La mia Damanhur
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La mia Damanhur

La più grande comunità spirituale italiana raccontata da chi ci vive

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La mia Damanhur

La più grande comunità spirituale italiana raccontata da chi ci vive

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Informazioni sul libro

Quaranta anni di storia di Damanhur, raccontati da chi li ha vissuti di persona. Il racconto della giornata di un damanhuriano, per comprendere come si vive, si pensa, si cresce in quella che oggi è la comunità spirituale laica più grande in Italia.

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Informazioni

Editore
DEVODAMA
Anno
2016
ISBN
9788899652128
Categoria
Ecologia
Ore 14.30 - 18.00 - Capitolo Ottavo
I magici Templi
Inaspettata, mentre sto per alzarmi, arriva mia moglie, Furetto Oliva. Lei aveva non so bene quale impegno a pranzo, per cui non l’ho aspettata per mangiare, ma ora è qui per il caffè, ristretto per lei, lungo per me. Siamo insieme da quasi diciotto anni, provenienti entrambi da precedenti unioni. Siamo sposati civilmente: la cerimonia, nel Municipio di Baldissero Canavese, alla presenza dei parenti e dei damanhuriani, avvenne alla fine agosto del 1993, in un giorno che non riesco mai a ricordare. Il 23? Il 27? Di sicuro era un giorno dispari… I primi anni capitava che in occasione della ricorrenza mi telefonassero i parenti per farmi gli auguri e io impiegassi qualche minuto per capire gli auguri di cosa…
A Damanhur, quando due persone si vogliono bene, decidono se convivere e se sposarsi. Ciò che conta è che il rapporto sia basato sulla maturità e sul rispetto degli altri, a cominciare dai figli che verranno o che ci sono già. Nelle nostre comunità esiste anche una forma di matrimonio interno, per chi desidera contrarlo, basato sul rinnovamento: ci si sposa per uno, due, tre anni, per poi rinnovare l’unione. È un modo per verificare il rapporto, per non farlo consumare dall’abitudine, per non farlo invecchiare. Naturalmente, se il rapporto si esaurisce, il matrimonio finisce e non viene rinnovato. Furetto e io, oltre a essere marito e moglie davanti allo Stato italiano, ci siamo sposati damanhurianamente e abbiamo rinnovato alcune volte, per poi dirci che sentiamo di essere così uniti che non ci occorreva più rinnovare ogni tre anni. Il che non significa che un matrimonio possa a un certo punto essere dato per scontato, tutt’altro, ma io sono fortunato perché ogni giorno trascorso con Furetto porta uno spunto nuovo sia di divertimento sia di riflessione, e il nostro rapporto si trasforma sempre un po’.
Oggi, le unioni in Damanhur sono durature e le coppie sanno trovare in sé l’equilibrio tra il rinnovamento e la continuità. I primi anni, invece, era più facile che dopo poco tempo l’incanto venisse meno e si preferisse lasciarsi. Credo che questo sia una conseguenza dell’esperienza che via via Damanhur ha fatto come “creatura sociale”: un tempo, i ritmi comuni e le formule della convivenza risultavano molto impegnativi per la stabilità dei rapporti, e la dimensione affettiva ne soffriva; oggi, pur se per molti versi la vita è più complessa e sempre piena di impegni, trovo che abbiamo raggiunto la capacità di integrare bene la sfera privata e quella comunitaria, e la qualità delle unioni se ne avvantaggia.
Furetto mi dice che l’hanno chiamata i Re Guida perché vogliono parlarle del nostro nucleo comunità. Sarà da loro verso le sei.
Noi invece ci vedremo più tardi a Damanhur Crea. Oggi è mercoledì e come ogni mercoledì e giovedì sera, a partire dalle 19.30 si terrà un incontro di confronto, elaborazione, domande e risposte sui temi delle nostre esperienze. Una parte delle serate si svolge con la partecipazione di Falco, che risponde ai quesiti posti da cittadini e ospiti sulle diverse ricerche che Damanhur conduce in tanti ambiti.
Gli incontri del giovedì vengono trasmessi in diretta sul sito internet di Damanhur ma esserci, naturalmente, è un’altra cosa, perché permette di partecipare direttamente, esponendo le proprie tesi ed elaborandole insieme ai presenti.
E poi, voglio proprio vedere che faccia faranno le persone quando assisteranno allo sketch di stasera. Questa volta l’autore non sono io ma Arciere Aglio: due sere fa ho avuto modo di assistere a una breve prova e ho trovato il testo divertente e alcune caratterizzazioni degli attori molto azzeccate. Tratta di autosufficienza energetica, proponendo una serie di assurde invenzioni per produrre energia e ridurre i consumi. Per noi è un tema importante ma per una volta lo tratteremo per riderci su!
Ora è proprio il momento di andare, altrimenti non avrò abbastanza tempo per terminare il lavoro che voglio fare nei Templi dell’Umanità. Salgo lungo le stradine del paese di Vidracco e raggiungo l’area che chiamiamo Etulte, comprendente i nuclei-comunità di Cornucopia, Ognidove, Tin e Porta del Sole. Il suo bosco di castagni mi avvolge mentre parcheggio la macchina e suono al cancello del nucleo comunità della Porta del Sole, strada di accesso ai Templi dell’Umanità.
Ai Templi dell’Umanità sono stati dedicati libri, documentari, servizi televisivi, articoli sui giornali. Io stesso sono lo sceneggiatore, insieme a Esperide Ananas, di un albo a fumetti che ne racconta la storia, e che poi Ape Soja, Pangolino Tulipano e Cinzia hanno disegnato.
Si tratta di costruzioni sotterranee, di migliaia di metri cubi, che si snodano attraverso una successione di sale collegate tra loro da corridoi che si allungano nel cuore della montagna. Corridoi e sale, di grandezze e forme diverse, ospitano dipinti, mosaici, statue e realizzazioni artistiche di ogni genere, oltre a porte a scomparsa, passaggi nascosti e, naturalmente, impianti di servizio atti a rendere perfettamente vivibile un luogo completamente ipogeo. I Templi rappresentano il percorso evolutivo dell’essere umano, il viaggio che ognuno compie alla scoperta del sé. Attraverso l’apertura delle porte segrete e palesi che contengono, e le tappe nelle varie sale, i Templi simboleggiano e danno indicazioni per il percorso di risveglio dell’essere umano.
I lavori di costruzione dei Templi iniziarono nel 1978, per realizzare un luogo che fosse espressione di tutte le arti, in cui dare corpo al potere creativo dell’essere umano, un luogo nel quale poter esprimere il contatto col Divino attraverso l’amore per il “bello”. Sono stati costruiti a mano, esclusivamente dai damanhuriani; sono ipogei per poter raggiungere un nodo di linee sincroniche, oltre che per essere perfettamente isolati dalle radiazione di superficie.
Le Sale sono dedicate agli elementi fondamentali della natura: Acqua, Aria, Terra e Fuoco, e prendono spunto dalle tradizioni spirituali dell’umanità intera, dando origine ad ambienti straordinari: la Sala dell’Acqua, delle Sfere, degli Specchi, il Labirinto, la Sala dei Metalli e le due grandi Sale della Terra.
Sono qui questo pomeriggio per dare una mano di bianco sulla volta di un corridoio che ha bisogno di qualche piccolo restauro. I Templi sono la nostra grande opera collettiva, nella quale ognuno di noi ha picconato la roccia, l’ha portata fuori a mano dentro secchi da muratore portando dentro, al ritorno, i mattoni per i muri, oppure ha decorato pareti, posato pavimenti, tirato chilometri di cavi elettrici; gli artisti, che spesso sono diventati tali proprio dedicandosi ai Templi, hanno posato mosaici, dipinto pareti, realizzato straordinarie opere in vetro Tiffany, tra le quali le cupole che sovrastano alcune sale.
Ognuno di noi ha un proprio, personale rapporto con quest’opera. Fino al 1992, è stato il nostro grande segreto collettivo: l’edificazione dei Templi è avvenuta tutta in segreto, un po’ perché non c’era nessuna autorità a cui chiedere il permesso, perché un’opera del genere proprio non era prevista dalla legislazione locale, e un po’ perché volevamo qualcosa di unicamente “nostro”, che ci unisse, anche nel mantenerne insieme segreta l’esistenza.
Ogni volta che un cittadino veniva introdotto per la prima volta all’interno delle sale del complesso, facevamo in modo di nasconderci dentro nel maggior numero di persone possibili, far entrare il “nuovo” nella penombra… e poi accendere tutto e rivelarci, mostrando la magnificenza delle stanze e dei corridoi. Per il nuovo arrivato, c’erano la meraviglia, lo stupore, l’incredulità di trovarsi calati in una realtà che non avrebbero mai immaginato; per noi, c’era il piacere, uguale e nuovo ogni volta, di vedere questi sentimenti dipinti sul suo volto.
Io stesso, pur essendo arrivato a Damanhur quando i Templi erano molto, ma molto più piccoli di come sono adesso, ebbi l’opportunità di entrare in una sala, meravigliarmi per la sua esistenza, e poi a un certo punto vedere una parete spostarsi e aprirsi su un’ulteriore sala, ancora più grande e bella, alla quale accedere attraverso una scala di marmo! Ricordo gli altri che mi guardavano e io non sapevo cosa dire: mi trovavo dentro una montagna, in una sala che pareva tratta da un film su Atlantide, e tutto mi sembrava incredibile. Ci misi qualche minuto ad accorgermi che il pavimento della nuova sala nella quale mi trovavo aveva un’apertura al centro, dalla quale qualcuno stava continuando a estrarre roccia e terra. Mi avvicinai, afferrai il secchio che mi passavano e lo passai a mia volta.
Da allora, anche io presi ad andare avanti e indietro con i miei bravi secchi pieni di roccia, all’andata, e di mattoni, al ritorno.
Poi, venne l’estate del 1992.
Era la mattina del 3 di luglio. Furetto e io abitavamo insieme da alcuni mesi, a Magilla, poco distante da Casa del lago; al mattino arrivammo a Damjl e trovammo in parcheggio un’aria strana, e alcuni capannelli di cittadini che parlavano fittamente. Venimmo subito informati di ciò che stava succedendo: di primo mattino, il Procuratore della Repubblica in persona, da Ivrea, si era presentato alla Porta del Sole con 60 carabinieri, con l’obiettivo di trovare i Templi. Una segnalazione alla Procura, da parte di un gruppo di ex damanhuriani, ne aveva segnalato l’esistenza.
Chi era alla Porta del Sole, quel mattino, trattenne a lungo il fiato per la piega che avrebbero potuto prendere gli eventi. Poi, dopo una mattinata di tensione, Falco, arrivato nel frattempo alla Porta del Sole, prese i telecomandi delle porte a scomparsa e aprì i Templi dell’Umanità.
Il Procuratore ispezionò tutta la struttura.
Poi, prese una decisione che andò al di là delle nostre aspettative, e ci permise di trasformare un’apparente sconfitta nell’inizio di una nuova fase della nostra storia: pose l’opera sotto sequestro ma, in considerazione del suo valore, la affidò alla nostra tutela per tutte le manutenzioni delle quali necessitava. Inoltre, mantenne il riserbo nei confronti della stampa sulla scoperta dei Templi, il che ci permise di avere il tempo di trovare noi la maniera giusta per parlarne al mondo.
Sapevamo che avremmo dovuto superare molte prove per poter continuare a costruirli, abbellirli, utilizzarli. Ma provammo anche una nuova forma di speranza: i Templi erano stati scoperti e, proprio per questo motivo, potevano ora essere presentati al mondo intero. Il loro messaggio di amore per la Bellezza, l’Armonia, la Spiritualità non avrebbe potuto rimanere senza effetto.
Il magistrato era il Procuratore Bruno Tinti, che negli ultimi anni è salito agli onori della cronaca anche come autore del pamphlet “Toghe rotte”, sull’amministrazione della giustizia in Italia. Nel marzo del 2008 sono stato, insieme a lui, ad altri magistrati e ad altri damanhuriani, tra i relatori di un convegno organizzato dall’Accademia dell’Equilibrio, intitolato “Leggi scelte o subite”.
Iniziò la battaglia legale per la salvaguardia dei Templi.
Ci fu subito chiaro che occorreva mobilitarci tutti, poiché gli ostacoli da superare erano molti: l’ostilità di una parte delle amministrazioni locali, che arrivarono all’ipotesi di riempire i Templi di sabbia e richiuderli, il soffiare sul fuoco da parte della Curia, la mancanza di precedenti relativi a costruzioni sotterranee destinate ad attività spirituale, la scelta delle autorità a vario livello di non prendere la decisione di condonare l’abuso edilizio per non rendersi invise alla Chiesa. Il “reato” reale era poca cosa, ma quello simbolico era molto più grave: aver costruito in Italia un complesso di Templi non cattolici e per giunta non riconducibili a religione alcuna!
Per quattro anni non ci fu un momento di respiro: organizzammo conferenze stampa, trasmissioni radiotelevisive in Italia e in tutto il mondo, incontri con personalità dell’arte, della cultura e della politica. Raccogliemmo oltre centomila firme di persone che chiedevano con noi che i Templi fossero rispettati e lasciati in affidamento ai damanhuriani.
Una sera, mentre proponevo la nostra petizione sul lungo Po dei Murazzi, a Torino, mi imbattei in un signore egiziano di una certa età e dall’italiano impeccabile, che guardandomi in tralice disse: “Templi dell’Umanità a Damanhur? Io sono nato a Damanhur e non mi risulta niente del genere!”
Avevo incontrato un nativo della Damanhur egiziana, anzi della “Damanhour”, secondo la traslitterazione più usata, la cittadina del delta del Nilo al cui nome si erano ispirati i fondatori della nostra Damanhur! Secondo la tradizione, nei sotterranei di Damanhour si formavano i saggi e gli uomini di conoscenza egizi, e l’idea del nome era venuta da lì… Chiarito l’equivoco, il distinto signore “damanhouriano” aderì alla r...

Indice dei contenuti

  1. Ore 6.50 - 8.00 - Capitolo Primo
  2. Ore 8.00 - 9.30 - Capitolo Secondo
  3. Ore 9.30 - 11.00 - Capitolo Terzo
  4. Ore 11.00 - 11.30 - Capitolo Quarto
  5. Ore 11.30 - 12.30 - Capitolo Quinto
  6. Ore 12.30 - 13.00 - Capitolo Sesto
  7. Ore 13.00 - 14.30 - Capitolo Settimo
  8. Ore 14.30 - 18.00 - Capitolo Ottavo
  9. Ore 18.00 - 19.00 - Capitolo Nono
  10. Ore 19.00 - 19.30 - Capitolo Decimo
  11. Ore 19.30 - 20.30 - Capitolo Undicesimo
  12. Ore 20.30 - … - Capitolo Dodicesimo
  13. Damanhur,