L'uomo della sabbia
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L'uomo della sabbia

Ernst T.A. Hoffmann, Simonetta Russo

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L'uomo della sabbia

Ernst T.A. Hoffmann, Simonetta Russo

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Per Nathanael non ci sono dubbi; il rivoltante e malefico Cappellius ha ucciso suo padre e non può che essere lui L'uomo della sabbia, orribile mostro che strappa gli occhi ai bambini disobbedienti.

Divenuto adulto Nathanael ritrova Cappellius nella figura di Giuseppe Coppola, un venditore di barometri. Riemergono così i fantasmi e le paure del passato e a nulla serviranno l'amicizia di Lotario e l'amore di Clara che, in maniera razionale, gli mostreranno come Cappellius e Coppola siano solo fantasmi che albergano nel suo io.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788897543596
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

1

Nathanael a Lotario

Immagino che siate tutti molto preoccupati, perché è da tanto, tanto tempo che non scrivo. La mamma certamente mi terrà il broncio e Clara probabilmente crederà che io passi il mio tempo qui tra feste e banchetti, dimentico della graziosa immagine del mio angelo, così profondamente impressa nel mio cuore. Ma non è così. Vi penso ogni giorno e ogni ora e nei miei sogni passa la dolce figura della soave, piccola Clara, che mi sorrise candidamente con i suoi occhi chiari, proprio come fece allora, quando entravo a casa vostra.
Ah! ma come avrei potuto scrivervi, in quell'affranta condizione dello spirito, che sconvolgeva tutti i miei pensieri? Qualcosa di spaventoso è entrato nella mia vita! Presentimenti oscuri di minaccia da parte di un destino crudele gravano sulla mia testa, simili a nuvole nere, che nessun raggio di sole amico può penetrare.
Ora dovrei raccontarti quanto mi è successo. Dovrei e lo so bene, ma non appena ci penso un’irrefrenabile risata mi sale dallo stomaco.
Carissimo Lotario! Da devo cominciare, per farti anche solo in parte comprendere e sentire che quello che giorni fa mi è successo ha davvero spezzato nel modo più crudele la mia vita! Se tu fossi qui, potresti constatarlo di persona: così, invece, mi riterrai, ne sono sicuro, uno squilibrato visionario.
Insomma, la cosa spaventosa che mi è capitata e alla cui terribile ombra tento inutilmente di sfuggire, non consiste in altro se non in questo: alcuni giorni fa, precisamente il 30 ottobre, a mezzogiorno, un venditore di barometri è entrato nella mia stanza e mi ha offerto la sua merce. Io non gli ho comprato niente e anzi ho minacciato di spingerlo giù dalle scale, costringendolo ad andare via.
Capirai immediatamente che quanto accaduto deriva da ragioni particolari e intimamente e profondamente radicate nella mia vita. Anzi, che proprio la persona di quello sciagurato mercante deve avere avuto una simile sinistra influenza su di me.
E così è infatti. Chiamo a raccolta tutta la mia forza per concentrarmi e per raccontarti con calma e pazienza tanti episodi del tempo della mia infanzia, cosicché tu possa, in ognuno di essi e in quello che ora mi succede, vedere chiaramente come in limpide immagini. Mentre mi preparo a raccontare, sento Clara e te, che dite:
"Ma queste non sono altro che bambinate!”.
Oh, sì, ridete, vi prego, ridete di tutto cuore di me! Ve ne prego proprio! Ma, buon Dio, a me si rizzano i capelli in testa e è come se vi supplicassi di ridere di me in preda a una folle disperazione, simile a quella che colse Franz di Moor con il suo servo Daniel.
Ma vengo ai fatti.
Io e le mie sorelle, eccettuato il tempo di pranzo, vedevamo molto poco nostro padre durante il giorno. Egli doveva essere molto occupato con il suo impiego. Dopo la cena, che secondo le vecchie abitudini era alle sette, andavamo tutti con la mamma nella stanza di lavoro del babbo e ci sedevamo intorno a una tavola rotonda. Il babbo fumava e poi si beveva un grosso bicchiere di birra. Spesso ci raccontava storie meravigliose e si accalorava tanto, che nel raccontare gli cadeva giù la pipa e io dovevo sempre riattaccarvi il fuoco con della carta accesa, e ricordo quanto questo rappresentasse per me un gran divertimento. Ma spesso ci dava anche in mano libri illustrati e se ne stava muto e rigido nella sua poltrona, soffiando intorno a sé nuvole di fumo così dense, che noi sembravamo nuotare nella nebbia. La mamma era molto triste in sere così e l'orologio batteva appena le nove, che ci diceva: "Via, bambini, a letto, a letto! Ecco arriva l'uomo della sabbia, io l'ho già capito". E ogni volta, nell’andare verso la camera, avevo davvero l’impressione di sentire un passo pesante e lento che faceva rumore sulla scala: quello doveva essere l'uomo della sabbia.
Un giorno questo fracasso e questo avanzare furono per me particolarmente spaventosi e mentre la mamma ci portava via, io le chiesi: "Mammina, ma chi è il cattivo uomo della sabbia, che ci porta via da papà?". "Bambino mio - rispose mia madre - non esiste nessun uomo della sabbia; quando io dico che viene l'uomo della sabbia, voglio solo dire che voi avete sonno e non potete tenere gli occhi aperti, proprio come se qualcuno vi avesse messo dentro della sabbia". La risposta della mamma non mi accontentò: anzi nel mio animo infantile si andò sviluppando l'idea che la mamma avesse negato l'esistenza dell'uomo della sabbia, per non farci spaventare; io però lo sentivo sempre venire su dalla scala. Pieno di un'intensa curiosità di conoscere qualcosa di più intorno a questo famoso uomo della sabbia e alle sue relazioni con noi bambini, interrogai alla fine la vecchia governante della mia sorella minore: che razza di uomo era dunque quest'uomo della sabbia? "O sciocchino! - rispose costei - ma non lo sai ancora? E' un uomo cattivo che viene dai bambini che non vogliono andare a letto e getta loro negli occhi manate di sabbia, finché questi non schizzano fuori sanguinanti dalla testa: allora butta gli occhi in un sacco e li porta, quando la luna splende a metà, da mangiare ai suoi piccoli; loro stanno là in un nido e hanno becchi adunchi come i gufi e beccano dal sacco gli occhietti dei bambini che non sono stati saggi". Allora in me si dipinse terrificante la figura dell'uomo della sabbia e quando a sera sentivo rumore di passi sulla scala tremavo di paura e di orrore. La mamma poteva soltanto strapparmi un grido che mi usciva alla deriva tra le lacrime: "L'uomo della sabbia! L'uomo della sabbia!". Poi scappavo via nella stanza da letto e per tutta la notte la terribile visione dell'uomo della sabbia mi tormentava.
Ero già diventato abbastanza grande per capire che le cose, riguardo all'uomo della sabbia e al suo nido di gufi sotto la luna che splende a metà, non dovevano essere proprio così come me le aveva raccontate la governante. Eppure l'uomo della sabbia restava tuttavia per me un orrendo fantasma, e terrore e raccapriccio si impadronivano di me, quando lo sentivo, non solo salire le scale, ma aprire violentemente la porta della camera di mio padre ed entrare. Per molto tempo non veniva, poi tornava più volte di seguito. Anni e anni durò in me questo terrore e mai mi riuscì di abituarmi alla ripugnante apparizione, mai impallidì in me la figura dell'uomo della sabbia. I suoi rapporti con mio padre iniziarono a preoccupare sempre più la mia fantasia, ma un invincibile senso di vergogna mi tratteneva dal chiederne a mio padre, mentre d'altra parte il desiderio di penetrare il mistero, di vedere il fiabesco uomo della sabbia aumentava con gli anni sempre più in me.
L'uomo della sabbia mi aveva messo sulla via del meraviglioso, dell'avventuroso, che di per sé si annida con tanta facilità in ogni animo infantile. Non mi piaceva leggere o ascoltare che le storie di streghe, coboldi, nani, eccetera, ma sopra a tutte quante stava ancor sempre l'uomo della sabbia, che io nelle forme più stravaganti e ripugnanti disegnavo dappertutto, su tavoli, armadi, pareti, con il gesso o con il carbone.
Quando ebbi dieci anni, mia madre mi sistemò, togliendomi dalla camera dei bambini, in una cameretta che dava sul corridoio, non lontano dallo studio di mio padre: anche allora appena suonavano le nove e lo sconosciuto si annunciava in casa con bacano, noi dovevamo allontanarci in fretta. Dalla mia cameretta io sentivo il suo entrare dal babbo e poi, quasi subito, mi sembrava che uno strano fumo odoroso si diffondesse per la casa. Sempre più forte si fece in me la curiosità e la decisione di fare in qualsiasi modo la conoscenza dell'uomo della sabbia. Spesso strisciavo veloce nel corridoio, quando la mamma era passata, senza però riuscire a capire niente attraverso questo spionaggio, perché quando ormai ero riuscito a raggiungere il posto da dove mi sarebbe stato possibile vederlo, ogni volta l'uomo della sabbia era già sparito dietro la porta. Alla fine, spinto da un impulso al quale non fui capace di resistere, decisi di nascondermi proprio nella camera di mio padre e di aspettare là l'uomo della sabbia. Dal silenzio di mio padre e dalla tristezza di mia madre, mi accorsi che quella sera l'uomo della sabbia sarebbe venuto. Finsi allora una grande stanchezza e prima che suonassero le nove lasciai la stanza e mi nascosi in fondo ad un angolo stretto e buio, vicino alla porta.
La porta di casa scricchiolò, dal pianerottolo si mossero verso la scala passi lenti e pesanti e minacciosi. La mamma mi passò in fretta davanti con le mie sorelle. Piano piano aprii la porta della camera di mio padre: egli sedeva com'era sua abitudine, muto e assente, con le spalle girate alla porta e non si accorse di me. In un attimo fui dentro, dietro la tenda appesa sul davanti di un armadio aperto, messo vicino alla porta, in cui stavano gli abiti di mio padre.
P...

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