Italiani a Roma
eBook - ePub

Italiani a Roma

Cronache della capitale tra il 1870 e il 1900

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Italiani a Roma

Cronache della capitale tra il 1870 e il 1900

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

«Quell'anno, che era il 1876, il tempo era rimasto brutto a lungo e fastidioso come solo a Roma, quando vuole, riesce a essere. La primavera non si era potuta vedere: e ancora alla fine di marzo alla grandine e alla pioggia s'era mischiata la neve. L'estate aveva portato un po' di calore, incapace però di asciugare davvero le ossa e le anime dei romani». Con questo ritmo, denso ed evocativo, e con questa lingua, immaginifica e tipica della migliore narrativa, Stefano Tomassini racconta un momento decisivo della storia di Roma: quello immediatamente successivo all'unita d'Italia, quello in cui i romani diventano italiani a tutti gli effetti. Delitti, processi, la vita quotidiana di poveri e ricchi, il destino del papato. Nulla sfugge all'occhio agile e sapiente di uno dei narratori di storia più efficaci del panorama nazionale.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Italiani a Roma di Stefano Tomassini in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Storia mondiale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865768587
Argomento
Storia

1

Prologo del Tevere

Un suicidio

Quell’anno, che era il 1876, il tempo era rimasto brutto a lungo e fastidioso come solo a Roma, quando vuole, riesce a essere. La primavera non si era potuta vedere: e ancora alla fine di marzo alla grandine e alla pioggia s’era mischiata la neve. L’estate aveva portato un po’ di calore, incapace però di asciugare davvero le ossa e le anime dei romani. Tendeva all’appiccicoso, come si dice da queste parti. Anche la sera prima, che era lunedì 10 luglio, s’era visto il cielo lampeggiare in lontananza.
La mattina di martedì 11 il cavaliere Giuseppe Baldini, che abitava al primo piano di Palazzo Simonetti, quello che, sul Corso, è di fronte alla chiesa di San Marcello, uscì di casa e andò a prendere una carrozza nella vicina piazza del Collegio Romano. Baldini, secondo alcune ricostruzioni dei fatti, si sarebbe fatto portare al Pincio, avrebbe detto al cocchiere di aspettarlo e sarebbe andato verso il muretto che sovrasta Villa Borghese. Un minuto, due, tre, dieci? Questo non so proprio dirlo e d’altronde non lo saprebbe dire nessuno. Dovevano essere le otto o poco più tardi. Baldini riapparve, risalì in carrozza e disse che adesso voleva andare a ponte Milvio – o ponte Mollo, chiamatelo come volete. Il percorso era certo più lungo: bisognava fare tutta la Flaminia fino al Tevere.
Non pioveva. L’aria si andava riscaldando. Tirava un libeccio leggero. Arrivarono che erano quasi le dieci. Forse fu allora che Baldini pagò il vetturino. Perché, sia chiaro, gli piaceva l’idea di aver pagato tutti. Si allontanò seguendo gli alberi che correvano lungo la riva. Stette qualche momento, si levò il cappello, tirò fuori dalle tasche quello che si era portato appresso: poche lire, le chiavi di casa e della cassaforte, una lettera. Poi si buttò.
La lettera, in mezzo ad altre cose, diceva:
Ho aperto stamattina i dispacci della Stefani. La rendita francese è a 106, l’italiana a 70. La rovina è irreparabile.
E poco più giù:
Mi sacrifico per salvare la famiglia.
Giovedì 13 luglio un giovane, forse un contadino, trovò il cappello, le chiavi e il resto e recapitò tutto al senatore Giacomo Astengo, che era il destinatario della lettera e il consuocero di Giuseppe Baldini. Altri contadini avevano detto di aver visto un uomo che si gettava nel Tevere, i familiari tuttavia speravano ancora che non si trattasse di lui. Poi, il venerdì, arrivò la conferma:
Roma, 14. – Circa le 7 ant. di questa mattina sono state avvisate alcune guardie di pubblica sicurezza che si vedeva galleggiare un cadavere presso la riva del fiume a Ripetta.
Poco dopo, lo stesso cadavere veniva ritirato dalle acque, riconosciuto per quello del cav. Giuseppe Baldini, e trasportato nella camera mortuaria di S. Rocco.
Le voci sparse che lo sventurato banchiere Baldini fosse stato veduto vagare nelle vicinanze di Roma sono in questo modo tristamente smentite.
Quest’oggi, alle 6 pom., dalla chiesa di S. Rocco ove era stata depositata provvisoriamente la salma del cav. Giuseppe Baldini, è stata trasportata alla chiesa di S. Marcello.
Il corteggio funebre si componeva di alcuni frati e d’una bara portata a spalla e ricoperta di fiori.
La seguivano moltissimi amici e conoscenti dell’estinto.
Con questa notizia, che ho tratto dalla prima pagina della Gazzetta Piemontese di domenica 16 luglio 1876, ho intanto detto che Baldini era un banchiere, il quale aveva avuto, improvvisamente, quel che si diceva un rovescio di fortuna. Il fatto però che qualcuno avesse affermato di averlo visto in giro per la campagna romana dopo la sua scomparsa mi ha fatto venire in mente un’altra storia più vecchia: Baldini si era abituato a essere confuso con un altro. Lo dice il giornalista Ugo Pesci in quel bel libro che è Come siamo entrati in Roma:
Somigliava talmente a Verdi che una sera alla Pergola di Firenze gli cominciarono a fare un’ovazione.
Più dettagliato, più intrigante, un po’ anche più maligno Leone Fortis, il «Doctor Veritas» dell’Illustrazione Italiana, che questo scrive di Baldini nella sua Conversazione del 13 febbraio 1876:
Un banchiere Romano, ch’è la contraffazione fisica di Verdi… al punto che in una città di provincia, vedendolo in un palchetto ad una rappresentazione della Traviata, tutto il pubblico balzò in piedi per acclamarlo – e, non ci fu verso, dovette alzarsi a ringraziare… e per poco, malgrado le sue proteste, non fu trascinato alla ribalta. – D’allora in poi l’ottimo Baldini restò così compreso del valore di questa rassomiglianza che sente l’obbligo di coscienza di portarla degnamente, maestosamente, un po’ teatralmente – e fa il dilettante di musica, il Mecenate degli artisti, l’amico del cuore dell’arte… per convenienza sociale.
Non so se Fortis si riferisse allo stesso episodio accennato da Pesci, il quale era fiorentino e non si sarebbe mai sognato di parlare di Firenze come di una città di provincia. Fortis era nato a Trieste e credo che i triestini abbiano tendenza e forse anche titolo per considerare provincia il resto del mondo. Sta di fatto che il «Doctor Veritas» prende in giro «l’ottimo Baldini», lo bistratta come forse non farebbe se scrivesse solo pochi mesi dopo, dopo quel suicidio. Fortis ha tuttavia il merito di annunciarci alcune caratteristiche dell’indole di Baldini: una gentilezza portata fino allo scrupolo, fino alla responsabilità avvertita per quella rassomiglianza col maestro Verdi, un’apertura assoluta al mondo, alla società, un bisogno, probabilmente, di farsi amare e apprezzare. Ci suggerisce che sia un po’ ingenuo in questo, e perfino esagerato e maldestro a volte, ma sostanzialmente, magari non volendo, ci parla di un uomo buono, un galantuomo, come si diceva a Torino, un uomo per bene, come si dice ancora a Roma. Così ci troviamo facilmente convinti che quel curioso funerale dalla chiesa di Ripetta, San Rocco, a quella di casa, San Marcello, sia quasi un modo di finire la passeggiata cominciata col tuffo nel Tevere. E tanto meglio se a seguire la bara c’è una folla: è il segno che gli amici gli volevano bene e chi lo conosceva lo apprezzava.
Che cosa aveva sconvolto la vita di quest’uomo? Il quotidiano parigino Le Figaro del 16 luglio pubblicava con cinque giorni di ritardo, in seconda pagina, la notizia del suicidio:
Roma, 11 luglio – Il banchiere Baldini che occupava una abbastanza importante posizione a Roma, e che faceva numerosi affari alla Borsa di Parigi, si è suicidato questa mattina.
Il mese scorso, era stato sorpreso dal ribasso e aveva dovuto pagare più di 200.000 franchi di disparità agli agenti della Borsa di Parigi. Al fine di rifarsi, ha giocato al ribasso. Lunedì, il listino gli annunciava più di un franco di rialzo.
Mi pare probabile che questa fosse solo la causa prossima della crisi, che doveva avere origini molto meno recenti e dimensioni ben più grandi. «Mi sacrifico per salvare la famiglia» aveva scritto Baldini al consuocero Astengo. Non era semplicemente una di quelle frasi che si dicono in certe tristi circostanze. Era meditata come il disegno che racchiudeva. Appena avvenuta la scomparsa del padre e non ancora ritrovato il cadavere, il figlio Enrico, il genero del senatore Astengo, del quale aveva sposato la figlia Elisa, aveva spedito a tutti i clienti della banca una lettera circolare con la quale si annunciava che la gestione era stata chiusa il giorno 10 luglio. Il salvataggio di cui parlava Giuseppe Baldini voleva essere dal fallimento.
La Gazzetta Piemontese del 26 settembre 1876 aveva in seconda pagina questo trafiletto:
Il suicidio del banchiere Baldini che conturbava Roma, or non è molto, sollevò una curiosa questione di giurisprudenza commerciale.
Il Tribunale di commercio, verificato che il Baldini si era suicidato lasciando un passivo immensamente superiore all’attivo, dichiarava nell’interesse della massa creditoria essere l’azienda del Baldini in istato di fallimento prima del suicidio.
Ma la famiglia del Baldini ricorse in appello contro tale deliberazione, sostenendo che il fallimento non poteva essere dichiarato, avendo il Baldini fino all’ultimo giorno di sua vita soddisfatti i suoi impegni.
L’avvocato senatore Astengo sosteneva gli interessi della famiglia Baldini, l’avv. Crispi quelli del ceto dei creditori.
La Corte d’appello annullava la dichiarazione del Tribunale di commercio.
Si era insomma ingaggiata una guerra fra gli eredi Baldini e i creditori della banca, il più agguerrito dei quali era il ministero delle Finanze. Il Tesoro aveva anticipato a Giuseppe Baldini il 5 luglio cento e sessantatremila lire, che il banchiere avrebbe dovuto pagare entro la data del 21 luglio. Il 28 dello stesso mese il Tribunale di commercio aveva sentenziato che non si poteva «dichiarare il fallimento del Baldini, perché non era provato che egli avesse cessato i pagamenti prima della sua morte, essendo d’altra parte certo che il debito delle L. 163.132,20 contratto da lui verso il Tesoro, doveva essere pagato il 21 luglio, e la sua morte era avvenuta il giorno 11 precedente».
Dieci giorni dopo, il 7 agosto, la Corte d’appello dette ragione al ministero delle Finanze e dichiarò il fallimento. Gli eredi Baldini fecero a loro volta ricorso e la Corte d’appello ci ripensò. È la sentenza, pronunciata il 20 settembre, cui si riferisce nell’ultima riga l’articolo della Gazzetta Piemontese. Ovviamente non era finita lì: perché il ministero delle Finanze ricorse alla Corte di cassazione, la quale tuttavia, nella udienza del 19 dicembre 1876, dette, per così dire, ragione al morto. E a questo proposito devo dire che, spulciando La legge. Monitore giudiziario ed amministrativo del Regno d’Italia dell’anno 1877, ho trovato passi di ferrata logica, di buona prosa e di bella intelligenza, che mi hanno quasi commosso. Come questo:
Per quanto un commerciante sia ridotto in disgraziata condizione di cose, per quanto sia aggravato da debiti, e poca speranza gli rimanga di scampare dalla ruina, ciò non pertanto dal momento che egli continua a pagare, conserva il suo credito, e, mercé questo potente alimento del commercio, può inspirare fiducia nei suoi corrispondenti, mantenere il suo buon nome, e rimettersi in prospera posizione. Nel commercio pagare è tutto, chi paga non può dirsi fallito, quantunque il suo passivo sorpassi l’attivo, quantunque mantenga la sua riputazione commerciale con spedienti e ripieghi. La legge riguarda al fatto dei pagamenti, senza preoccuparsi delle cause d’onde deriva.
Può darsi, mi pare anzi molto probabile, che quella cambiale da pagare al Tesoro sia stata la ragione estrema del suicidio del cavaliere Giuseppe Baldini: non aveva quelle cento e sessantatremila lire e non sapeva dove trovarle. Quel che è certo è che il cavaliere, anche da morto, ha combattuto contro i draghi del suo debito. Che abbia vinto, questo, è proprio difficile da dire. La Gazzetta Piemontese del 19 novembre 1876, nella sua rubrica «Corriere di Roma», era tornata così sull’argomento:
I lettori si ricorderanno certamente d’aver veduto sui giornali di qua la notizia del suicidio, avvenuto per annegamento, del banchiere cav. Giuseppe Baldini. In questi giorni ha luogo, col mezzo di pubblici incanti e per conto dei creditori, la vendita di tutti i mobili che guarnivano il di lui appartamento al Corso, nel piano nobile del palazzo Simonetti, ora Boncompagni, e l’altro da scapolo in via In Lucina. Mi recai al primo, che ha tre ingressi: uno sul Corso, gli altri due sui due bracci della via del Collegio Romano. L’entrata per gli accorrenti alla vendita ha luogo da uno di questi u...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. 1 PROLOGO DEL TEVERE
  4. 2 IL MILANESE E IL ROMANO
  5. 3 L’ULTIMA FATICA DEL GENERALE GARIBALDI
  6. 4 IL PIEMONTESE E IL MARCHIGIANO
  7. 5 INTERMEZZO PER UN CAMBIO DI SCENA
  8. 6 POPOLO E CAPIPOPOLO
  9. 7 IL PATATRAC
  10. 8 EPILOGO DEL TEMPO
  11. Bibliografia