III
Verticalismo 1:
Europa e Mediterraneo rimosso
Il Mediterraneo è sia geografia fisica sia geografia simbolica. Si dirà che tutte le regioni del mondo lo sono. È vero, ma forse lo è ancor di più per questo mare situato sul crinale di Oriente e Occidente, Africa ed Europa, fra grandi mondi, poli simbolici di cui si fa cerniera. In quanto punto di sutura, esso non è propriamente Occidente né propriamente Oriente. Perciò il Mediterraneo è sia geografia dell’identità sia geografia dell’alterità. Se c’è un tratto che lo contraddistingue è proprio questa sua in-betweenness, il suo essere in mezzo, ibrido, creolo, “corruttore”, direbbe Platone. Horden e Purcell, chiamandolo proprio così, “corrupting sea”, parlano di “connectivity” e di “net introversion” per indicare il tratto caratteristico di questo mare che costringe alla comunicazione.
La storia culturale e politica moderna, invece, ha visto emergere sempre più lo scollamento fra le sponde del Mediterraneo, anche se, dopo che lo spazio Mediterraneo era rimasto sconnesso a causa delle dinamiche della Guerra fredda, nel 1989 la caduta del Muro di Berlino lasciò intravedere la possibilità braudeliana di un ritorno a un Mediterraneo come spazio unitario, pur nelle sue molteplici diversità. Presentendo forse il crollo del muro, due anni prima P. Matvejević pubblicò Breviario mediterraneo: un inno al mare in cui “popoli e razze per secoli hanno continuato a mescolarsi, fondersi e contrapporsi gli uni agli altri, come forse nessun’altra regione di questo pianeta”. Una serie di iniziative di cooperazione fra Europa e Mediterraneo culminarono nel “Processo di Barcellona” del 1995. Nel 1996 Cassano consegnò alle stampe Il pensiero meridiano e il Mediterraneo era al centro delle sue speculazioni e speranze. Egli ci rammentava che “il mare fra le terre” è il mare che mette al centro il confine, ricordandoci che la partita del rapporto con l’altro è difficile ma necessaria. L’implicazione è che la condizione del confine, dove si è costretti a tradursi agli altri, può allenare al confronto, al riconoscimento reciproco. La stessa condizione allontana dal conflitto, dalla tentazione di ridurre gli altri al silenzio, come è avvenuto sull’oceano, dove la dismisura della distanza, la mancanza di confine-contatto ha trasformato la volontà di ritorno (il nostos) di Ulisse nella volontà di potenza di Achab (Moby Dick).
Nel giro di un trentennio (se prendiamo come punto d’inizio del nuovo discorso mediterraneo il libro-preghiera di Matvejević) il “mare fra le terre” da mare della speranza meridiana è diventato mare della disperazione umana, dopo la cronaca degli ultimi anni, cronaca di attraversamenti disperati e tragedie, di primavere di popoli e inverni di eserciti, di aperture e nuove chiusure. Le cause non sono difficili da isolare: la guerra del Golfo nel ’92, l’11 settembre, il paventato “scontro di civiltà” e il riflesso condizionato della campagna militare USA “War on terror”, il conseguente aumento della spinta migratoria e la conseguente nascita del sedicente “Islamic State”. Ma qui la disperazione non è solo quella dei migranti che provano ad attraversare il mare da una terra all’altra; è anche la disperazione di uno spazio multi-geo-culturale che vorrebbe parlarsi, ri-conoscersi, e non ci riesce (ancora).
Per rimanere sulla sponda nord, nel 2008, dall’America e dall’Inghilterra arriva la grande crisi finanziaria e viene riesumato l’acronimo PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), coniato dagli economisti anglosassoni per additare quei paesi europei la cui economia non è performante quanto quella dei paesi del nord Europa. La causa sarebbe, ancora una volta, l’indolenza mediterranea e l’assenza dell’etica del rigore e del lavoro, secondo la tipica strategia di razzializzazione che ha contraddistinto la storia dell’Europa. L’acronimo dispregiativo (a volte sostituito con quello di GIPSI, la cui ultima “I” sta per Irlanda, una sorta di paese mediterraneo alla latitudine sbagliata) e la relativa alterizzazione del sud sembrano essere il risultato, come lo è stato con l’Italia, di un’unificazione. Dal 1995, anno di nascita della Zona Schengen, quando si cominciò ad abolire le frontiere dentro l’Europa, il continente si unisce di più nello spazio geo-finanziario e meno in quello socio-culturale, anche a causa delle paure verso l’altro con il quale ci si doveva unire. Questo fenomeno è però figlio di una lunga storia culturale che comincia, abbiamo detto, quando il Mediterraneo fuoriesce dalla grande storia e le nazioni protestanti del nord vi entrano a braccetto col capitalismo industriale. Curiosamente, questa condizione si palesa proprio nel momento in cui il Mediterraneo viene eletto, abbiamo visto, culla della civiltà europea proprio dai pensatori del nord. Hegel lo considera “il fattore di unificazione dei tre continenti e il centro della storia mondiale... il cuore del Vecchio Mondo”. Un paradosso del tutto apparente, poiché si parla di cuore, sì, ma del vecchio mondo. Il cuore del nuovo mondo, il mondo moderno, viene fatto battere a latitudini più settentrionali, dove gli “incolti” popoli germanici possono finalmente portare a termine la missione, cristiana, dello spirito del mondo: “la realizzazione della verità assoluta, intesa come determinazione infinita della libertà da parte di se stessa”. Da allora gli italiani, specie i meridionali, e tutti i popoli mediterranei, hanno costituito nell’immaginario nord-europeo egemone, nella migliore delle ipotesi, un errore della razionalità della Storia, nella peggiore, un pericolo.
Quello che seguirà vuole essere sia un viaggio nelle pieghe dell’identità colonial-moderna europea – alla ricerca delle origini di quella repressione del Mediterraneo che ha facilitato l’attuale vagheggiare dello scontro di civiltà e la costruzione delle mura di Fortress Europe – sia un primo passo verso una decolonialità conoscitiva del Mediterraneo fra differenza coloniale e differenza imperiale.
Rappresentazioni geo-storiche della civiltà e delinking (dello sguardo)
A partire dall’antica Grecia, la storia delle civiltà che hanno ruotato intorno al Mediterraneo è stata narrata in base a un approccio di tipo geo-climatico. Aristotele, nel VII libro della Politica, parla delle fredde regioni del nord, coraggiose ma poco abili nelle arti, contr...