Storia dell'Iran
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1890-2020

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Storia dell'Iran

1890-2020

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L'Iran è uno dei paesi più affascinanti e complessi al mondo. Quale immagine riassume meglio la sua storia contemporanea? Le proteste di fine Ottocento per la vendita della concessione del tabacco a un cittadino inglese, che videro per la prima volta uniti il clero, i mercanti e le donne dell'harem reale? O forse il volto severo dell'ayatollah Khomeini di ritorno a Teheran dopo la rivoluzione del 1979 da cui ebbe origine la Repubblica islamica? La fotografia dei negoziatori internazionali che nel 2015 a Vienna annunciarono l'accordo sul nucleare che avrebbe dovuto portare alla rimozione delle sanzioni contro l'Iran? O i funerali del generale Soleimani, ucciso da un drone statunitense insieme a ogni tentativo di pacificazione tra i due paesi? Impossibile dirlo, come impossibile è descrivere un tappeto a partire da un solo filo. Farian Sabahi ci guida alla scoperta degli ultimi 130 anni di storia dell'Iran: da paese senza esercito né sistema amministrativo, come era la Persia sotto la dinastia dei Cagiari, al lancio in orbita da parte dei pasdaran del primo satellite fabbricato in Iran nell'aprile 2020; dal commercio dei pistacchi e del caviale a quello del petrolio; dall'occupazione degli Alleati durante la Seconda guerra mondiale al precario equilibrio di patti e coalizioni negli anni della Guerra fredda; dal conflitto con l'Iraq di Saddam Hussein a quello con l'ISIS; fino alla difficile gestione della pandemia di Covid-19 sotto l'embargo di Trump.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865768334
Argomento
History
Categoria
World History

1. I Cagiari: una dinastia in crisi

La storia è uno specchio del passato e una lezione per il presente.
proverbio persiano
Scrivere un libro è un po’ come intraprendere un viaggio. E l’inizio di un viaggio in Persia, come osservava negli anni trenta Robert Byron in La via per l’Oxiana, assomiglia a un’equazione algebrica: non si sa mai se riuscirà. Come ogni viaggio, anche questo necessita di preparativi. La storia dell’Iran del Novecento è ovviamente legata agli eventi del secolo precedente ed è appunto da essi che occorre partire.
La modernizzazione mancata dell’Iran
Al contrario di quanto avvenne nell’impero ottomano e in Egitto, nell’Ottocento la monarchia cagiara (1795-1925) non riuscì ad avviare il processo di modernizzazione e la sua economia restò legata a un sistema tradizionale basato sull’agricoltura, sul pastoralismo (vedi «Glossario») e sulla produzione per i mercati locali. Nel Medio Oriente dell’Ottocento la modernizzazione aveva seguito due binari: imposta dai militari nell’impero ottomano e in Egitto fino al 1841, oppure fondata sulla spinta economica come accadde in Egitto con lo sfruttamento del cotone a partire dal 1841 e, in particolare, dal 1860 in poi.
Esercito ed economia sono di fatto le parole chiave per spiegare la modernizzazione mancata dell’Iran del xix secolo. Contraddistinto da un regime centralizzato e da un’efficiente amministrazione burocratica e finanziaria, l’impero ottomano vantava un’élite militare composta da schiavi, nonché un esercito ben equipaggiato e motivato. Pur ritenendo, al pari della Sublime Porta, di doversi difendere dalle mire espansionistiche russe verso sud, l’Iran non disponeva di un esercito disciplinato e rispettato. Alla fine del secolo, infatti, le forze armate iraniane erano composte da qualche migliaio di soldati privi di una divisa dignitosa, mal retribuiti e peggio equipaggiati. Il solo reggimento efficiente era la brigata dei cosacchi, costituita nel 1879 e formata da duemila soldati al comando di ufficiali russi. Per quanto riguarda l’economia, l’incremento del commercio permise l’emergere di una nuova classe sociale. Noti con la denominazione di bazarì (vedi «Glossario»), i mercanti comparvero infatti sulla scena come un gruppo a sé e, a partire dalla fine dell’Ottocento, divennero uno dei motori del cambiamento. Ma nel xix secolo l’Iran non possedeva ancora le infrastrutture necessarie a un vero sviluppo economico. Dal punto di vista finanziario, la prima banca fu l’Imperial Bank of Persia, un istituto di credito britannico fondato nel 1889 dall’abile e ambizioso ministro Henry Drummond Wolff. Si trattò dell’operazione più rilevante messa in atto da stranieri nella storia dell’Iran moderno, seconda per importanza soltanto alla concessione petrolifera del 1901. Le sue attività comprendevano le funzioni tipiche delle banche centrali, e dunque il controllo della fornitura di moneta e la stampa delle banconote su cui campeggiava il ritratto del sovrano persiano Naser al-Din sorridente e con i grandi baffi: un modo per imprimere nella mente dei sudditi l’immagine che infondeva fiducia nello scià, una funzione peraltro svolta anche dai francobolli con la stessa iconografia.
La costituzione dell’Imperial Bank of Persia fu autorizzata dallo scià come parziale risarcimento per l’annullamento della concessione accordata nel 1872 a un altro cittadino britannico, il barone Julius de Reuter, a cui il sovrano non aveva restituito la cauzione di 40 000 sterline, cioè l’anticipo versato per costruire la ferrovia, anticipo che sarebbe andato perduto se Reuter non avesse iniziato i lavori entro una certa data. L’Imperial Bank of Persia avviò la propria attività con un capitale di un milione di sterline e il diritto di stampare banconote e sfruttare le risorse minerarie dell’Iran, eccezione fatta per le pietre preziose, l’oro e l’argento. Nel 1890 i diritti minerari furono venduti alla Persian Bank Mining Rights Corporation, che non ebbe però grande successo. Sebbene al momento della costituzione dell’Imperial Bank of Persia il barone de Reuter avesse finalmente ottenuto la restituzione della cauzione, questo non servì a riscattare la reputazione di Teheran nella Borsa londinese.
La pessima fama delle autorità iraniane sulla piazza finanziaria inglese diminuì le opzioni di finanziamenti britannici e, venuti a mancare questi, si aprì un varco all’iniziativa dei russi che costituirono la Banque des Prêts, poi chiamata Banque d’Escompte de Perse, e nel 1900 concessero all’Iran un prestito equivalente a 2 400 000 sterline al tasso di interesse del 5%. Le condizioni di questo prestito sono esaminate in dettaglio dal console britannico a Kerman, maggiore Percy Sykes, poi nominato baronetto e quindi meglio noto con il titolo di Sir. Al console non sfuggirono le analogie tra la strategia russa impiegata in Iran e quella già adottata dagli stessi russi, con successo, in Cina: «La banca russa è una filiale del ministero russo delle Finanze; è usata come strumento politico e le sue operazioni non sono condotte in base a princìpi economici». Nonostante l’intervento degli inglesi e dei russi, fino al 1914 il sistema creditizio iraniano rimase comunque rivolto esclusivamente a sostenere il commercio internazionale anziché gli investimenti nel paese.
Le comunicazioni erano primitive: in assenza di una rete ferroviaria e di porti marittimi degni di nota, non vi era modo di spostare le merci da una parte all’altra del paese. La navigazione a vapore nel Golfo e sul mar Caspio era realtà appena dagli anni trenta dell’Ottocento. Dal 1888 iniziò anche sul fiume Karun, nell’Iran sudoccidentale, con la concessione ai fratelli Lynch. Le difficoltà logistiche rimasero comunque notevoli, anche a causa dello sbarramento naturale di Ahvaz, dove la navigazione non era possibile per la maggior parte dell’anno. Di conseguenza, le vie di trasporto più utilizzate furono, ancora a lungo, le antiche mulattiere, con notevoli ritardi e costi.
Nell’Ottocento l’unico sviluppo industriale significativo fu legato alla produzione di tappeti. Conseguenza del pastoralismo praticato dai nomadi – che forniva ampia disponibilità di materia prima – fu poi favorito, a partire dagli anni settanta, dalla domanda crescente da parte dei mercati europei e americani e dalla riduzione dei costi di trasporto permessi dalla pur limitata navigazione a vapore. Cittadini britannici, russi e tedeschi investirono nella manifattura dei tappeti e in alcuni laboratori si contavano centinaia di tessitori. Nel 1914 il fatturato delle esportazioni di tappeti raggiunse il milione di sterline, pari a un ottavo delle esportazioni totali dell’Iran.
Per gli altri settori del tessile la situazione diventava invece sempre più difficile. A metà dell’Ottocento i due terzi delle importazioni erano costituiti da manufatti di cotone. A causa della moda e quindi della preferenza accordata dai consumatori iraniani ai prodotti di importazione, questa percentuale continuò ad aumentare negli anni seguenti e fino alla Prima guerra mondiale, con ovvi effetti disastrosi sull’artigianato locale.
I tappeti
All’inizio del Novecento la produzione di tappeti persiani attirò l’interesse delle società inglesi e statunitensi, il cui insediamento in Persia fu favorito dalle difficoltà incontrate dall’industria tessile a causa della chiusura del mercato russo nel 1905: il clima di instabilità politica e i disordini che a partire da gennaio di quell’anno avrebbero costretto lo zar a concedere la Costituzione allontanarono dalla Russia gli investitori stranieri. La Eastern Rug and Trading Company di New York, di proprietà dell’inglese Baker, poi chiamata OCM, e l’Atiyeh, di origine libanese, si contendevano il controllo della produzione e del commercio dei manufatti persiani, in concorrenza con le stesse imprese iraniane, tra cui primeggiavano i Dilmaghani originari di Tabriz.
La crescente domanda europea e americana portò a un sensibile aumento della produzione tessile urbana e stimolò il rinnovamento dei modelli decorativi. Durante la Prima guerra mondiale la crescita produttiva subì un rallentamento: l’instabilità politica e la crisi economica portarono alla chiusura di numerosi canali commerciali e a una contrazione della produzione, ma le potenzialità dell’industria manifatturiera rimasero intatte e alla fine del conflitto si poté quindi far fronte alle nuove esigenze del mercato.
Migliorarono intanto le condizioni di lavoro, per effetto di un’iniziativa dell’ILO, l’International Labour Organization, cui l’Iran aveva aderito al momento della sua costituzione nel 1919. A seguito degli accordi sottoscritti, nel 1921 il governo iraniano emanò alcune direttive per concedere maggiore libertà ai tessitori, un orario di lavoro non superiore a otto ore al giorno, una pausa a mezzogiorno, un ambiente salubre e sedili confortevoli, un’età minima di dieci anni per i lavoratori.
Già alla fine dell’Ottocento il modello produttivo delle società straniere non era diverso da quello dei mercanti locali: proprietari di telai e atelier (kharkhaneh), insediati nelle città, ingaggiavano provetti tessitori e tessitrici, affiancati da giovani apprendisti, con il compito di realizzare raffinati tappeti di grandi dimensioni. Sempre nei centri urbani risiedevano i tintori, i disegnatori e gli agenti incaricati di reclutare la manodopera nelle aree rurali.
La grave crisi economica che colpì gli Stati Uniti nel 1929 ebbe conseguenze disastrose per l’industria del tappeto persiano: se gli imprenditori locali ebbero dapprima l’impressione che si trattasse di un fenomeno passeggero, nell’arco di pochi mesi la crisi si rivelò in tutta la sua drammaticità. Nel 1932 la situazione, già pesantissima, fu aggravata dalle leggi protezionistiche inglesi, che imposero dazi doganali alle merci provenienti da paesi che non appartenevano all’impero britannico, favorendo così il commercio dei manufatti indiani.
In Iran la crisi assunse dimensioni tali da richiedere l’intervento delle autorità. Promotore del nazionalismo, Reza Shah non si limitò a operazioni di sostegno alle imprese in crisi, ma assunse l’iniziativa istituendo la Società del tappeto (Sherkat-e Farsh), un ente governativo che riorganizzò tutta la catena produttiva: il processo creativo, la fornitura di materie prime, la filatura, la tintura e la tessitura. La ripresa non fu rapida e non consentì di tornare ai livelli precedenti, ma trasformò la produzione urbana di tappeti.
Quando finalmente si superò la Grande depressione che aveva colpito i mercati americani ed europei, le società straniere fecero ritorno in Iran per valutare la possibilità di riprendere l’attività. Si trovarono di fronte un panorama differente: il nazionalismo aveva portato una maggiore organizzazione e dato vita all’imprenditoria locale, creando una nuova classe sociale. Di conseguenza, le aziende americane decisero di cedere le proprie strutture alla Società del tappeto.
La nuova classe sociale promosse la domanda di tappeti da parte del mercato interno, ma fu solo con il boom degli anni sessanta e la domanda proveniente dai paesi arabi che la produzione di tappeti persiani conobbe una vera ripresa, al punto da guadagnare il secondo posto nelle esportazioni, subito dopo il petrolio. La dinastia dei Pahlavi fece dei tappeti un simbolo e promosse la fondazione di musei a questi dedicati, tra cui quello di Teheran. Gli anni settanta furono però testimoni anche della decadenza in termini di qualità: mantenere alto il livello produttivo richiedeva investimenti ingenti e le esportazioni iniziavano a sentire il peso della concorrenza del Pakistan e dell’India, dove il costo della manodopera era inferiore e i processi produttivi avevano ormai assunto caratteristiche industriali.
Per rispondere alla domanda di tappeti a costi contenuti, in un quadro economico ancora contraddistinto da elementi artigianali, in Iran si ridussero gli standard qualitativi. L’introduzione massiccia di coloranti sintetici, cominciata già negli anni trenta, divenne la norma negli anni sessanta e settanta. Per i tappeti classici, dall’elaborato disegno floreale, venivano ora utilizzate lane di seconda scelta, filate meccanicamente e di diametro più consistente, mentre i nodi erano grossolani, con risultati ben diversi dalla finezza dell’antico splendore.
Come ricorda lo storico Ervand Abrahamian, i Cagiari non avevano né un esercito, né un sistema amministrativo. Privi di legittimità ideologica, ricorsero a due tattiche complementari per mantenere il potere: da una parte strumentalizzarono i conflitti interni alla società e, dall’altra, evitarono pericolose contrapposizioni con i loro avversari.
Rispetto all’Egitto e all’impero ottomano, l’Iran rimaneva un paese arretrato anche per quanto riguardava il sistema giudiziario, l’istruzione inferiore e il clima intellettuale. Dal punto di vista legale, non erano previste soluzioni per i conflitti tra sharìa (vedi «Glossario») e diritto civile, e la magistratura continuava a essere prerogativa dei religiosi. Mentre nell’impero ottomano venivano aperte le prime scuole laiche del mondo musulmano, in cui l’accesso era peraltro limitato ai ceti sociali più abbienti, solo nel 1851 fu fondato a Teheran il politecnico Dar ol-Funun, anch’esso riservato a un’élite di militari e burocrati di alto rango, con curriculum e organizzazione mutuati dal sistema francese. La lingua francese divenne così il mezzo per comunicare con gli stranieri, fossero essi sudditi britannici, asburgici o, più tardi, americani.
Si dovette però attendere l’ultimo decennio dell’Ottocento per assistere alla creazione delle prime istituzioni scolastiche moderne, cui si deve l’emergere di una nuova classe di intellettuali. Sebbene l’apertura della prima tipografia risalga al lontano 1812, il primo giornale fu stampato solo nel 1837, con un sensibile ritardo rispetto agli altri paesi della regione. Pur sottoposto a censura, il giornalismo divenne ben presto un importante mezzo per invocare riforme e discutere del rinnovamento sociale. Fin dall’inizio si delinearono così due tipi di giornalismo: una categoria ufficiale e una più libera, della quale faceva parte per esempio Sur-e Esrafil (L’angelo della risurrezione), fondato nel 1907, in cui giornalisti del calibro di Dehkhoda colsero ogni opportunità per criticare i continui viaggi all’estero del sovrano e della corte (vedi scheda «Il giornalismo e la satira», capitolo 2).
In seguito alla pubblicazione di articoli poco compiacenti nei confronti del regime, il censore obbligava la testata in questione a chiudere i battenti. Ma di lì a poco la stessa redazione riprendeva l’attività sotto altro nome: un po’ come sarebbe poi successo durante la presidenza di Khatami. Tema ricorrente nella stampa di fine Ottocento e inizio Novecento era l’urgenza delle riforme, di alfabetizzare la popolazione e di migliorare la condizione femminile, senza per questo sperperare le risorse nazionali e imitare passivamente l’Europa, ma prendendo comunque a esempio il Vecchio Continente.
Sebbene gli intellettuali fossero animati da sfiducia nei confronti dell’autorità costituita, non per questo rinunciarono a incarichi prestigiosi nella pubblica amministrazione. Furono il fallimento delle riforme, concesse dall’alto in maniera confusa nel corso dell’Ottocento, e la resistenza della dinastia cagiara al cambiamento a sc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Premessa alla nuova edizione
  4. Avvertenza
  5. 1. I Cagiari: una dinastia in crisi
  6. 2. La rivoluzione costituzionale
  7. 3. La Prima guerra mondiale
  8. 4. Gli anni venti e trenta: Reza Shah Pahlavi
  9. 5. La Seconda guerra mondiale e l’ascesa di Muhammad Reza Shah
  10. 6. Petrolio e nazionalismo con il premier Mossadeq
  11. 7. Riforme e proteste degli anni sessanta e settanta
  12. 8. La rivoluzione del 1979 e la prima fase della Repubblica islamica
  13. 9. I presidenti Rafsanjani e Khatami: ricostruzione e riforma
  14. 10. Il primo mandato presidenziale di Mahmoud Ahmadinejad (2005-2009)
  15. 11. 2008-2018: cronaca di un decennio di svolta
  16. 12. Cronache del 2019
  17. 13. Cronache del 2020
  18. Cronologia
  19. Glossario
  20. Nota bibliografica
  21. Ringraziamenti