SEZIONE II
LE SINGOLE FIGURE DI REATO CAPITOLO I
DEFINIZIONI
di Michele D’Avirro
Nel D.Lgs. n. 74/2000 il Legislatore ha innanzitutto optato per far precedere alla enunciazione delle singole fattispecie delittuose, una specifica norma definitoria che, in apertura, contenesse la descrizione di tutti i principali istituti poi richiamati nella successiva rappresentazione dei singoli reati tributari.
Come si legge nella Relazione governativa al Decreto1, l’introduzione dell’art. 1, rubricato appunto “definizioni”, era finalizzato ad evitare o, quantomeno, a ridurre i dubbi ed i contrasti interpretativi sulle nozioni chiave utilizzate in tutto il testo normativo.
La disposizione, inoltre, reca l’indubbio vantaggio di semplificare la formulazione delle singole fattispecie incriminatrici, che non necessitano dunque di essere integrate con le ulteriori locuzioni in cui si sostanziano le definizioni2.
Prima di procedere con l’analisi dell’art. 1 del D.Lgs. n. 74/2000, occorre premettere che la norma è stata oggetto di una intensa opera di modifica da parte dell’art. 1 del D.Lgs. n. 158/2015, che, proprio attraverso la variazione delle norme definitorie contenute nell’art. 1, ha inteso riformulare parzialmente alcune fattispecie.
L’art. 1 dispone che ai fini del medesimo Decreto:
“a) per ‘fatture o altri documenti per operazioni inesistenti’ si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.
La nozione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti fa riferimento all’elemento documentale che è alla base del sistema di evasione e che consente di modificare artificiosamente i costi sulla base di spese in realtà mai sostenute. Si tratta, in sostanza, di documentazione che attesta un “affare” privo, in tutto o in parte, di riscontro fenomenico.
La definizione della lett. a) offre, quindi, la descrizione dell’oggetto materiale dei delitti di cui agli artt. 2 e 8 del decreto.
La falsità si può presentare sia in forma oggettiva che soggettiva, a seconda che l’operazione non sia avvenuta del tutto ovvero sia avvenuta solo in parte (falsità oggettiva) oppure sia intervenuta fra soggetti diversi da quelli che compaiono indicati sul documento fiscale (falsità soggettiva).
Come noto, la definizione del concetto di “inesistenza” delle operazioni, desumibile dall’art. 1 lett. a), fa riferimento al concetto di “effettuazione reale” delle operazioni medesime, che rappresenta una novità rispetto alla precedente normativa (L. n. 516/1982), sulla base della quale si era formata una prassi tendente a ravvisare la “fittizietà” delle fatture anche in presenza di operazioni reali, ma ritenute “incongrue”, ovvero relative a negozi nulli o comunque non giuridicamente accettabili3.
La nozione di operazione inesistente rappresenta il vero punctum dolens4, soprattutto per quanto riguarda il delitto di dichiarazione fraudolenta, mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
La norma dell’art. 1 distingue le ipotesi di fatture o altri documenti a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte, di fatture o altri documenti che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale e, infine, di fatture o altri documenti che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.
Le ipotesi sopra richiamate saranno, pertanto, tutte idonee ad integrare i reati di cui agli artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74/2000 nei casi di: a) inesistenza oggettiva assoluta dell’operazione (mai posta in essere nella realtà); b) inesistenza oggettiva relativa all’operazione (posta in essere, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura); c) sovrafatturazione qualitativa, ovvero attestante la cessione di beni o la prestazione di servizi per un prezzo maggiore a quello reale; d) inesistenza giuridica per simulazione relativa, che si sostanzia nel compimento di un negozio giuridico apparente, diverso da quello realmente intercorso tra le parti.
Le prime tre ipotesi non danno luogo a difficoltà interpretative, in quanto debbono intendersi per fatture o altri documenti per operazioni oggettivamente inesistenti quelle emesse a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in maniera superiore a quella reale5. La falsità giuridicamente rilevante sarà quella che indicherà come avvenute cessioni di beni o prestazioni di servizi mai avvenuti, ovvero, nell’ipotesi di falsità parziale, quella che documenterà operazioni inerenti a cessioni di beni o prestazioni di servizi superiori a quelle effettivamente fornite od erogate6.
Maggiori problemi interpretativi hanno riguardato, invece, l’ultima ipotesi relativa alla cosiddetta “inesistenza giuridica dell’operazione”, che ricomprende tanto l’ipotesi di non corretta qualificazione giuridica dell’operazione posta in essere, quanto quella di vera e propria simulazione relativa. La dottrina prevalente7 ha cercato di superare l’orientamento più rigido, peraltro condiviso anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la norma ha inteso colpire non solo la mancanza assoluta dell’operazione, ma ogni tipo di divergenza tra realtà commerciale e l’espressione documentale di essa8.
Si è sostenuto, sulla base dell’espresso richiamo legislativo (art. 1 D.Lgs. 74/2000) alla necessità che la fattura o gli altri documenti siano stati emessi a fronte di operazioni “non realmente effettuate”, che la norma debba essere interpretata nel senso di ritenere privilegiato un concetto di inesistenza materiale dell’operazione: che cioè faccia difetto in “rerum natura”9.
Il punto di partenza per sviluppare una corretta analisi dell’inesistenza giuridica è quello di tenere sempre presente che la falsa fattura è destinata ad attestare, in dichiarazione, costi non realmente sostenuti, dunque acquisteranno rilevanza solo le false indicazioni relative a costi sostenuti dal cessionario dei beni o della prestazione di servizi10. A tale fine, pertanto, sarà necessario verificare se nella sfera giuridica del cessionario la sostanza del rapporto economico sia reale ed effettiva, ma soprattutto se si sia verificato il trasferimento di denaro dal cessionario (ossia il protagonista passivo del rapporto) al cedente (ossia il protagonista attivo che effettua la prestazione), sicché il primo ha effettivamente sostenuto un costo reale e non fittizio11.
L’altra ipotesi di falsità rilevante, invece, è caratterizzata dall’intestazione fittizia della fattura o del documento, in modo da far apparire che l’operazione si riferisce a soggetti diversi da quelli effettivi.
L’elemento differenziale tipico tra il delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e quello di utilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti sta nella sostanziale diversità della condotta, che in quest’ultima ipotesi crea un’apparenza fittizia di un’operazione inesistente tra due soggetti reali, mentre nella prima dà luogo ad un rapporto intersoggettivo inesistente in relazione ad una operazione reale12.
Inoltre, per quanto concerne la tipologia di falsità cui fa riferimento la definizione in esame, si deve ritenere che il concetto di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti abbracci esclusivamente ipotesi di falso ideologico, e ciò in quanto già nella definizione fornita dall’art. 1, lett. a) si fa riferimento a documenti “emessi”, espressione di carattere tecnico, che implica la provenienza degli stessi da soggetti diversi dagli utilizzatori13.
Tale ultima conclusione, tuttavia, non ha trovato riscontro nell’ambito della giurisprudenza di legittimità14.
Il Legislatore, nella definizione in oggetto, ha avuto cura altresì di precisare che assumono rileva...