Il gusto della conversazione
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Il gusto della conversazione

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Il saggio dice che tutte le più grandi decisioni della nostra vita pubblica si prendono a cena. Ma perché ciò avvenga nel migliore dei modi, è importante capire la magia, il potere e l'arte della conversazione, che è qualcosa di molto diverso dalla confessione segreta, dal dialogo o dal colloquio, e non è solo un hobby destinato a divertirci: è soprattutto un'opportunità. Oggi la conversazione è cambiata, non si conversa più soltanto a tavola ma soprattutto in chat. Cosa cambia con la tecnologia? Si può conversare solo con interlocutori davanti a noi o anche con Dio e i poeti e gli scrittori che amiamo? Soltanto tra amici o anche tra amanti? Pierre Sansot scrive un saggio brillante e gioioso, che insegna al lettore a esprimersi e saper ascoltare.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865768426

Cos’è una conversazione proficua?

Il successo è alla moda – anche se il fallimento continua ad affascinarci. Realizzarsi in vita non mi pare un’impresa facile e mi domando spesso come affrontarla. Realizzarsi in morte – a quanto pare, per quel che mi riguarda, tale problema ancora non si pone e non sono certo di poterlo risolvere adeguatamente. Nella fattispecie, ci interrogheremo su ciò che definisce una conversazione proficua, e la questione è meno agevole di quello che si potrebbe credere. Possiamo individuare abbastanza bene gli ostacoli che s’oppongono al nostro proposito. Per contro, avremo difficoltà a individuare ciò che ne permette la piena e indiscutibile realizzazione.
ondina
Come iniziare una conversazione? È necessario inaugurarla? Le circostanze ci assolvono da tale accortezza quando degli amici si incontrano casualmente e decidono di consacrare un poco della propria libertà per parlare insieme. Pensano di dover proferire solo qualche frase prima di prendere congedo. Indugiano. La conversazione riprende in continuazione. Ciascuno dei loro interventi – un racconto, una descrizione, un’idea generale – ha valore proprio perché dovrebbe chiudere la discussione. Le cose si presentano però in un altro modo quando abbiamo intenzione di intrattenerci a lungo. Si dovrebbe in questo caso inaugurare l’incontro nel miglior modo possibile. Dovremmo rallegrarci che uno di noi apra le danze con vivacità. Le prime battute a teatro, le prime mischie di una partita di rugby, lasciano presagire la qualità dell’opera teatrale o della partita per intero. Sarebbe necessario inoltre che i nostri amici non ci diano l’impressione di volersi imporre e di voler occupare il centro dell’attenzione.
Ammetto però che allo stesso tempo abbiamo bisogno di «riscaldarci», di fare dei passaggi prima di scendere in campo. Non adotteremo quindi un ritmo brioso che determinerà gli sviluppi. I preliminari provvedono a tale necessità: l’aperitivo prima di mettersi a tavola, le presentazioni reciproche, i convenevoli. Il primo che oserà impossessarsi della parola con troppa autorità ci sembrerà sospetto e penseremo che ci stia prendendo alla sprovvista, a meno che questo ruolo non gli sia stato assegnato di comune accordo. Se l’incontro riunisce degli sconosciuti o quasi, il ricorso ai luoghi comuni non è segno necessariamente di mediocrità e di chiacchiera fine a se stessa. Dovremmo scoprire i punti d’interesse comuni, discernere lo status di questi estranei. In seguito si vedrà l’esistenza di uno spazio che ci accomuna; in maniera più maliziosa, dovremmo scrutare le debolezze, i punti di forza dei diversi ospiti, condurli là dove si potranno dimostrare più pertinenti possibile. Potremmo assegnare un ruolo più nobile a questi preliminari, che molto spesso irritano. «Non m’è permesso pungolarti, metterti immediatamente alla prova e non devo per forza essere sincero con te. Si tratta di una forma di rispetto a cui sono sensibile.»
A teatro, i tre colpi indicano che lo spettacolo sta iniziando. All’opera, quando l’orchestra s’accomoda nella fossa e risuonano i primi accordi, sappiamo cosa aspettarci. In seguito, il sipario verrà abbassato oppure gli attori ringrazieranno il pubblico, per avvisarci che la messa è finita. Per quel che riguarda la conversazione, le circostanze si delineano con più approssimazione. Proprio per questo, le conversazioni, tanto raffinate e delicatamente condotte che siano, si differenziano dalle opere d’arte, le quali riescono a delimitare al meglio il loro spazio e la loro durata.
ondina
Riusciamo a immaginare degli amici che si divertono a schernire i potenti del mondo e le idee preconcette? Prenderebbero in giro con allegria ciò che invece delizia l’opinione pubblica. Mentre l’ironico smaschera questo o quel difetto, la goffaggine dell’uno, l’enfasi dell’altro; gli individui di cui evoco l’esistenza manifestano la loro irriverenza verso le istituzioni, il loro sedicente valore, e ciò in nome della libertà di pensiero, della capacità reciproca di giudicare, di criticare o di approvare. Non prendono di mira i loro simili solo per ferirli, sminuirli. Da una parte ci sono dei fuochi fatui, ribelli in espadrillas, cavalleggeri che stanno volteggiando; dall’altra signori imbrigliati nelle loro corazze e incapaci di stargli dietro? Percepisco tuttavia un rischio in questo atteggiamento. Gongolano a essere così impertinenti, così birichini. L’autosoddisfazione, che è quasi autoglorificazione, di qualsiasi natura, mi infastidisce. Vorrei che una conversazione fosse accompagnata da modestia, da momenti di dubbio e anche da una certa bonarietà, da una propensione a meravigliarsi. Una conversazione proficua dovrebbe alternare impertinenza, al limite dell’acidità, e naturalezza, con qualche ingenuità.
Noi ammiriamo questo o quello scrittore perché ha sempre rifiutato il pathos, le sviolinate, gli orpelli dell’emozione, e la cui penna è stata sempre secca, violenta. Per quel che mi riguarda, quando converso, desidero anche avere libero respiro, vivere nell’immediatezza della vita e delle illusioni che essa suscita. Un’accozzaglia di menti rozze, dalla favella controllata, frenata, non mi permettono di scorrazzare liberamente, di sognare a mio piacimento. Tuttavia, la presenza di una sola di queste menti mi sembra utile. Un ramo secco, quando si spezza, ci sveglia e ci sottrae da un torpore vegetale. Una mano sicura, intelligente saprà riprendere la trama d’una stoffa che si sta sfilacciando.
Lo scrupolo di una parola controllata può condurre alla crudeltà, che richiede gesti precisi, frasi calibrate. Non si tratta più di gesticolare ma di colpire il punto più sensibile. Non è più opportuno allargarsi con parole sconsiderate ma di pronunciare la frase alla quale nulla potrà essere aggiunto. Le persone che hanno voluto questa sorta di conversazione accettano a loro volta di essere ferite e di soffrire, e che essa si concluda con una condanna a morte.
Essi fondano il loro modo di colloquiare su una certa concezione dell’estetica. Solamente a teatro o in un’opera d’arte la crudeltà deriva da un atto sacrificale che ci riconcilia con l’origine della nostra condizione e con la costituzione del rapporto sociale. Nel corso di una conversazione, la crudeltà non può accampare simili pretese. Essa maltratta. Avvilisce. Lusinga oppure affligge l’amor proprio. Essa non innalza al di sopra delle nostre teste l’amaro calice d’una morte memorabile.
ondina
Una conversazione ben fatta dovrebbe, a mio avviso, essere briosa. Ciò però non ci indurrebbe a dimenticare che esistono anche conversazioni elevate contraddistinte da una certa serietà? Le parole pronunciate hanno qui un ruolo preciso. Il loro corso si sviluppa in virtù di una determinata necessità. Una volta conclusa, la conversazione continua a interpellare gli officianti. Li lascia nel dubbio e offre loro elementi per condurre al meglio le proprie esistenze. Ne sono consapevole. La nobiltà di una simile parola è tale da intimidirci e siamo quasi propensi a situarla altrove, un po’ più in alto. Preferisco qualificare tali conversazioni con un termine più illustre: il «colloquio». Ciò vale anche per alcune pagine di Malebranche oppure di Malraux. Esse ignorano la rilassatezza, l’approssimazione di chi si affida, con una certa disinvoltura, alle capacità della propria mente. Preferisco essere fedele a una certa cultura francese, quella del xviii secolo, che si dice abbia visto fiorire, nei salotti, scambi brillanti, pungenti, anche se a volte superficiali. Di contro, certa cultura germanica, più incline alla profondità e impregnata di pesantezza, non esige dalla conversazione la stessa gaiezza. Al di là di questa doppia filiazione, e ce ne sarebbero altre, dovremmo concentrarci sullo spirito, poiché una conversazione dovrebbe essere innanzitutto spirituale. Se intendiamo lo spirito come da tradizione filosofica di matrice germanica, esso è allora da considerarsi con la lettera maiuscola. Esso conduce il mondo. Si realizza cioè attraverso un processo storico di cui è motore, che gli permetterà di incarnarsi pienamente nel mondo stesso. Per noi, lo spirito evoca piuttosto la vivacità, la capacità di non starsene mai quieti, di fronte a un avvenimento, di fronte alla parola altrui. Mentre trasalisce e si meraviglia della propria disponibilità, lo spirito si preoccupa poco dell’epifania di una coscienza totale di sé.
Proprio per questo la gaiezza si discosta dalla metafisica e dalla preoccupazione. Da qui, salti da capriolo, false partenze, balzi, rimbalzi. Sono proprio le parole e non i concetti che ritmano la sarabanda. È la gioia di una danza eseguita secondo i capricci del momento, le espressioni e i sorrisi dei nostri interlocutori. Il nostro buonumore vuol dire che ci sentiamo appagati, che non desideriamo null’altro che quel preciso momento: la grazia di non so quale dio ci ha fatto visita.
Due le filosofie possibili: quella di La Fontaine o quella di Schelling e di Hegel. Da una parte, la gioia di cui il nostro favolista seppe parlare così bene; dall’altra, un certo rigore che non necessariamente esclude la parola poetica, una sintassi e frasi accessibili.
Auspico nella conversazione la leggerezza. Ma la conversazione leggera non manca di spessore, profondità, di peso? È vero che dobbiamo riconoscere allo spirito di serietà delle qualità non trascurabili. L’uomo che ne è provvisto rifletterà, valuterà prima di parlare o agire, poi si assumerà la responsabilità dei suoi atti o delle sue parole – al contrario di quelle menti sconsiderate che chiedono costantemente di essere perdonati «perché non lo pensavano». Al contrario anche degli inconsapevoli, o delle inconsapevoli e belle, ai quali nessuna preoccupazione ha scavato delle rughe sul viso, che si comportano come delle anime immortali dalle quali non possiamo pretendere nulla e tutto dobbiamo perdonare, solo per averci fatto dono della loro effimera presenza. C’è quindi nella frivolezza una parte ingente di crudeltà e d’indifferenza.
La leggerezza non è dunque da confondere con la frivolezza. Essa non dissimula la preoccupazione di esistere, le sfortune degli uomini e la propria miseria interiore. Però non sovraccarica di tormenti le spalle dei nostri simili. L’esistenza ci porta a riflettere, questo non significa necessariamente che ci faccia apparire in pubblico pensierosi e cupi. Ci sarà tempo di interrogarsi sul senso della vita, in solitudine o in presenza di qualche amico stretto. Sarebbe inappropriato, fuori luogo, sgradevole, non dare prova di contegno.
Lo spirito di serietà è realmente così serio come lascia intendere? Per pensare realmente, non è necessario collimare per forza con se stessi: sarebbe necessario, piuttosto, esiliarci prima di ritornare a sé, all’essenziale. Ci vorrebbe vigore, ostinazione e allo stesso tempo gioco, bricconeria.
Gli esseri leggeri si riconoscono dalla fluidità della parola e anche dalla vivacità del loro atteggiamento, particolarmente dalla maniera di farci un sorriso e di salutarci amichevolmente. Se essi ci pesano così poco, è per non metterci in imbarazzo e non contrariarci con una presenza troppo insistente. Non ostruiscono il nostro orizzonte, lo spalancano e grazie a loro respiriamo aria fresca. L’uomo serio ci spaventa e irrigidisce per il suo rigore, rimproverandoci tacitamente di avere una propensione alla vita tanto spensierata. Nei confronti di queste persone, così concentrate sulla loro importanza, che avanzano con un passo pesante da senatori, tentenniamo nel volteggiare, giocare a nascondino con le parole, intimoriti dall’aspettativa di chi ci sta ascoltando.
Ammiro gli esseri capaci di tracciare un preciso ritratto, di affilare le parole, alleggerendole dalla loro connaturata enfasi. Dimostrano una padronanza, un’abilità che mi non spingono a esserne geloso o a denigrarli ma piuttosto ad ammirarli. La mia mano è troppo maldestra: non perderò mai l’abitudine di sovraccaricare e appesantire. La scelta non è tra leggerezza e idiozia, pedanteria, bensì tra leggerezza e consistenza della materia. La consistenza della materia contro la notte offuscata da qualche cupo astro.
Per precisare il fascino di una conversazione, direi: alcuni amici mi hanno fatto volare e sono atterrato senza paura e essermi fatto male…
ondina
La scrittrice Florence Le Bras con molta argutezza parla di quelle persone che mettono a repentaglio la conversazione e quindi la riuscita di una cena a essa collegata. La parola è proprio quel collante che, quando circola, ci dà la piacevole sensazione dello stare insieme e dell’arricchirci reciprocamente. Chiunque interrompa tale processo si comporta da seccatore e non merita di essere invitato un’altra volta: lo si deve mettere in condizione di non poter nuocere ancora. Il pedante crede di sapere tu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Prefazione
  4. Cos’è una conversazione proficua?
  5. Gli instancabili del verbo
  6. L’apprendistato del silenzio
  7. Sulla chiacchiera
  8. Sugli altri usi della parola
  9. Militare cantando
  10. Si può dare del tu a Dio?
  11. Intrattenersi con i poeti scomparsi
  12. La chiacchierata
  13. Tutto è contrattabile?
  14. Una società di dibattiti
  15. Ridere, bere e cantare
  16. L’antipasto
  17. Conversazione, conversazioni…
  18. Età dell’oro
  19. Cosa possiamo aspettarci oggi dalla conversazione?
  20. Epilogo