Parte terza
Da Vienna a Roma. L’arresto e il carcere
I. Le sorelle Schucht e «il mondo grande e terribile»
Il 4 dicembre 1923 Gramsci arriva a Vienna dove, designato a dirigere il partito e colpito da mandato d’arresto, rimane in attesa di poter rientrare in Italia. Lascia a Mosca Giulia, che da poco vi si è trasferita da Ivanovo-Voznesensk con la famiglia, cessando definitivamente l’attività di insegnante di musica. La giovane Schucht, che nel Capodanno 1918 aveva incantato con il suo violino ottomila spettatori accorsi nell’ex maneggio dello zar, è stata promossa con disposizione del Comitato centrale a vicesegretaria del partito nel quartiere di Krasnaja Presnja, cuore dell’attività politica. Colpito da un secondo ictus, Lenin da mesi non è più in grado di comunicare e Stalin, che peraltro il testamento di Lenin consiglia di escludere dalla successione, ricopre la nuova carica di segretario generale del partito. Si devono quindi a lui anche l’ordine di arresto di Aleksandr Bogdanov, da settembre per un mese e mezzo rimasto in prigione, e la successiva decisione di allontanare Gramsci da Mosca inviandolo a Vienna.
Il tempestoso rapporto di Gramsci con Eugenia si era chiuso già alla fine di marzo del 1923, e la storia con Giulia aveva avuto inizio a novembre, proprio alla vigilia di quella partenza rimasta a lungo sospesa. Le poche lettere alla violinista inviate a Ivanovo prima del suo trasferimento a Mosca attestano che Antonio, pur esprimendo un forte desiderio di rivederla e di poter fare almeno una passeggiata insieme, continuava darle del lei. Il 16 dicembre nella prima lettera da Vienna passa direttamente al tu. Si inaugura, tra alti e bassi di ottimismo e preoccupazione, quel tono intimo e passionale di complicità affettiva e al contempo militante nei confronti del mondo «grande e terribile». L’espressione sarà il leitmotiv delle lettere a Giulia, assieme alle intense professioni d’amore, alle richieste di collaborazione e alle incalzanti sollecitazioni a raggiungerlo:
Carissima, cosa fai? A che pensi? Come lavori? […]
Anche qui il mondo è grande e terribile; per di più, esso è ancora in mano ai borghesi. Sai, si prova una sensazione molto sgradevole a passare dal territorio proletario al territorio borghese. […]
Vivo isolatissimo e, per un pezzo, non potrà essere diversamente. Sento la tua assenza, sento un grande vuoto intorno a me. Comprendo oggi più di ieri e di avantieri quanto ti voglio bene e come ogni giorno si possa voler più bene. Quando sarà possibile che tu venga a vivere e a lavorare con me? Forse ciò sarà presto. Il governo fascista ha soppresso tutti i nostri periodici legali. La necessità di avere all’estero un centro giornalistico che funzioni in piena efficienza si fa sentire più urgentemente (Gramsci 1992, pp. 143-4).
Il 1° gennaio del 1924 si apre in una Vienna «più triste e sconsolata di Mosca» con l’augurio di poter stare insieme almeno per un po’ di tempo, godendo della reciproca presenza e «ridendoci di tutto e di tutti» eccetto, naturalmente, che «delle pochissime cose serie». Allo stesso tempo, con una impegnativa proposta, qualche giorno prima comunicata in una lettera ai compagni di partito:
Sto traducendo le note di Riasanof al Manifesto dei comunisti: ho tradotto le prime undici note e le sto rivedendo e ricopiando per inviartele affinché tu le corregga. Ho deciso di preparare la traduzione completa di questa edizione del Manifesto: essa sarà molto utile e penso che avrà un buon successo librario. […] Tu mi aiuterai, è vero? Metteremo i nostri nomi insieme, nella copertina1.
Di nuovo il progetto di un lavoro a quattro mani da pubblicare insieme, come nel 1922 la traduzione italiana del romanzo Stella Rossa di Aleksandr Bogdanov. Ma questa volta i ruoli sono addirittura invertiti, sarà lei a dover «correggere senza scrupoli» la sua traduzione: amore e rivoluzione continuano ad essere, come già con Pia Carena, un binomio paritario anche sul piano del rapporto uomo-donna. Ma Giulia non risponde, e quando lo fa è reticente su tutto. Gramsci sollecita le sue impressioni dirette sulle notizie che parlano di uno scontro tra Trockij e Stalin, commentando: «Non so spiegarmi l’attacco di quest’ultimo che mi è sembrato assai irresponsabile e pericoloso». Tanto pericoloso che, nella stessa lettera del 13 gennaio, arriva a suggerire a Giulia di chiedere a Terracini un sistema cifrato da usare per la loro corrispondenza. E aggiunge, preoccupato, che dalle sue risposte ha ricavato l’impressione che sia turbata e disorientata (Gramsci 1992, pp. 181-2). La lettera del 18 gennaio si chiude con una vera e propria preghiera:
Cara, ho pensato molto a te e alla decisione che avresti preso dopo la mia lettera della settimana scorsa. Ho pensato che forse sono troppo egoista domandandoti di venire da me, di staccarti dalla tua vita attuale per stare con me; lontana dal fervore attuale di attività che ti circola intorno, che è nell’aria che respiri anche se il tuo personale lavoro è meccanico ed esteriore. […]
Sono sicuro che se tu vieni, come io credo, non sarò per te un peso, ma il mio amore ti saprà consolare di ciò che lasci e il lavoro ci darà tutte le soddisfazioni che da esso possiamo aspettare. […]
Cara, tu devi venire. Ho bisogno di te. Non posso stare senza di te. Tu sei una parte di me stesso e sento che non posso stare lontano da me stesso. Sono come sospeso in aria, come lontano dalla realtà. Penso sempre, con un rimpianto infinito, al tempo che abbiamo trascorso insieme: in tanta intimità, in una così grande espansione di noi stessi. Se una ragione superiore alla nostra vita individuale si opponesse alla tua venuta, io non insisterò certo, forse non avrei neppure pensato di domandarti di venire. Ma questa ragione non esiste. E tu verrai e io potrò sentire le tue carezze, liubjmaia maiâ [amata mia] (Gramsci 1992, p. 193).
La morte di Lenin il 21 gennaio, con il carico di dirigenza politica a distanza che l’evento comporta, si inserisce in un lungo periodo di silenzio da parte di Giulia. Temendo che sia ammalata, Antonio prega il fidato amico Vincenzo Bianco di recarsi a casa della «compagna Schucht» per avere sue notizie. In attesa di un figlio, nonostante le forti sollecitazioni la donna ha deciso di restare a Mosca. Solo agli inizi di marzo dal vago accenno di una lettera Gramsci apprende con «un tuffo al sangue» della sua gravidanza, ormai giunta al quarto mese.
Arriva il tempo del grande confronto uomo-donna, come testimoniano le straordinarie lettere di Antonio successive alla notizia, oscillanti tra l’angoscia per le derive postrivoluzionarie sovietiche e la speranza di un mondo nuovo in cui, lottando insieme, anche il fascismo potrà essere sconfitto (Ghetti 2016, pp. 177-200). Il 6 marzo 1924 Antonio ripercorre con emozione la sua vita:
Mia carissima,
vorrei baciarti gli occhi, per asciugare le lacrime che mi pare di vedere, che mi pare di sentire sulle mie labbra, come altre volte, quando la mia cattiveria ti ha fatto piangere. Ci facciamo male, ci tormentiamo a vicenda, perché siamo lontani l’uno dall’altro e non possiamo vivere così. Ma tu ti disperi troppo. Perché? Mi hai promesso tante volte di essere forte e io ti ho creduto, e credo ancora che tu sei forte, più di quanto pensi: spesso sei più forte di me, ma io sono stato abituato dalla vita isolata, che ho vissuto fino dalla fanciullezza, a nascondere i miei stati d’animo dietro una maschera di durezza o dietro un sorriso ironico ed è qui tutta la differenza. […]
Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto di ribellione, che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso 10 in tutte le materie nelle scuole elementari […]. Esso si allargò per tutti i ricchi che opprimevano i contadini della Sardegna, e io pensavo allora che bisognava lottare per l’indipendenza nazionale della regione: «Al mare i continentali!». Quante volte ho ripetuto queste parole. Poi ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che veramente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale. Mi sono appassionato così alla vita, per la lotta, per la classe operaia. Ma quante volte mi sono domandato se legarsi a una massa era possibile quando non si era mai voluto bene a nessuno, neppure ai propri parenti, se era possibile amare una collettività, se non si era amato profondamente delle singole creature umane. Non avrebbe ciò avuto un riflesso sulla mia vita di militante, non avrebbe ciò isterilito e ridotto a un puro fatto intellettuale, a un puro calcolo matematico la mia qualità di rivoluzionario? Ho pensato molto a tutto ciò e ci ho ripensato in questi giorni, perché ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l’amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido. Ti voglio tanto bene, Julca, che non m’accorgo di farti male, qualche volta, perché io stesso sono insensibile.
Ti ho scritto, ti ho detto di venire perché nelle tue lettere avevo colto l’accenno che tu stessa volevi venire. Ho pensato anch’io ai tuoi: ma non puoi venire per qualche mese? Anche per un periodo determinato credi impossibile o difficile lasciare la famiglia? Come sarebbe bella una nuova parentesi di vita comune, nella gioia quotidiana, di ogni ora, di ogni minuto, di volersi bene, di essere vicini. Mi pare di sentire la tua guancia accanto alla mia, e la mano che ti accarezza la testa e ti dice che ti voglio bene anche se la bocca tace (Gramsci 1992, pp. 271-2).
Un post scriptum, oltre alla richiesta di una foto aggiornata che accompagni l’annuncio della sua venuta, sollecita la correzione delle note di Rjazanov (ripetuta anche in seguito, non troverà a quanto si sappia risposta) e un estratto delle pagine più belle scritte per la morte di Lenin: «Vedi che ti credo forte – conclude – perché ti domando di lavorare per me».
Le lettere successive vedono l’accavallarsi di tre tematiche: l’emozione per la futura nascita del bambino, l’ansia per l’oscura malattia di Giulia, la preoccupazione di un controllo da parte della polizia che lei pare adombrare. Sullo sfondo, pressante, la richiesta di raggiungerlo almeno per qualche tempo, e l’impossibilità di comprendere, tra le risposte evanescenti e i silenzi di lei, quali siano le vere ragioni delle sue resistenze.
Intanto, in Italia esce il primo numero de «L’Ordine Nuovo» «rinato» in forma di rassegna periodica di politica e di cultura operaia, accolto con grande favore dai militanti, e Antonio ne invia una copia a Giulia (ibid., p. 278). Nel persistente silenzio di lei, inutilmente sollecitata a condividere «il lavoro rivoluzionario», il 21 marzo 1924 Antonio rievoca il momento della dichiarazione d’amore, sfuggita forse nell’ebbrezza di quella notte dell’ottobre 1922 a Ivanovo-Voznesensk, nella quale insieme scrivevano la spregiudicata cartolina postale per Eugenia:
Penso ancora qualche volta che forse ho fatto male a dirti una certa sera che veramente, sì, eri tu che io amavo appassionatamente; penso che sono un mostro perché ti ho turbata profondamente e siccome sono ormai instupidito e incretinito, sarà una cosa seria e terribile andare avanti; ma qualche volta penso che tu non sei una bambina (eccettuato qualche volta), che se sono proprio rincretinito puoi riconoscermi per tale ecc. ecc. […] Vorrei però avere l’impressione che tu sei tranquilla, che sai ancora ridere. Mi pare di vederti sempre seria, abbuiata. Vorrei perciò averti vicina; troverei, mi pare, le cose più ingegnose per farti contenta, per farti sorridere. Farei degli orologi di sughero, dei violini di cartapesta, delle lucertole di cera con due code, insomma esaurirei tutto il repertorio dei miei ricordi sardeschi. Ti racconterei delle altre storie, sempre più meravigliose, della mia fanciullezza un po’ selvaggia e primitiva, tanto diversa dalla tua. E poi ti abbraccerei e ti bacerei tante volte per sentirti tutta vivente in me, vita della mia vita, come sei (ibid., p. 289).
Ma l’arrivo di un’allarmante lettera da Mosca spazza via ogni speranza di spensieratezza comune, e il 25 marzo Antonio risponde:
Mia carissima Julca, ho ricevuto la tua lettera ultima (del 20), che mi ha fatto riflettere come finora non avevo mai fatto. Non ho capito nulla, assolutamente nulla di questa lettera. Sono profondamente persuaso che tu non abbia affatto l’intenzione di fare della letteratura con me: credo che ogni tua parola sia la sincera espressione di un movimento del tuo pensiero. Cosa vuoi dire pertanto: «Cresce, cresce un’ombra: troverò ancora te?». Non capisco, non riesco assolutamente a capire. Ho cercato di tranquillarmi fantasticando, come se fossi vicino a te e volessi prendere in giro i tuoi fantocci: – che Julca abbia rivisto Serapidovic e l’ombra solenne di costui «ricominci» a proiettarsi sulla nostra vita? Che Julca sia stata finora solo un’agente della Cekà inviata per saggiare la mia corrompibilità e che oggi tra noi e il mandante si crei una situazione simile a quella della famosa coppia siberiana apparsa dinanzi alla commissione di controllo ai tempi della cista [epurazione] del partito? che l’ombra sia appunto della Cekà? – che si tratti di una improvvisa manifestazione della tanto celebre «anima slava»? […] Perché hai scritto che tu hai fatto troppo sanguinare noi due? Io ricordo solo di essere stato felice come non ero mai stato nella mia vita, non ricordo di aver sanguinato […]. Capisco dalla tua lettera, o mi pare di capire, che per te non è lo stesso. Così mi era parso anche qualche tempo fa, quando ti scrissi di venire vicino a me. Sentivo che c’era questa ombra inafferrabile (ma è poi davvero inafferrabile?) che minacciava, e volevo bastonarla anche da lontano, cercando di fare violenza sulla tua volontà. Ma tu non mi hai più neppure accennato alle possibili decisioni sulla tua venuta, e invece l’ombra riappare più minacciosa. Voglio che ci sia una estrema chiarezza tra noi, anche se ci sia da sanguinare. Non devi più scrivermi così vagamente. Devi dirmi cosa pensi realmente […]. Devi dirmi francamente tutto, senza timore di farmi male: credi che sia meglio così, con questi tuoi cenni che sono tante gocce di metallo fuso nella carne?2
Nella lettera del 29 marzo Gramsci tenta nuovamente di riprendere il dialogo interrotto, alla luce del perturbante e tardivo accenno di Giulia alla sua gravidanza:
Sì, è proprio necessario che tu mi scriva con grande chiarezza e sincerità, non riesco da qualche giorno a pensare più a te senza che mi paia tutto equivoco e menzogna. La mia fantasia ha due sbocchi: quando sono tranquillo, essa si sbizzarrisce a creare scene bizzarre e buffonesche; quando sono stanco e amareggiato, essa fabbrica cose atroci e malsane. Non posso non pensare a te: sei troppo parte di me stesso, della mia vita più intima perché possa non pensare a te. Adesso sono turbato come non fui mai. Sono stanco, amareggiato, triste. […] Ma tutto questo stato di cose morbose sparirà appena tu mi avrai scritto francamente, senza immagini vaghe e nebulose.
Il 24 febbraio hai scritto un accenno alla tua maternità. Esso mi aveva riempito di gioia. Io desideravo ardentemente che tu fossi madre, pensavo che ciò avrebbe dato più forza alla tua personalità, ti avrebbe fatto superare una crisi […] legata al tuo passato, alla tua fanciullezza, a tutto il tuo sviluppo intellettuale, ti avrebbe permesso di amarmi con più completo abbandono. Esito a scriverti queste cose, perché preferirei dirtele a voce, in modo da evitare ogni malinteso, ogni ombra, ogni apparenza di una mia prepotenza verso la tua personalità. Il tuo amore mi ha rafforzato, ha veramente fatto di me un uomo, o per lo meno, mi ha fatto capire cosa sia un uomo e l’avere una personalità. Il mio amore per te non so se abbia avuto conseguenze simili in te: credo di sì, perché ho sentito vivacemente anche in te, come in me, questa potenza creatrice. Ho pensato intensamente, nel breve periodo della nostra piena felicità, come avrebbe contribuito a coronare tutto ciò la tua maternità. Tu hai avuto solo un accenno ad essa, poi più nulla. Julca, liubjmaia, sento tanto che tu mi vuoi bene come io ti voglio bene e che saremo ancora tanto, tanto felici, perché porteremo in tutta la nostra attività, in tutto il nostro lavoro l’energia e il coraggio che nasce dalla felicità e dalla gioia della creazione (Gramsci 1992, pp. 310-1).
Finalmente rassicurato da una lettera di lei, il 13 aprile le comunica la notizia dell’elezione a deputato nel Veneto, nonostante le minacce ...