Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell'ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19
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Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell'ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19

  1. 184 pagine
  2. Italian
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Manifesto dei sociologi e delle sociologhe dell'ambiente e del territorio sulle città e le aree naturali del dopo Covid-19

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Nei giorni in cui l'Italia ha sperimentato il lockdown per la pandemia da Covid-19, la sociologia italiana, cogliendo la straordinarietà della risposta che il momento richiedeva, ha continuato a lavorare e fare ricerca con impegno rinnovato e, se possibile, ancora più intenso. Il Manifesto fa propria l'interpretazione della responsabilità collettiva di chi fa ricerca sociologica, cogliendone pienamente il significato e dandogli operatività attraverso le proposte che avanza.Questo volume intende mettere a disposizione il patrimonio di studi realizzati in questi anni dai sociologi e dalle sociologhe dell'ambiente e del territorio con un focus sui problemi emergenti legati al diffondersi del virus e proponendo alcune direzioni da seguire al fine di affrontare nel migliore dei modi le questioni che verranno a determinarsi. Si tratta di uno strumento di interlocuzione non solo critico, ma costruttivo che sirivolge alle istituzioni pubbliche, alle imprese private, ai media, all'associazionismo e alla società civile più in generale.

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Informazioni

Editore
Ledizioni
Anno
2020
ISBN
9788855263085
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1

LA VIA DEL POLIPROPILENE

Una riflessione sulla società del rischio ai tempi del Covid-19
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Claudio MARCIANO

Parole chiave:
società del rischio,
gestione dei rifiuti,
economia circolare

Saperi

Le riflessioni proposte da Ulrich Beck (1992) sulla risk society possono essere efficacemente applicate all’analisi dei mutamenti sociali indotti dall’epidemia di Covid-19. Un caso particolarmente interessante è costituito dalla produzione e smaltimento di miliardi di dispositivi di protezione (DPI), tra cui le mascherine monouso, che attualizza il tema delle condizioni abilitanti per la penetrazione della coscienza ecologica nei sistemi politico-istituzionali.
Il rischio di cui parla Beck sembra aderire perfettamente a quello che si vive con il Covid-19. E’ invisibile e, allo stesso tempo, globale. Alla pari di un disastro ambientale o di una guerra, è capace di portare al collasso il sistema sanitario e, con esso, il tessuto economico di intere nazioni. Inoltre, l’esposizione al contagio è alla base di nuovi processi di stratificazione sociale: tra chi deve recarsi al lavoro e chi lo può effettuare a distanza; tra chi può avere accesso immediato alle cure e chi ne escluso.
Il Covid-19 ha riproposto il tema, centrale nella teoria di Beck, dell’expertise scientifica e del suo engagement politico. L’epidemia ha infatti imposto l’autorità dell’istituzione medica (Renaut, 2004) come base per la giustificazione di provvedimenti restrittivi inauditi e tuttavia, ha riprodotto anche l’evidenza di una scienza piena di incertezze e di divisioni interne (Pellizzoni, 2013).
Se tuttavia ci concentriamo sui DPI ciò che emerge con più evidenza è la sostanziale indifferenza in termini di valutazione del rischio ambientale e di ricerca alternative da parte delle principali istituzioni pubbliche. Questo impressionante silenzio è ancora più sorprendente se si pensa che l’argomento globale più dibattuto prima dell’epidemia, è stato il movimento Fridays for Future.
Anche qui, la teoria di Beck ci offre una chiave interpretativa interessante. La coscienza ecologica emerge nei paesi a capitalismo avanzato e si incorpora in stili di vita, sistemi di valori e movimenti sociali, come esito delle politiche economiche espansive del secondo dopoguerra. La congiunzione tra crescita e welfare state, aveva aperto una breccia, prima occupata dalle rivendicazioni redistributive sul piano della ricchezza materiale, nei processi di identificazione e individualizzazione della classe media. Questo aveva prodotto una revisione delle pratiche discorsive istituzionali e l’affermazione del concetto di sostenibilità ambientale come driver delle politiche internazionali.
Tuttavia, quel processo di lenta penetrazione sembra essersi arrestato a livello superficiale.
Il Covid-19 si diffonde in un mondo in cui la distribuzione della ricchezza e dei redditi ha subito una forte polarizzazione: la classe media è stata impoverita e si è fortemente assottigliata; le politiche economiche, almeno fino ad oggi, sono state orientate da una visione neoliberista fondata sui tagli alla spesa pubblica, a partire da quella sanitaria. Il discorso politico che contrassegna l’attuale società del rischio non è costruito sull’onda dei movimenti sociali ispirati a principi emancipativi, come quelli ambientalisti o pacifisti, bensì dal neo-populismo.
L’attuale società del rischio vede l’egemonia del capitale sul principio di precauzione, come dimostrano i dati di INAIL sul numero di contagi avvenuti sui luoghi di lavoro, e come indirettamente dimostra la sostanziale rimozione delle ragioni ecologiche che hanno consentito, nel giro di dieci anni, lo spillover di tre tipi di virus, sempre più pericolosi, dagli animali all’uomo.
Non deve sorprendere, pertanto, che dei 55 miliardi di euro in deficit che lo Stato Italiano ha finora investito per gestire l’emergenza Covid-19, neanche uno sia dedicato alla ricerca di soluzioni alternative agli attuali DPI o al contenimento del loro impatto ambientale.

Problemi

Nell’agenda setting creata dal Covid-19, lo spazio dedicato all’impatto ambientale dei dispositivi di protezione individuale (DPI) è piuttosto marginale.
Eppure, la sola osservazione di un singolo dispositivo – le mascherine – e dell’impronta ecologica connessa al loro ciclo produttivo evidenzia i caratteri di un’emergenza ambientale. Dal 04 Maggio, in Italia, indossare le mascherine nei luoghi pubblici è infatti un obbligo di legge.
Il Governo ha stipulato cinquantadue contratti per la fornitura di 354 milioni di mascherine, con una spesa di oltre 350 milioni di euro. Una stima al ribasso valuta che entro la fine dell’anno, solo in Italia, si saranno consumate oltre un miliardo e duecentomila mascherine.
La maggior parte delle mascherine disponibili in commercio sono quelle “chirurgiche”. Si tratta di dispositivi in polipropilene con 2-3 strati di tessuto non tessuto. Diffuse prevalentemente in ambito ospedaliero sono invece le mascherine FFP2 o FFP3 costituite anch’esse da più strati di polipropilene, con aggiunta di filtri di gomma caricati elettrostaticamente. Entrambi i dispositivi sono usa e getta. I materiali con cui sono composti non rientrano nella filiera del riciclo urbano e devono pertanto essere conferiti tra i rifiuti indifferenziati.
E’ evidente che la diffusione di mascherine in miliardi di unità è destinata ad aumentare la quantità di emissioni derivanti dall’incenerimento e dallo smaltimento in discarica. C’è inoltre da considerare che non tutte le mascherine usate vengano intercettate da un servizio di raccolta dei rifiuti. Come già dimostrano diversi reportage di associazioni ambientaliste, le mascherine finiscono a mare, nei fiumi, nei boschi, divenendo una bomba ecologica per gli ecosistemi circostanti.
Infine, un punto essenziale per la valutazione dell’impatto ambientale delle mascherine usa e getta è la loro filiera estrattiva, produttiva e di trasporto. Come abbiamo drammaticamente verificato nelle prime fasi dell’emergenza, i DPI sono prodotti per lo più in Cina, dove il costo del lavoro è molto basso. L’approvvigionamento costante di miliardi di mascherine nel mondo ha creato una nuova via commerciale. Non più della “Seta”, ma del “Polipropilene”, e di altri materiali plastici di sintesi ottenuti dalla lavorazione del petrolio.

Proposte

La soluzione non è tecnologica. Nel senso, che la disponibilità di mascherine riutilizzabili senza limiti e perfettamente protettive è già offerta da diverse aziende.
Sebbene l’analisi proposta interpreti la carenza di risposte istituzionali come effetto di processi storico-sociali di lungo corso, tre iniziative potrebbero contribuire a invertire la rotta:
• Incrementare i fondi per i politecnici pubblici italiani al fine di brevettare un set di dispositivi di protezione pienamente riutilizzabili certificato dall’Istituto Superiore di Sanità. In alternativa, acquisire i brevetti delle start up che hanno già elaborato soluzioni efficaci.
• Avviare la produzione di massa dei DPI riutilizzabili da consegnare gratuitamente alla popolazione. Si tratta di un’attività sostenibile dal punto di vista economico, se si considera l’attuale spesa per i DPI usa e getta, e le positive ricadute sul sistema produttivo locale.
• Eliminare tutti i DPI usa e getta presenti sul mercato e provvedere ad una raccolta straordinaria domestica degli stessi per un certo numero di mesi. Parallelamente, organizzare con il Corepla, attraverso un sistema di incentivi e di facilitazioni normative, una filiera più ampia di quella attuale, in grado di trattare il polipropilene e di smaltirlo con il minore impatto ambientale possibile.
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Una delle tante mascherine abbandonata nei pressi dell’argine del Fiume Po, a Torino (Foto dell’autore)

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CIBO E AGRICOLTURA

Nuove connessioni tra persone e pianeta
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Alessandro GIORDANO

Parole chiave:
agricoltura,
pianeta,
innovazione

Saperi

La “rivincita della campagna” (Barberis 2009). Un tema affrontato dalla sociologia rurale almeno dieci anni fa che ora torna al centro del dibattito sociale ed economico e che, grazie alla spinta del nuovo Green New Deal europeo, rifornita l’agenda politica. Diceva Barberis che la campagna non è un residuo del passato e che ormai si è di fronte ad una parità tra città e campagna rispetto all’organizzazione economica, agli stili di vita e alla dimensione culturale. Importante però distinguere tra l’Italia rurale e l’Italia agricola.
È negli anni ’60 e ’70 che emergono due fenomeni: da una parte la crisi degli archetipi di urbano e rurale che si basano sulla scoperta che anche in città le persone possano interagire secondo forme comunitarie; dall’altra le trasformazioni delle campagne in seguito alla cosiddetta “rivoluzione verde” che segna la diffusione di mezzi tecnici e input industriali in agricoltura (macchine, fertilizzanti, fitofarmaci, sementi ibride). L’agricoltura diventa quindi un mondo produttivo coerente con le logiche industriale e del mercato che condizionano tutti i settori produttivi (il sociologo francese Mendras dirà: ‘la fine dei contadini’). L’agricoltura, quindi, smette di essere il perno delle politiche di sviluppo delle aree rurali, tuttavia di fronte agli effetti della globalizzazione e della de-materializzazione, che mette alle corde il vantaggio competitivo delle aree urbane nei processi di sviluppo, si manifesta la visione politica che genera interventi di mantenimento di comunità rurali vive. Questa visione si basa sull’idea di una geografia delle multifunzioni in cui anche alle aree rurali vengono assegnati diversi ruoli (produttivo, residenziale e culturale). Eppure, nonostante l’idea di una parità tra rurale e urbano negli ultimi anni abbiamo assistito allo sviluppo di interventi distinti che hanno portato a politiche territoriali specifiche per le aree fragili (a partire da settembre 2012 abbiamo una Strategia Nazionale delle Aree Interne) e, dall’altra parte, a politiche per le aree urbane (per la riduzione delle emissioni, per il contenimento del consumo del suolo, ecc.).
Eppure ci sono tanti segnali che evidenziano una diversa esigenza di una progettazione territoriale che consideri le interconnessioni tra le due dimensioni urbana e rurale. Sia dalla campagna che dalla città questi segnali coinvolgono spesso l’agricoltura: è il caso, per esempio, dei nuovi mercati dei farmers (che favoriscono l’interazione diretta tra gli agricoltori e i consumatori finali) o esperienze di agricoltura sociale che si vanno diffondendo, pur con forme diverse, sia nelle realtà urbane (per esempio nell’esperienza degli orti urbani), che nelle campagne (molte esperienze di cooperative di comunità che valorizzano la terra). Sono esperienze rilevanti soprattutto nella creazione dei rapporti di scambio che vanno oltre il paradigma estrattivo del capitalismo contemporaneo e valorizzazione la dimensione comunitaria e delle relazioni tra le persone.
Le comunità sono i luoghi e le relazioni; non sono solo e non necessariamente quelle legate ad un territorio specifico ma anche le comunità intenzionali (Manzini 2018) che si creano intorno ad interessi comuni e alla tutela di beni collettivi.

Problemi

Il susseguirsi degli eventi conseguenti al diffondersi del Covid-19 ha messo immediatamente al centro dell’attenzione il sistema dell’agrifood, facendo apparire ancora più urgente la necessità di un cambio di paradigma ecologico e sostenibile.
Il cibo e l’agricoltura sono la connessione principale tra le persone e il Pianeta. La rapida crescita della produttività agricola dagli anni ‘60 ha sostenuto lo sviluppo dell’attuale sistema alimentare globale che è uno dei principali motori del cambiamento climatico ed è sempre più vulnerabile ad esso. Secondo la FAO, tra le 20 azioni da mettere in campo per rendere sostenibile l’agricoltura e la produzione di cibo, l’innovazione è uno dei motori principali da considerare. Innovazione come insieme di processi che riguardano l’uso delle tecnologie, il cambiamento delle pratiche, forme diverse di partenariati pubblico-privato, diverse modalità di collaborazione tra gli agricoltori. I processi di innovazione che possono incidere sull’agricoltura riguardano dunque le persone e la società; l’economia e i suoi modelli; l’ambiente soggetto – a causa dell’uomo – a cambiamenti planetari. Queste tre dimensioni-chiave – società, economia e ambiente – connotano la nostra epoca definita in vari modi tra cui, da alcuni, Antropocene – l’era dell’uomo – per via dell’impronta dell’essere umano sull’ecosistema globale, da altri Capitalocene, considerando il capitalismo come un regime ecologico che si fonda sulla subordinazione della natura alle necessità della produzione e accumulazione di ricchezza. Non si può tacere, infatti, che “il sistema alimentare ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Indice
  4. Premessa
  5. Introduzione
  6. Presentazione
  7. Ri-produrre
  8. Ri-pensare
  9. Ri-connettere
  10. Ri-abitare
  11. Ri-esplorare
  12. Conclusioni
  13. Per approfondire
  14. Gli autori