La responsabilità sanitaria dopo il decalogo di San Martino
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La responsabilità sanitaria dopo il decalogo di San Martino

Aggiornata alle ultime sentenze della Suprema Corte di Cassazione

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La responsabilità sanitaria dopo il decalogo di San Martino

Aggiornata alle ultime sentenze della Suprema Corte di Cassazione

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Informazioni sul libro

L’opera è aggiornata alle novità giurisprudenziali tratte dal c.d. Decalogo di San Martino, ossia quelle dieci sentenze emessa alla fine dell’anno 2019 dalla Suprema Corte che chiariscono aspetti rilevanti della responsabilità sanitaria, ancora oggetto di discussione e dibattiti.
Un’opera necessaria che completa il quadro tecnico operativo già trattato nella precedente opera di questo autore sulla Responsabilità medica.
Infine, l’opera pertanto è aggiornata alle più recenti pronunce giurisprudenziali del 2019 c.d. sentenze di San Martino.

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Informazioni

Capitolo 1
Il concetto giurisprudenziale di responsabilità civile del medico

SOMMARIO: 1. Cenni introduttivi. – 2. Passaggio dalla legge n. 189/2012 alla legge n. 24/2017. – 3. La responsabilità in generale. – 4. La trasparenza del sanitario come obbligo giuridico.

1. Cenni introduttivi

La norma fondamentale di ogni argomentazione che nasce attorno alla tematica relativa alla condizione psico-fisica dell’uomo è rappresentata dall’art. 32 della Costituzione italiana. La norma cardine, la norma originaria a tutela della salute dell’individuo è inserita nella “carta legislativa primaria” dell’ordinamento italiano: la Costituzione.
Tale circostanza non è da sottovalutare, perché ci permette di capire il motivo per il quale è opportuno, ma direi ancor più, doveroso, o meglio ancora, obbligatorio porre la massima attenzione quando entra in gioco questo diritto. Il diritto alla salute, infatti, è tra i diritti fondamentali nello stato italiano ed è stato consacrato all’interno della Costituzione proprio affinché gli fosse apprestata la massima tutela, dal punto di vista normativo, ma anche giurisprudenziale.
La disposizione citata recita espressamente che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”.
Non è considerata, quindi, un esclusivo diritto dell’individuo ma come interesse dell’intera comunità e, come tutti i diritti considerati fondamentali, anch’esso è garantito in forma gratuita a coloro che non hanno le risorse economiche sufficienti.
Solo per fare chiarezza, sottolineiamo che con la espressione “interesse della collettività” si vuole intendere la possibilità di imporre trattamenti sanitari obbligatori, ad esempio in presenza di malattie contagiose, potenzialmente letali.
È naturale, da quanto accennato, quindi, che una delle professioni più attenzionate, proprio perché più in correlazione con l’aspetto della salute dell’individuo, o per meglio dire, proprio perché hanno come scopo quello della pratica della cura della salute dell’individuo, è quella del medico.
Essere attenzionati, oggi, ma come in tutti i tempi d’altronde, significa essere al centro di circuiti di responsabilità molto delicati, e, quindi, essere oggetto di numerose questioni giurisprudenziali o, se vogliamo dirlo in termini prettamente giuridici, come l’opera ci impone di fare, essere parte in causa nelle liti di risarcimento danni per responsabilità professionale.
La cura della salute va necessariamente di pari passo con l’evoluzione tecnologica ed il progresso scientifico. Da qui, al giorno di oggi, con il crescere anche delle aspettative di cura, con le nuove malattie ma anche i nuovi sistemi spesso sperimentali di cura, si è sviluppata una sempre maggior sensibilità nei confronti di tutti gli aspetti che concernono la tutela della persona e, in particolare, della salute.
Oggi l’intervento medico, inoltre, non si estende solo alla diagnosi e alla cura, ma anche alla prevenzione, tanto che è accaduto un ampliamento dell’ambito di indagine concernente la responsabilità del medico. In tal modo quando si parla di responsabilità medica si ricomprendono tutti i titoli di responsabilità nel settore.
L’evoluzione principale sul tema si è avuto, come spesso accade, a causa dei numerosissimi interventi giurisprudenziali, e alle numerosissime ipotesi che differenziano e che possono differenziare casi simili, apparentemente analoghi.
Ecco così che la giurisprudenza è sempre più tesa a cercare quella “pronuncia madre” capace di elaborare il principio cardine da poter essere usato per ogni fattispecie concreta e che possa, in qualche modo, magari, anche ridurre l’iscrizione a ruolo delle cause, facendo chiarezza definitivamente. La difficoltà, però, è notevole e tale ricerca continua a creare non solo contrasti giurisprudenziali nei Tribunali nazionali ma anche in quelli sovranazionali e ovviamente, dove c’è dibattito giurisprudenziale c’è dibattito dottrinale.
Il medico diventa spesso, così, legittimato passivo in questo genere di cause in cui si cerca di addebitargli (a volte a ben ragione, a volte approfittando di quella “giurisprudenza di sensibilità” che più che guardare all’oggettività delle situazioni guarda alla tutela imprescindibile del soggetto che considera debole, ossia, il paziente) una qualche responsabilità, tanto da portare il suo operato dall’ottica della guarigione del paziente e quindi della migliore soluzione per la sua cura, all’ottica dell’assenza di rischi della propria responsabilità, l’ottica medicina di difesa, in altre parole del rigido principio del “mi attengo scrupolosamente ai protocolli per non rischiare di essere trascinato in una causa di responsabilità per colpa”.
Ecco, così, il nascere di quella che viene detta medicina difensiva, attiva o passiva.
Dalla medicina difensiva, quindi, alla legge dell’08 novembre 2012, n. 189 che cerca di attenuare la responsabilità del medico nella sua tipologia della colpa lieve, inserendo le cosiddette “linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica”.
Infine, dalla legge del 2012 alla riforma del 2017, sulla base del disegno di legge, n. 2224, approvato dalla Camera dei deputati in data 28.01.2017, recante “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario” in cui è stato proposto l’assorbimento dei disegni di legge recanti “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e di responsabilità in ambito medico e sanitario” e “Norme per la tutela della salute, per la disciplina del rischio clinico e della responsabilità professionale medica”, ed approvato con modifiche dal Senato in data 11.01.2017 recante infine “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
La nuova legge, al fine di sancire la fondamentale, riconosciuta e riconfermata importanza della materia, dispone all’art. 1 “La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività”.
Schema riassuntivo
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2. Le linee guida della legge n. 189/2012 e della riforma del 2017

“La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative.
Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private è tenuto tutto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale”.
Questo è il tenore dei commi 2 e 3 dell’art. 1 della nuova legge approvata recentemente. Si ribadisce l’intento di mettere la sicurezza delle cure al primo posto nonché tutta quell’attività di prevenzione e di gestione del rischio legato all’esercizio della prestazione sanitaria. Ancora evidente, inoltre, la parificazione dei ruoli, dal punto di vista delle responsabilità in materia di prevenzione del rischio, fin dai primi cenni della legge. Il comma 3, infatti, prevede che sia nelle strutture pubbliche che provate tutto il personale concorre alle attività di prevenzione del rischio, quindi anche i liberi professionisti, in ugual misura.
Facendo un passo indietro, però, non si può iniziare l’argomento della responsabilità in ambito medico-sanitario senza analizzare la famosa legge che ha istituito e legiferato in merito alla ormai note e discusse linee guida.
È detta legge Balduzzi (Ministro della Salute pro-tempore) ed è la legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute.
Per ciò che attiene, nello specifico, alla nostra trattazione, è l’art. 3 che assume particolare rilevanza. La norma modifica in parte la previsione prevista dall’art. 3 del decreto legge che al comma 1 recitava: “Fermo restando il disposto dell’articolo 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell’articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale”.
L’attuale normativa, invece, prevede che: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”. Viene, inoltre, aggiunto l’art. 3 bis che prevede, nell’ottica della riduzione del contenzioso in tema di responsabilità sanitaria: “Al fine di ridurre i costi connessi al complesso dei rischi relativi alla propria attività, le aziende sanitarie, nell’ambito della loro organizzazione e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ne curano l’analisi, studiano e adottano le necessarie soluzioni per la gestione dei rischi medesimi, per la prevenzione del contenzioso e la riduzione degli oneri assicurativi. Il Ministero della salute e le regioni monitorano, a livello nazionale e a livello regionale, i dati relativi al rischio clinico”.
Era evidente l’intenzione del legislatore di attenuare il peso della responsabilità medica, sia in un’ottica di riduzione dei costi della sanità, sia nell’ottica di rendere più difficile l’accesso degli utenti ai giudizi per responsabilità del medico. Di certo è interessante la modifica tra la disposizione del decreto legge e la disposizione della legge attuale, che in sostanza, sembra eliminare completamente la responsabilità penale per colpa lieve, nel caso in cui il medico si attenga alle linee guida. Cosa diversa, invece, era quanto previsto dal decreto che riponeva alla valutazione caso per caso dell’accertamento della responsabilità per la stessa colpa lieve.
Le disposizioni fanno riferimento espresso a due altre normative: l’art. 2236 c.c. e l’art. 2043 c.c.
Il primo recita che: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”. Si tratta di una norma che ovviamente si lega inscindibilmente all’art. 1176 c.c., che recita: “Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”. La giurisprudenza sul punto ha ritenuto che:
«In tema di responsabilità del prestatore di opera intellettuale, poiché l’art. 1176 c.c. fa obbligo al professionista di usare, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti la sua attività professionale, la diligenza del buon padre di famiglia, il medesimo risponde normalmente per colpa lieve; nella sola ipotesi che la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, l’art. 2236 c.c. prevede un’attenuazione di responsabilità, nel senso che il professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave. Pertanto, la prova dell’esistenza di tale presupposto, derogando alle norme generali sulla responsabilità per colpa, incombe al professionista; peraltro, la domanda di risarcimento del danno, basata sulla colpa grave, contiene quella per colpa lieve, senza che, pertanto, la pronuncia di condanna fondata su colpa lieve del professionista possa dar luogo a vizio di ultrapetizione» (Cass. Civ., 22.04.2005, n. 8546).
In tema di responsabilità del medico è stato anche deciso che la responsabilità professionale del medico nasce da una prestazione inadeguata che ha prodotto effetti negativi sul diritto alla salute del paziente e pertanto, la prestazione del medico, nei confronti del paziente, viene tradizionalmente configurata come un’obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto il medico non garantisce il risultato finale, ma ha comunque il dovere di svolgere l’attività professionale necessaria ed utile in relazione al caso concreto ed ha il dovere di svolgerla con la necessaria adeguata diligenza.
«Tale necessaria adeguata diligenza, nello svolgimento della sua attività, insieme a un’adeguata informazione al paziente, sono elementi sostanziali della prestazione professionale del medico. Vi è così la sua responsabilità ogniqualvolta non abbia osservato, sia per mancanza di adeguata preparazione professionale che per negligenza, le comuni regole necessarie allo svolgimento della propria professione. L’art. 1176 del codice civile, secondo comma, prevede che “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Tale disposizione va interpretata in armonia con l’art. 2236 del codice civile, per cui se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”. Per individuare una responsabilità del medico, occorre, pertanto, avere innanzitutto riguardo alla difficoltà tecnica della diagnosi o dell’intervento effettuato. Qualora si tratti di un caso ordinario, che non presenti problemi tecnici di speciale difficoltà, il medico risponde delle conseguenze del suo operato (ai sensi dell’art. 1176 secondo comma c.c.), se ha agito con imperizia e negligenza (colpa lieve). Solamente nel caso occorra risolvere una situazione che implichi problemi di rilevante difficoltà, l’art. 2236 c.c. prevede un’attenuazione della normale responsabilità medica e dunque la necessità del dolo o della colpa grave. Tale limitazione di responsabilità alle ipotesi di dolo e colpa grave ricorre comunque “soltanto per i casi implicanti risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà trascendenti la preparazione media o non ancora sufficientemente studiati dalla scienza medica, incombendo in tal caso al medico di fornirne la relativa prova”. In tale ipotesi, il medico è obbligato al risarcimento dei danni solo se ha agito con dolo o colpa grave e spetta sempre allo stesso dimostrare che l’attività da lui svolta sia stata di particolare complessità. In caso contrario, risponderà sempre e comunque anche solo per colpa lieve, quando per negligenza o per imprudenza abbia provocato un danno nell’esecuzione di un intervento o nella prescrizione di una terapia medica. L’obbligo di diligenza è l’ottimale esecuzione di qualsiasi attività essenziale per la realizzazione del risultato e l’aggiornamento continuo. Il medico deve sempre eseguire quelle attività idonee al raggiungimento del fine perseguito, la salute del paziente. Tale diligenza non è quella del bonus pater familias, richiesta genericamente nelle obbligazioni, ma è rapportata alla natura dell’attività esercitata (art. 1176, comma 2 c.c.), che, nel campo medico, implica il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica» (Trib. di Torre Annunziata, 20.01.2014, n. 245).
L’art. 2236 c.c. non viene preso in considerazione dal testo della normativa attuale che invece inserisce con chiarezza la responsabilità penale per colpa lieve, escludendola, facendo salva, la disposizione di cui all’art. 2043 c.c. ossia il principio della responsabilità aquiliana: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Principio che, per come è noto ai più, si discosta ampiamente dalla responsabilità del custode ex art. 2051 c.c., per cui, è opportuno chiarire che:
«Mentre l’azione ai sensi dell’art. 2043 c.c. comporta per il danneggiato la necessità di provare l’esistenza del dolo o della colpa a carico del danneggiante, nel caso di azione fondata sull’art. 2051 c.c., la responsabilità del custode è prevista dalla legge per il fatto stesso della custodia, potendo questi liberarsi soltanto attraverso la gravosa dimostrazione del fortuito» (Cass. Civ., 21.09.2015, n. 18463).
Sul punto, anticipando un argomento che sarà trattato con più accuratezza in avanti, è intervenuta una pronuncia recente secondo cui:
«In materia di emotrasfusione, l’attività di vigilanza e prevenzione pur avendo ad oggetto una pratica pericolosa (le trasfusioni di sangue), non può essere definita in sé come pericolosa, con la conseguenza che l’omissione della medesima deve essere inquadrata nell’ambito dello schema generale di responsabilità di cui all’art. 2043 e non all’art. 2050 c.c.» (Trib. dell’Aquila, 21.07.2015, n. 659).
Il legislatore, in ogni caso, ha fatto un primo passo, prendendo in considerazione il problema del crescente contenzioso giudiziario relativo alla responsabilità medica con soluzioni che posso essere ovviamente opinabili ma comunque denotano quantomeno una presa di coscienza ed una volontà risolutiva.
Come già accennato la giurisprudenza sul tema è copiosa e a volte anche contrastante, ma quasi sempre orientata alla tutela del paziente danneggiato con le note conseguenze che hanno determinato la nascita di vero e proprio problema sociale. Un problema sociale che si traduce in quella reazione difensiva della classe medica che preferisce a volte adottare scelte mediche motivate non esclusivamente nell’interesse del paziente, ossia scelte tendenzialmente omissive per situazioni molto a rischio e presumibilmente compromettenti (quella che viene detta medicina difensiva negativa), mentre altre volte porta a scelte di trattamenti non necessari se non in funzione di una linea probabile linea difensiva ma comportanti dei costi per il servizio sanitario (quella che viene detta medicina difensiva positiva). La giurisprudenza ha chiarito tra l’altro, che
«Il comma 1 dell’art. 3 del d.l. Balduzzi come sostituito dalla legge di conversione si riferisce, esplicitamente, ai (soli) casi di colpa lieve dell’esercente la professione sanitaria che si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, perciò la responsabilità del medico ospedaliero – anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 3 l. n. 189 del 2012 – è da qualificarsi come contrattuale» (Trib. di Milano, 20.02.20...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Indice
  5. Capitolo 1: Il concetto giurisprudenziale di responsabilità civile del medico
  6. Capitolo 2: La responsabilità civile del medico alla luce delle pronunce di San Martino
  7. Capitolo 3: Cenni preliminari sulla responsabilità penale del medico
  8. Il Decalogo di San Martino