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Cambiamenti
1.1 Le tre grandi trasformazioni – climatica, digitale, demografica – necessitano del lavoro agile
Siamo sempre più consapevoli delle tre grandi trasformazioni che stanno investendo il pianeta e la nostra vita: quella climatico-ambientale, quella digitale e quella demografica.
Questi cambiamenti comportano necessarie scelte radicali nelle politiche sovranazionali. Di questo siamo un po’ meno consapevoli.
Cambiamenti climatico-ambientali: il pianeta si sta surriscaldando
Nel 2018 le emissioni globali hanno continuato a crescere con un tasso dell’1,7 per cento su base annua1.
Gli studi sull’innalzamento del livello dei mari, inoltre, registrano dati allarmanti: in alcune parti del mondo esso ha raggiunto una velocità doppia rispetto a quella di 25 anni fa2. Le previsioni danno esiti diversi: recenti indagini ipotizzano un aumento di livello fino a 2 metri entro il 21003, mentre la Nasa si mostra più cauta e ritiene, utilizzando altre simulazioni, che il livello dei mari salirà meno di 90 centimetri da qui a fine secolo.
In ogni caso, la società di riassicurazione Swiss Re ha recentemente stimato che catastrofi naturali e disastri causati dall’uomo hanno causato perdite economiche per 146 miliardi di dollari nel 2018. Le conseguenze economiche e sociali del cambiamento climatico sono, dunque, notevoli. È possibile rallentarle? Gli investimenti per ridurre i consumi e utilizzare energie rinnovabili sono fondamentali. La buona notizia è che le fonti di energia pulita non sono mai state così convenienti come oggi. Purtroppo l’energia del mondo è ancora fornita solo per il 2 per cento dalle rinnovabili anche se, invero, in Italia le fonti rinnovabili di energia coprono il 33,9 per cento della produzione elettrica4. Il petrolio dai 100 mln di tonnellate è sceso a 70 mln durante la pandemia. Il guaio è che il consumo pro capite dei Paesi con crescita del Pil importante (India, etc.) è ancora molto basso e la loro crescita non assicurerà nel breve periodo una riduzione della dipendenza globale dai combustibili fossili. Per questo sono importanti gli accordi internazionali.
Decarbonizzazione, riduzione delle emissioni, risparmio energetico
Bisogna governare le transizioni in modo serio e non ideologico. Bisogna governare seriamente il miglioramento dell’«impronta ecologica» delle produzioni e dei lavori. Da questo punto di vista l’impronta ecologica di uno smartworker è notevolmente migliore di quella di un lavoratore tradizionale. La mobilità inutile è un problema sotto gli aspetti ambientali, sociali, umani, economici.
Ricordiamoci, tuttavia, che ¼ dell’energia consumata nel mondo è utilizzata per la climatizzazione degli immobili. E un intervento sulla sola mobilità non è sufficiente: utilizzare in modo più intelligente gli spazi dedicati al lavoro riduce anche il consumo energetico.
Nel paragrafo dedicato alla sostenibilità documenterò con elementi ancor più chiari il perché la scelta dello smart working viene incontro ai giusti allarmi relativi ai pericolosi, e speriamo reversibili, cambiamenti climatici.
Non solo, il nostro Paese quando pensa all’inquinamento porta l’attenzione esclusiva all’Ilva di Taranto. In realtà il tema è molto più ampio e ha cause multifattoriali.
Eppure secondo il report annuale «Mal’aria» di Legambiente sull’inquinamento atmosferico in Italia, anche nel 2019 al primo posto si conferma la Pianura Padana con Brescia, Lodi, Monza, Venezia e Alessandria a seguire, e non certo Taranto o la Puglia5.
Fonti degli inquinanti atmosferici nell’EU
Fonte: AEA, «Air quality in Europe - 2017 report» (Qualità dell’aria in Europa - Relazione 2017), 2013, pag. 22.
Nell’analisi della letalità del Covid ci si domanda quali fattori abbiano favorito una diffusione così massiccia del Coronavirus, specie in Lombardia, e perché i decessi siano stati così numerosi.
Alcune parziali risposte sono già arrivate nei giorni scorsi: una popolazione più anziana e le modalità con cui sono eseguiti i tamponi sono certamente fattori che pesano. Ma fra le regioni più colpite e il resto d’Europa esiste anche un’altra differenza che per i polmoni e le malattie del sistema respiratorio conta moltissimo: la Pianura Padana è la regione più inquinata del continente. Uno studio dell’Università di Harvard6 aggiunge prove al presunto legame tra inquinamento atmosferico e gravità dell’epidemia da Covid-19. Secondo la nuova analisi, le aree geografiche con le più elevate concentrazioni di polveri sottili 2.5 PM (le più fini, capaci di entrare negli alveoli polmonari, dove avviene l’ossigenazione del sangue) sono anche quelle con il tasso di letalità più elevato da Covid-19 negli Stati Uniti. Ci sarebbe insomma un legame statistico sempre più evidente tra l’esposizione a lungo termine al particolato atmosferico e la probabilità di incorrere nelle forme più gravi della malattia. Con riguardo alle PM10, il recente incremento rilevato nelle regioni settentrionali e centrali del nostro Paese è stato ricondotto dalle agenzie ambientali all’arrivo di polveri provenienti dai deserti asiatici e confinanti con il mar Caspio. Questo aspetto di natura orografica e morfologica non è di semplice soluzione, pertanto bisogna occuparsi del contributo umano all’inquinamento.
La transizione digitale spinge l’agilità del lavoro
Quando si parla di grande trasformazione digitale vi si accompagna il riflesso pavloviano della inevitabile disoccupazione tecnologica.
Il digitale è un acceleratore di grandi cambiamenti, del lavoro, delle produzioni e della vita. I nuovi ecosistemi digitali dematerializzano solo una parte dell’economia, ma la condizionano integralmente. Le previsioni sull’effetto disruptive sono spesso molto approssimative. Hanno tutte un difetto di fondo, non tengono conto delle politiche di anticipo necessarie a esaltare le opportunità del digitale e a minimizzarne i rischi.
C’è una prima chiara evidenza, la riduzione delle mansioni ripetitive e la valorizzazione di quelle a maggiore contributo cognitivo delle persone. In prima battuta ciò è tanto più vero nelle mansioni impiegatizie che in quelle operaie.
Oggi la parola «impiegato», peraltro, racchiude lavori ormai estremamente diversi e poco raggruppabili in un’unica categoria. Mentre la pubblicistica, non solo italiana, parla di come i robot cancellino i posti di lavoro degli operai, il lavoro «impiegatizio» è quello che da più tempo è scosso da cambiamenti e anche da sostituzioni. Da questo punto di vista lo smart working è una buona occasione non solo per «ridurre i costi» ma soprattutto per ripensare il lavoro e realizzare una vera propria rivoluzione di senso.
Il digitale è un fattore abilitante del lavoro impiegatizio 4.0 ma non solo: ne cambia la natura. L’impiegato smart lavora per obiettivi, programma, progetta. Proprio questa sua evoluzione ne può consentire una minore sostituibilità da algoritmi e macchine intelligenti.
Purtroppo però, allo stato attuale, più di 6 milioni di famiglie in Italia non usano internet.
Invecchiamento demografico
A livello globale si sta verificando un diffuso invecchiamento della popolazione che non ha precedenti; la percentuale di anziani (persone di età superiore ai 64 anni) dovrebbe aumentare del 50 per cento, passando dall’8 per cento su scala globale nel 2010 al 12 per cento nel 2030.
Sempre meno bambini e sempre più anziani. Da qui al 2050 è inevitabile questa dinamica demografica secondo l’OCSE e il declino delle nascite è un fattore comune a livello globale. Alla base c’è un problema di infertilità crescente, secondo il Rapporto dell’Unfpa, The state of World Population 2018. The power of choice. Reproductive rights and the demographic transition, ma al di là della biologia c’è un problema economico.
La Finlandia, che è la nazione nordica con il più basso tasso di fertilità, ha deciso di invertire la tendenza con una politica della famiglia innovativa: l’aumento del congedo parentale da 11,5 mesi a più di 14 mesi, con entrambi i genitori che ricevono una quota uguale di 164 giorni a testa. Basterà? Secondo un’inchiesta dell’«Economist»7 si tratta di piccole gocce nel mare e l’Europa è destinata a perdere almeno il 5 per cento della popolazione attuale da qui al 2050 e l’età media s’innalzerà a 47 anni (nove anni in più rispetto al 2000).
I baby boomer in pensione8
Solo gli...