CAPITOLO
1
LE OMBRE DEI DATI
La materia e tutto il resto del mondo fisico sono stati ridotti
a un simbolismo oscuro. (…) La risposta scientifica è rilevante per quanto
riguarda le impressioni sensoriali interconnesse con l’agitazione
dello spirito, che in effetti costituisce una parte importante
del contenuto mentale. Per il resto, lo spirito umano
deve rivolgersi al mondo invisibile a cui appartiene esso stesso.
ARTHUR EDDINGTON, 1929
La sera del 24 ottobre 1962, James Brown e i Famous Flames si esibirono all’Apollo Theater di Harlem. Fu uno spettacolo breve secondo gli standard di oggi per gli eventi nelle arene: interpretarono solo una dozzina di canzoni, nessuna delle quali era nuova.
La registrazione del concerto fu inizialmente accantonata, ma poi la King Records, sollecitata dal manager di Brown, cedette e produsse l’album. Live at the Apollo venne rilasciato l’anno successivo ed ebbe un successo incredibile, rimanendo nella classifica Top Pop Albums di Billboard per oltre un anno e contribuendo a far entrare James Brown nel regno delle superstar dell’R&B. Ascoltando quell’album, la sua voce, i battiti sincopati dei piedi dei componenti della band e le urla della folla ci trasportano ancora oggi nell’energia di quella notte di Harlem. Il contesto che circonda Live at the Apollo ne determina l’innalzamento allo status di leggenda, è una capsula del tempo di puro “rhythm and blues” americano, imbottigliata 15 mesi prima che la Beatlemania arrivasse e invadesse gli Stati Uniti. Oggi sappiamo come la musica e James Brown siano giunti alla ribalta negli anni 60 e tale conoscenza rende ancor più speciale questa prima importante esibizione al l’Apollo.
Il valore di un fatto si riduce enormemente senza contesto.
HOWARD WAINER, 1997
Cosa ci viene in mente quando pensiamo agli album che amiamo? Un microfono solitario in un fumoso studio di registrazione? Un ago che incide la cera calda? Un rullo rotante di nastro magnetico? Un pulsante che fa clic prima che arrivi la nota iniziale? Niente di tutto questo! Gli effimeri dettagli meccanici di registrazione, archiviazione e riproduzione della musica possono suscitare nostalgia, ma non è lì che risiede la magia. La magia è nella musica, nelle informazioni che gli apparati catturano, preservano e rendono accessibili. Vale per tutti i tipi di informazioni: quando si immaginano i dati, non si deve rimanere bloccati nella codifica e nell’archiviazione, ma bisogna provare a capirne la musica.
Un mondo curioso
Quando creiamo un diagramma statistico, ci rendiamo conto che esiste qualcosa di magico nell’organizzare i dati in forme che possano essere comprese. Si tratta, però, di un concetto incompleto, poiché non tiene conto del fatto che i dati provengono dal mondo fisico. La registrazione di una canzone non si materializza dall’etere, ma a un certo punto del passato è stata cantata da una persona reale in una stanza reale. Allo stesso modo, la nostra arte non rende comprensibile l’invisibile, ma rende nuovamente reale una realtà del passato.
Si ottengono migliori data story quando riconosciamo le origini materiali dei dati, quando apprezziamo il modo in cui la nostra mente interagisce con l’ambiente fisico. Quando riconosciamo che è la vita a produrre i dati, la vita reale che comprendiamo e percepiamo, allora possiamo comprendere meglio gli ecosistemi astratti della matematica, della statistica e i dati stessi.
Il nostro punto di vista è ancorato al nostro corpo e agli elementi che incontra. Le prime parole sono servite per assegnare un nome agli oggetti nel mondo fisico: man mano che ci siamo resi conto di come gli elementi fisici cambiano nel tempo, il nostro linguaggio e la nostra coscienza sono cresciuti, e anche le azioni, le relazioni tra persone, oggetti e ambiente, sono state denominate. Il punto di vista dell’uomo si è esteso verso l’esterno per descrivere sistemi sociali, politici ed economici invisibili, verso l’interno per spiegare come questi processi ci fanno sentire. Insieme, le nostre esperienze di fenomeni fisici e invisibili sono evolute, sono emerse mappe mentali personali della realtà e dell’identità.
La nostra curiosità ci spinge a realizzare mappe migliori del mondo poiché ci danno un vantaggio competitivo sulla natura e gli uni rispetto agli altri. Espandono le nostre conoscenze in nuovi domini, quelli personali come individui e quelli della nostra società collettiva. In alcuni casi questa spinta è una ricerca motivata di risposte, in altri la chiarezza emerge organicamente dall’ambiente caotico. La curiosità affina la risoluzione della nostra comprensione.
Ognuno di noi arriva alle data story con una mappa leggermente diversa della realtà. Le competenze da nerd, come quelle di scienziati, ingegneri e designer, hanno preparato seriamente alcuni individui alle sfide tecniche dell’era dell’informazione. Queste discipline regalano punti di vista e abilità preziose, prospettive non comuni se si considera il resto della popolazione: solo il sei percento dei lavoratori negli Stati Uniti è occupato in scienza, tecnologia, ingegneria o matematica.
…la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti. (…) Qualora un prigioniero venisse liberato e costretto d’un tratto ad alzarsi, volgere il collo, camminare e guardare verso la luce, e nel fare tutto ciò soffrisse e per l’abbaglio fosse incapace di scorgere quelle cose di cui prima vedeva le ombre, come credi che reagirebbe se uno gli dicesse che prima vedeva vane apparenze, mentre ora vede qualcosa di più vicino alla realtà e di più vero, perché il suo sguardo è rivolto a oggetti più reali…
SOCRATE A GLAUCONE, LA REPUBBLICA DI PLATONE
Il raro orientamento tecnico del nerd non deve essere confuso con l’attitudine nei confronti della nostra arte. Lo storytelling dei dati non arriva dall’oscurità periferica, ma nasce dalle comuni esperienze quotidiane che tutti condividiamo. Lo storytelling dei dati appartiene a tutti.
La numerazione
Ognuno di noi ha 10 dita. Poiché le nostre menti si distraggono facilmente, usiamo le dita per tenere il segno quando contiamo: sono uno strumento versatile per piccole quantità di elementi, un aiuto sotto forma di riferimento visivo per il conteggio. Troppo presto, però, rimaniamo a corto di dita (comprese quelle dei piedi) e dobbiamo andare oltre il nostro corpo per continuare a contare. Esternalizzare il conteggio consente anche di avere le mani libere per altre attività. Possiamo tracciare velocemente dei segni nel terreno per aiutarci a tenere traccia del nostro conteggio: è proprio così che è iniziata la storia dei numeri.
Si chiama unario il sistema numerico con base 1. I numeri 1, 2, 3, 4 vengono rappresentati come 1, 11, 111, 1111.
La parola per indicare 20, score (punteggio), deriva dal norreno antico skor che vuol dire “tagliare”, come intagliare una tacca su un bastone per il conteggio. Il conteggio mediante gli score, forse più significativo quando le scarpe erano meno comuni, era già antiquato quando Lincoln alluse al 1776 iniziando il suo discorso di Gettysburg del 1863 con “quattro score e sette anni fa”. Calcoliamo ancora gli score dei giochi sui tabelloni dei punteggi.
L’osso di Ishango è un femore di babbuino con delle tacche intagliate che si ritiene essere un bastone per il conteggio di 20.000 anni fa.
Le prime tacche per il conteggio venivano scarabocchiate nel terreno con un bastone o disegnate sulla roccia con un pezzo di carbone. Presto divenne utile conservare queste tacche per tenerne traccia e per comunicare: le antiche cordicelle annodate per il conteggio e le ossa di animali tagliate sopravvivono come esempi di conservazione dei conti.
All’inizio, ogni elemento del conteggio era rappresentato da una tacca: sei corrisponde a
//////. Questi segni persistono nei sistemi numerici dell’Asia orientale, come i primi tre numeri del conteggio:
. Tali caratteri ad asta sono anche identici agli stessi primi tre numeri nel sistema numerico Brahmi, gli antenati grafici diretti dei moderni numeri indo-arabici che il mondo usa oggi:
1, 2, 3.
Per noi, questi numeri familiari sono simboli astratti. Oggi i numeri sono convenzioni culturali scarabocchiate non più collegate al nostro ambiente fisico, eppure lo erano molto tempo fa.
La numerazione a tacche diventa sempre più ingombrante mentre si procede nel conteggio, quindi i grandi numeri, spesso multipli di 10, furono astratti con una nuova idea: segni di valore per rappresentare un particolare raggruppamento. Questi simboli consolidarono la fisicità delle nostre 10 dita come base del sistema numerico. Se il numero dieci è
e cento è
, allora 114 può essere rappresentato con
////.
5, 6, 7, 8, 9 Un tempo si ipotizzava che le cifre oltre il 4 provenissero dalle forme delle lettere iniziali o delle sillabe dei nomi dei numeri nell’alfabeto Brahmi del III secolo a.C. Potrebbero però provenire da simboli numerici ancora più antichi e non rintracciabili.
JOSEPH MAZUR, 2014
Un simbolo è una forma visiva che viene utilizzata come rappresentazione convenzionale, o come approssimazione, di un oggetto o di un concetto.
La notazione con segni di valore è stata la base degli antichi sistemi numerici egizi e romani, per cedere poi il posto a una varietà di sistemi additivi che assegnano nomi speciali alle prime 10 cifre (… quattro, cinque, sei…) e a importanti multipli di 10 (dieci, cento, mille). Questi nomi speciali sono ancora oggi il modo in cui pronunciamo numeri sia in cinese sia in inglese sia in italiano: due cento (e) quattro.
Il conteggio numerico ha sofferto di problemi per contabilizzare le spese che richiedono più di quanto disponibile (cioè i debiti) e per l’impossibilità di rappresentare in modo chiaro il concetto del nulla. Nel corso di un migliaio di anni, i numeri negativi e lo zero sono stati aggiunti per affrontare tali questioni. Le soluzioni furono prima formalizzate in India e sintetizzate con la matematica greca in Persia, poi diffuse in Nord Africa e in Europa da Leonardo fillius Bonacci (soprannominato Fibonac...