Metamorfosi dei topoi nella poesia europea dalla tradizione alla modernità. II
eBook - ePub

Metamorfosi dei topoi nella poesia europea dalla tradizione alla modernità. II

Le forme di Proteo - Antichi e nuovi topoi nella poesia del '900

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Metamorfosi dei topoi nella poesia europea dalla tradizione alla modernità. II

Le forme di Proteo - Antichi e nuovi topoi nella poesia del '900

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

«Non credo sia facile ricostruire quale sia stato il modo di procedere di E.R. Curtius nell’affrontare in Letteratura europea e Medio Evo latino, uno dei grandi classici della critica del Novecento, la grande questione della continuità o della discontinuità tra la tradizione letteraria greco-latina, quella del Medio Evo cristiano dopo la caduta dell’Impero Romano, per arrivare alle letterature in lingua volgare, poi moderne, e alla grande cesura storica, per lui segnata dal secolo dei Lumi.
Di quest’opera molte lacune, incoerenze, limiti e contraddizioni, nei decenni che ci separano dalla sua prima edizione del 1948, sono state in settant’anni evidenziate e sviscerate in numerosissimi interventi e recensioni firmate da critici di orientamenti anche molto diversi.
Più obiezioni e perplessità che consensi riempivano quegli scritti anche se il riconoscimento per il coraggio di un’impresa unica per grandiosità e ambizione era, quasi sempre, la premessa necessaria alle stroncature più o meno radicali che seguivano.
Eppure il grande libro di Curtius continua a essere letto o, meglio, consultato, e ha resistito a tutto, alle radicali mutazioni dei metodi e delle questioni che appassionano la critica letteraria contemporanea e perfino al disinteresse prevalente, negli anni più recenti, per temi che non siano di attualità.…» — Il Curatore

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Metamorfosi dei topoi nella poesia europea dalla tradizione alla modernità. II di Paolo Amalfitano, Andrea Afribo, Michele Murat,, Alessandro Niero, Guido Paduano, Filippomaria Pontani, Ines Ravasini, Niccolò Scaffai, Fabio Scotto in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Critica letteraria. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788869956690

ANDREA AFRIBO

VECCHI E NUOVI TOPOI. PER UNA MAPPATURA DELLA POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO

Qual è il destino, nella poesia italiana del Novecento, dei topoi che Curtius ha compreso o avrebbe potuto comprendere in Letteratura europea e Medio Evo latino?1 Persistono? Spariscono? Si trasformano? A tutte e tre le domande si può rispondere affermativamente, ma cominciando con l’ovvio: sì, spariscono (o quasi). Una conferma tra le tante, certo superflua e prevedibile ma tanto perfetta e ad hoc da sembrare inventata, potrà venire da Edoardo Sanguineti, per il quale il Novecento si configura come il «ghigliottinamento delle regole “secundum Curtius”» e previa monumentalizzazione di un Alberto Savinio che sul Novecento non può che scrivere – siamo nel 1947: «Al nostro secolo daremo questo nome: Fine dei modelli»2. Basti poi una seconda conferma da sponde non poco diverse, cioè da Montale, pur dotato in profondo di un indiscutibile (ed eliotiano) senso della tradizione. Si pensi ovviamente allo scritto dal titolo trasparente come Stile e tradizione (1925)3, oppure a questa dichiarazione: «Il linguaggio di un poeta è un linguaggio storicizzato» (1946)4, o a questa: «non si rinunzia a determinati schemi» (1958)5. Può però, Montale, scrivere tra l’altro che «i trovatori […] che cantano per universali e ripetono ingenuamente le forme del passato come realtà estrinseche valide di per sé» sono «falliti uno dopo l’altro»6; e sul topos del notturno lunare: «Nessun poeta moderno si rivolgerebbe alla luna col famoso interrogativo che fai tu luna in ciel»7. E segnalo infine (e non so fino in fondo perché) questo pensiero di Fortini su Montale traduttore di Guillén: «dove Montale vede una lacerazione [… un] mondo diviso e contradditorio», «Guillén vede una totalità, […] una lucente illusione di ordine […] dove si ritrovano Eliot e Curtius, Mann e Gide, Cecchi e Ungaretti»8.
Come è dunque cosa ovvia che nel Novecento italiano i motivi antichi (e curtiani) non esistono o quasi – ma il quasi è interessante e ci tornerò, così è altrettanto ovvio che esista una (o più) tradizione del Novecento poetico italiano, come direbbe Mengaldo. Il che implica la continuità con passato, tradizione, modelli, fonti ma a patto che essa sia discontinua e doppiata dalle più varie forme di occultamento, mislettura, nevrotizzazione o contestazione fino al rovesciamento. E soprattutto significa che, ricitando Montale, «non si rinunzia a determinati schemi senza che sorga il bisogno di crearne altri»9. Da qui appunto una tradizione interna, tutta novecentesca, costruita o ricostruibile da insistenze e incroci su temi-motivi e/o condensazioni tematico-formali, fino a modellizzare ciò che nasce contro i modelli – e subito penso, per questo punto (ma è un topos sui generis), alla metrica libera che già a metà del secolo da strappo originario può ricucirsi in «repertorio di voci non meno autorevoli e sociali di quanto non fossero odi e sonetti» come scrive Franco Fortini nel 195710.
Oppure ancora: nuovi luoghi comuni sì, ma che entrando nel merito della loro gestione, possono dividere il campo della poesia e funzionare come, diciamo, delle isoglosse: essere insomma congiuntivi ma anche separativi. Si prenda il motivo della finestra – finestra o sue varianti come terrazza, balcone o qualsiasi luogo sopraelevato, mettiamo il ricorrente e leopardianissimo «cantuccio» da cui Saba, in Trieste, guarda la sua «città, sì pittoresca e viva» o persino il finestrino di un’auto in corsa, quello da cui Vittorio Sereni osserva filosoficamente il divenire e l’immutabilità di un paesaggio: l’anno è il 1960, la poesia Ancora sulla strada di Zenna ne Gli strumenti umani. E la pervasività e topicità di tali postazioni siano fotografate da questo pur lacunoso elenco di titoli:
S. Corazzini, La finestra aperta sul mare (Le aureole, 1905); M. Luzi, Terrazza (La barca, 1935); A. Gatto, Balcone (Isola, 1932); Mi chiami alla finestra (Poesie d’amore, 1941-49, 1973); Alla finestra (La forza degli occhi, 1954); Donne alla finestra (Osteria flegrea, 1962); E. Montale, Il balcone (Occasioni, 1939); V. Sereni, Terrazza (Frontiera, 1941); C. Betocchi, Alla finestra, d’inverno, all’ora della prima messa (L’estate di San Martino, 1961); L. Erba, Dalla terrazza, Alla finestra (Nella terra di mezzo11); G. Caproni, Dietro i vetri (Come un’allegoria, 1936); A. Zanzotto, Per la finestra nuova (IX Ecloghe, 1962); F. Fortini, Dalla mia finestra (Una volta per sempre, 1963); G. Raboni, Dalla mia finestra (Le case della Vetra, 1966); A. Bertolucci, Dal balcone (Viaggio d’inverno, 1971); G. Giudici, Finestra (Quanto spera di campare Giovanni, 1993); Finestrina (Empie stelle, 1996); S. Solmi, Dal balcone (1968); M. De Angelis, La finestra (Somiglianze, 1976); A. Anedda, Dal balcone del corpo (2007).
Dunque, la finestra unisce: è un «luogo simbolico della poesia contemporanea»12 sia novecentesca che duemillesca, protegge l’io e insieme lo esclude dagli altri e dal mondo; reifica e sintetizza il tema dell’attesa e l’inadeguatezza tra uomo e azione. Qualche citazione significativa. Bertolucci, Ritratto di un uomo malato (da Viaggio d’inverno, 1971): «così è degli infermi/ posti davanti a finestre che incorniciano il giorno»13; Fortini, questo incipit sintomatico quanto bellissimo nella sua «secchezza»: «Beninteso posso ancora guardare. La finestra ha qualche lacrima»14 (New England, da Paesaggio con serpente, 1983); e facendo un salto di tempo, Antonella Anedda, da Notti di pace occidentale (1999), dove le notti sono quelle delle guerre del Golfo o del Kosovo, e qui la finestra è ricorrente, quanto basta per definire lo status dell’io assediato, in veglia e stoicamente resistente: «Siedi davanti alla finestra/ guarda, ma accetta la disperazione»15. E infine, Giovanni Raboni, nel 1957: la «finestra è sicuramente uno dei luoghi o meglio delle situazioni, che mi hanno spinto a voler essere un poeta. Di ogni poesia avrei voluto fare un osservatorio […] per guardare la vita – cioè, forse, per non viverla»16.
Ma la finestra può anche dividere e distinguere – ad esempio Ungaretti da Montale, rafforzandone l’opposizione tra i due sistemi, direi l’allergia reciproca.
Basti prendere Lindoro di deserto del primo Ungaretti, l’ultima strofa: «Da questa terrazza di desolazione/ in braccio mi sporgo/ al buon tempo», cioè da una parte il negativo della «desolazione» ma subito assorbita e confutata dialetticamente dalla sintesi positiva dell’abbraccio al «buon tempo». Tanto più che quest’ultimo, in questo testo, è associato e rafforzato da ulteriori segni positivi quali «Il sole spegne il pianto» o «Mi copro di un tepido manto/ di lind’oro»17.
All’opposto Montale, e a partire da Il balcone, fondamentale proemio delle Occasioni che così si chiude: «A lei [cioè alla vita] ti sporgi da questa/ finestra che non s’illumina». Ma via via non si trovano che conferme, ed ecco «le finestre chiuse» di Quasi una fantasia (Ossi), o l...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. INDICE
  5. Introduzione di Paolo Amalfitano
  6. Nota bibliografica
  7. GUIDO PADUANO: Topos e tema: un’opposizione teorica (con un esempio da Pasolini)
  8. FILIPPOMARIA PONTANI: Un domaine extérieur molto particolare: Alessandria, l’alessandrinismo e il fenomeno Kavafis
  9. PAOLO AMALFITANO: Nuovo Inferno, nuovo Paradiso. Le forme del tempo nella poesia di T. S. Eliot
  10. NICCOLÒ SCAFFAI: «Di che cosa è composto il giardino». L’anti-idillio come topos nella poesia del Novecento
  11. INES RAVASINI: Per una topica «universal y andaluza»: antichi topoi e nuovi linguaggi in Federico Garcia Lorca
  12. LUIGI REITANI: «Di buio in buio»: tenebre e notte nella poesia di Paul Celan
  13. FABIO SCOTTO: Corpo e presenza in Bernard Noël e Yves Bonnefoy
  14. ALESSANDRO NIERO: Intorno alle «Egloghe» di Iosif Brodskij
  15. MICHEL MURAT: «Tutto e tutti si somigliano»: luoghi comuni della modernità negativa
  16. ANDREA AFRIBO: Vecchi e nuovi topoi. Per una mappatura della poesia italiana del Novecento