suo nome è già molto noto per le molteplici esperienze affrontate, sia in ambito artistico, sia in ambito organizzativo.
Nato a Milano nel 1862 e figlio dello “scapigliato” Emilio, dopo la prematura morte del padre, Marco segue studi di ragioneria, spinto dalle necessità economiche della famiglia: la sua “prima vita” lo vede contabile di giorno e appassionato frequentatore di teatro la sera, fino a che, dopo il debutto con alcuni testi nella seconda metà degli anni Ottanta, il grande successo de La moglie ideale (1890) gli permette l’indipendenza economica e la possibilità di dedicarsi interamente alla professione di autore e organizzatore.
Da un punto di vista drammaturgico, il talento di Praga si esprime all’interno del genere del dramma borghese, che muove da una rappresentazione realistica del costume contemporaneo italiano (e, in particolare, di quello milanese) per proporre una visione critica del sistema ipocrita e convenzionale che imbriglia le aspirazioni degli individui. La sua “seconda vita” aveva avuto inizio già nel 1886 con il debutto dell’atto unico L’amico, seguito tre anni dopo dalla commedia Le vergini, ma raggiunge l’apice con la già citata Moglie ideale, ritratto efficace e mordente della donna borghese, perfettamente integrata nel sistema della doppia morale, al punto di avere un amante, pur rimanendo un’affettuosa e irreprensibile consorte per il marito. Portata al successo da Eleonora Duse, per la quale la commedia era stata scritta, essa apre per Praga un intenso quinquiennio di produzioni drammatiche, accompagnate da alterni consensi, da quelli convinti e calorosi per L’innamorata (1891), ancora scritta per la “Divina”, e per Alleluja, incarnato da Ermete Novelli, a quelli discussi e combattuti come Il bell’Apollo (1894).
Dal 1896 inizia la sua avventura come direttore della SIA (la Società Italiana degli Autori), incarico che svolge con impegno e determinazione, tutelando la proprietà letteraria, così come quella rappresentativa dei testi italiani, all’interno del mercato dei copioni importati dall’estero e capitalizzati dalle agenzie. Fino al 1911 Praga conduce una battaglia attenta a favore del riconoscimento del diritto d’autore per i testi in cartellone, operando con intransigenza e buonsenso a favore di un teatro di parola e di un generale miglioramento delle condizioni rappresentative della scena italiana.
La sua partecipazione alla vita teatrale del paese e, nello specifico, alla fervida e vivace attività spettacolistica di Milano tra i due secoli, è all’origine della sua “quarta vita”, quando alla fine del 1911 decide di lasciare l’incarico alla SIA per porsi alla direzione della Compagnia Stabile del Teatro Manzoni, una formazione con intenti di arte e di cultura, sostenuta finanziariamente dalla ditta di capocomici Tina Di Lorenzo e Armando Falconi per il primo triennio e rifondata su basi societarie per un secondo (e meno fortunato) triennio, fino al forzato scioglimento nel 1917.
Al momento della sua nomina a titolare della rubrica, che firmerà sempre con l’acronimo Emmepì (dalle iniziali del suo nome), l’aspettativa è altissima e bene riassunta dalle parole di Silvio D’Amico:
Marco Praga critico! Sogni di terrore. La gente che si interessa di teatro ha inteso tanto raccontare, da qualche decennio, che Praga è un duro galantuomo milanese, uso a dire pane al pane e il resto al resto, senza riguardi per nessuno; e sul conto del nostro povero teatro ci sono da dire tante e cosi crude verità che a un tale annuncio è impossibile per molti difendersi da un primo moto di spavento. La gente si rassicuri. Marco Praga è, senza dubbio, oltre l’artista che tutti conoscono, un gran galantuomo e un milanese irriducibile. […] “vecchio topo di palcoscenico” come si definisce da sé, Marco Praga conosce di persona, quasi sempre da molto tempo, pressoché tutti gli scrittori e gli attori di cui parla, e il tono burbero con cui dice loro le sue oneste verità è di un burbero molto ma molto benefico. […] egli vede il teatro come esistente a sé e per sé, piglia di petto le commedie nei loro intrecci e nei loro personaggi, ed esaminandole si propone unicamente dei problemi di logica e verità scenica.
Nella sua attività di commentatore Praga proietta la sua esperienza tesa a rinnovare le modalità di allestimento della nostra scena, sostenitore di un teatro al servizio del testo, vivificato nello spettacolo attraverso un progetto organico di sinergia tra le ragioni dell’autore, il talento scenico dell’attore, le leggi del teatro.
Come osserva D’Amico, Praga recensisce eventi e persone che conosce nel profondo, di cui non esita a mettere in luce limiti e compromessi, con una franchezza rustica che muove da una frequentazione trentennale dei teatri e dalla conoscenza profonda e diretta dei meccanismi produttivi della scena italiana. Del prestigio del commentatore e del valore non solo cronachistico dei pezzi è indice il fatto che, già alla fine del primo anno di collaborazione, la casa editrice Treves raccolga gli articoli in volume, avviando una serie che uscirà a cadenza annuale, fino alla scomparsa del critico nel 1929. Caso assai singolare rispetto alla prassi delle raccolt...