Introduzione agli studi di storia
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La storia è in pericolo, e così la memoria collettiva. Se la funzione di entrambe è stata a lungo quella di legittimare il presente, oggi questa legittimazione sembra non servire più, e il presente sembra cercare in se stesso la propria identità, seguendo criteri legati all'efficienza realizzatrice più che all'autorevolezza derivante dall'antichità. Questo volume si propone come un'agile introduzione allo studio di una disciplina che mostra segni di crisi impensabili solo qualche decennio addietro, ma che al tempo stesso è oggetto più che mai di acutissimo interesse. Nato dalla concreta esperienza della didattica nell'università, e destinato alla didattica, il libro propone una riflessione sui concetti fondamentali della conoscenza storica, a partire dal senso e dall'utilità dello studio del passato in relazione alle esigenze del presente. Attraverso l'illustrazione dei problemi relativi al confronto dello storico con le fonti, dell'attrezzatura concettuale e dell'attendibilità della ricostruzione del passato, giunge alla proposta di quadri interpretativi delle grandi epoche in cui tradizionalmente è stata ripartita la storia europea: medioevo, età moderna, età contemporanea.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788855221511
Argomento
History
Categoria
World History

VI. Medioevo. Un patrimonio genetico

1. Medioevo e civiltà europea.
La civiltà dell’Europa occidentale riconosce le sue radici più lontane nell’antichità greca e romana. Molti dei suoi elementi caratterizzanti – la città, le forme della politica, il diritto, la religione cristiana, le forme artistiche e letterarie – vengono comunemente considerati eredità della lontana epoca delle città-stato greche e della grande sistemazione politico-culturale del mondo mediterraneo romano.
La genesi di altri tratti fondamentali viene invece collocata in un’epoca molto più recente, considerata «moderna», i cui primi momenti si collocano nel XV secolo. Il «patrimonio genetico» della civiltà europea si collocherebbe dunque, secondo questa visione ampiamente condivisa, in due momenti nettamente distinti della storia dell’Occidente, fra i quali intercorre un lungo periodo – dal V al XV secolo – definito proprio dallo «stare in mezzo» fra Antichità ed «Età moderna» e denominato «Medioevo».
Oltre alla definizione cronologica e relativamente neutra espressa in tale denominazione, il concetto di medioevo si è sostanziato di contenuti prevalentemente negativi, che sottolineano la sua presunta estraneità e la sua contrapposizione al sistema di valori e ai fondamenti stessi del mondo moderno. Questa concezione complessiva del passato della civiltà occidentale è il prodotto di una lunga sedimentazione, avviatasi con la riflessione degli intellettuali del XIV e XV secolo. Il concetto di medioevo ha costituito per secoli il punto cruciale – in negativo – della costruzione dell’immagine stessa della modernità; gran parte delle caratteristiche considerate essenziali del mondo moderno sono state identificate in contrapposizione a quelle considerate proprie dell’epoca medievale; nel superamento di questo, attraverso una «rinascita» (si pensi alla forza nella nostra cultura del concetto – nato in ambito storico-artistico – di Rinascimento) starebbe la chiave della modernità.
Quando gli intellettuali umanisti del XIV e del XV secolo confrontavano le condizioni del loro tempo con la nuova immagine del mondo antico che andava delineandosi attraverso lo studio filologico dei classici, non potevano non rilevare la profonda trasformazione che le forme espressive artistiche e letterarie avevano subito nei secoli trascorsi dall’epoca delle massime realizzazioni della civiltà ellenistico-romana. Da questo confronto con la grandezza degli antichi, cui facevano riferimento, derivava una condanna inappellabile della «decadenza» che caratterizzava da secoli i valori della classicità, ma che sottovalutava ogni originale elaborazione derivata dall’incontro romano-germanico. Nasceva così la nozione di un’età intermedia di decadenza, di disordine e barbarie, che – successivamente – avrebbe trovato nella cultura della Riforma protestante un ulteriore motivo di condanna nella realtà del cattolicesimo trionfante, della Chiesa medievale che aveva tradito gli ideali evangelici, corrompendo religione e clero in una generale ricerca di potere e di accumulo di ricchezza e nel monopolio di ogni aspetto della vita politica, sociale e culturale.
Se la stessa immagine della Chiesa trionfante nei secoli medievali era alla radice di una valutazione opposta da parte della cultura cattolica che reagiva alla Riforma dopo il Concilio di Trento, nel secolo XVIII la tendenza alla condanna del medioevo si sostanziava di nuovo nell’autorevolezza innovativa del pensiero illuminista: mobilitandosi contro l’oscurantismo religioso, il privilegio aristocratico, il potere arbitrario – gli illuministi ne vedevano le origini e l’affermazione proprio nei secoli in cui da allora in poi si precisò la cronologia del medioevo. La vittoria sul piano politico e culturale delle idee illuministe consegnava alla cultura europea dell’Ottocento e del Novecento l’idea del medioevo come modello da respingere e rifiutare.
Tuttavia, nello stesso tempo, sia ad opera della cultura cattolica, sia grazie al pensiero romantico, che – soprattutto in ambito tedesco – trovava nella tradizione germanica del «popolo» l’ispirazione per lo sviluppo dell’idea di nazione, il medioevo cominciava ad apparire come un’epoca di palingenesi e trionfo di valori autentici, in contrapposizione al paganesimo dell’antichità o alla decadenza dell’esausta civiltà romana.
Nei diversi contesti nazionali tali rivalutazioni assumevano aspetti differenti: in ambito italiano, il forte legame della storia della penisola con gli sviluppi del papato medievale conduceva all’esaltazione del «medioevo cristiano»; mentre, in epoca risorgimentale, l’esperienza del Comune appariva come principio unificante dell’identità collettiva della nazione.
La cultura anglosassone sviluppava invece un sempre più forte interesse per gli aspetti magici e irrazionalisti della cultura medievale, elaborando una visione fantastica del medioevo ampiamente basata sulla tradizione letteraria del ciclo arturiano, che si diffondeva fin nella cultura popolare.
La grande stagione medievale della «nazione» germanica, giovane e piena di energia, che irrompeva nella storia imponendo all’intero mondo occidentale i propri valori originari della disciplina, della forza, del senso della comunità, diveniva nell’immaginario degli intellettuali tedeschi, impegnati nel sostenere l’unificazione politica della Germania, il punto di partenza di idee che inclinavano fortemente verso il nazionalismo, per degenerare nel XX secolo nella violenta e aggressiva retorica della razza eletta e del destino germanico al dominio del mondo.
Non è dunque un caso che, con la sconfitta del nazionalismo tedesco e la laicizzazione della società europea nel XX secolo, il retaggio più influente di questa sedimentazione del concetto di medioevo sia stata la piena ripresa dell’interpretazione polemica degli illuministi e la definitiva fissazione delle origini del mondo moderno alla fine di un periodo che si riteneva dominato dall’oscurantismo, dal privilegio, dall’arbitrio politico. E però, da un lato non cessavano di esercitare influenza le letture più fantasiose dell’età medievale, né quelle ispirate dalla ricerca di esempi di spiritualità profonda, dall’altro non svaniva la convinzione che le identità nazionali dei popoli europei trovassero origine nel crogiolo del mondo romano-germanico.
La lunga polemica sulla definizione e sul significato del medioevo nella storia europea e la complessa sedimentazione di questo concetto ne hanno determinato la profonda ambiguità. In esso convivono, infatti, un aspetto – prevalente – di rifiuto e di condanna per un’epoca percepita come arretrata, violenta, oscura, e un aspetto che invece sottolinea il fascino di un mondo «altro», pervaso dalla spiritualità, dal mistero, dalla vitalità di forze giovani e incorrotte.
Il lavoro degli storici negli ultimi decenni si è orientato verso lo scioglimento di queste contraddizioni e verso la verifica dell’attendibilità dei tratti ritenuti costitutivi dell’ordine medievale; da questo lavoro l’immagine del medioevo esce profondamente trasformata. Innanzi tutto, con la negazione di una presunta omogeneità dei dieci secoli considerati «medievali» dalla tradizione, si è imposta la necessità di una periodizzazione interna dell’età medievale. In secondo luogo, si è riconosciuta la natura non radicalmente traumatica degli eventi del V secolo (la cosiddetta caduta dell’Impero romano). Infine, con la sottolineatura della continuità, fra gli ultimi secoli del medioevo e l’età moderna, di alcuni processi fondamentali, quali la costruzione degli ordinamenti statuali e la strutturazione delle gerarchie sociali moderne, è stato fortemente riconsiderato il valore di spartiacque della modernità attribuito al XV secolo.
Queste considerazioni, che hanno condotto a interrogarsi sull’utilità di mantenere la stessa nozione di medioevo, sono al tempo stesso l’origine e il prodotto di una riflessione e di una ricerca che – sottolineando la continuità con il mondo antico, da un lato, e con la modernità dall’altro – hanno finito col considerare i «secoli centrali» del medioevo tradizionale (quelli dal X al XIII) come l’epoca caratterizzata da un’autentica peculiarità quanto a genesi dei caratteri originali della civiltà europea. Ciò non significa però sottovalutare l’originalità della grande trasformazione del mondo classico indotta dal cristianesimo, dagli effetti della convivenza romano-germanica, dalla faticosa elaborazione di una sintesi fra tradizioni e civiltà così diverse nel corso del «primo medioevo» (i secoli V-VIII). Né significa ignorare che gli ultimi due secoli del medioevo (il cosiddetto «tardo medioevo») siano l’epoca in cui tali caratteri maturano, disegnando il quadro all’interno del quale si svolge l’intera vicenda europea dei secoli successivi.
Si è giunti, in sostanza, al riconoscimento del fatto che è proprio in quei dieci secoli che vengono elaborate e si definiscono alcune delle caratteristiche fondamentali della nostra civiltà. A differenza del mondo classico, strutturato attorno al Mediterraneo, e al quale le regioni centrali dell’Europa rimasero sostanzialmente estranee, l’esperienza medievale si svolge in un contesto geografico analogo a quello cui si riferiscono le nozioni di Europa e di Occidente; questo emerge come area omogenea – pur nelle sue diversità – successivamente alla lunga crisi dell’ordinamento politico-istituzionale unitario dell’Impero romano. L’apporto dell’elemento germanico che caratterizzò l’esperienza delle regioni dell’Occidente è elemento imprescindibile – almeno quanto l’eredità del mondo ellenistico-romano – della formazione dei tratti essenziali del mondo moderno, e la sua influenza si colloca in epoca medievale. È fra i secoli XI e XIII, inoltre, che si svolge l’elaborazione della cultura religiosa e dell’organizzazione istituzionale del cristianesimo che costituisce la base originale della cultura e della spiritualità occidentale, ben distinta – anzi, per tanti versi opposta – alla tradizione originaria, prevalentemente orientale, del cristianesimo stesso.
È ancora in quei secoli che emergono, dopo una lunga sperimentazione, le forme – anche queste originali – dell’organizzazione politica e sociale, che forgiarono l’ordine dell’Europa moderna, mantenendosi stabili per secoli: una specifica forma di città, le grandi monarchie a base nazionale, una peculiare struttura delle gerarchie sociali, un originale intreccio fra poteri pubblici ed eminenze private. Infine, fra XI e XV secolo trovarono sviluppo sia alcuni dei tratti caratteristici dell’organizzazione delle economie del mondo occidentale – il commercio a lunga distanza, l’organizzazione del credito, la produzione su larga scala di beni di consumo – sia la tendenza a imporre con la ricchezza e con la forza militare al resto del mondo un rapporto di dominio e di sfruttamento.
In sintesi, appare sempre più pregnante la definizione dei secoli medievali come l’epoca dell’«infanzia dell’Europa» (l’espressione è di R. Fossier); un’epoca in cui il mondo di derivazione romano-germanica, distinguendosi radicalmente dal mondo orientale, bizantino e musulmano, costruì la sua identità specifica; un’identità forte e aggressiva, che l’avrebbe condotta ad estendere il proprio dominio sul mondo intero; un’epoca dominata dalla sperimentazione di nuove forme di vita associata, nella quale stanno probabilmente le radici del dinamismo e della capacità di trasformazione che sono probabilmente le caratteristiche più significative della civiltà europea.
2. Genesi dello spazio europeo.
È ormai un dato acquisito dalla storiografia che dalla contaminazione delle civiltà romana e germanica nacquero nuovi caratteri della vita associata, della concezione del potere, delle forme dell’insediamento e dell’economia; altrettanto può dirsi per il riconoscimento del fatto che le «invasioni» germaniche del V secolo, lungi dal rappresentare un evento improvviso e traumatico, furono un momento di questo processo molto più lungo di reciproca acculturazione.
Quando, nel 476, il capo delle milizie germaniche di stanza nella penisola italica, lo sciro Odoacre, depose l’imperatore Romolo Augustolo, l’evento non dovette apparire particolarmente traumatico né inaudito: da molto tempo, infatti, la dignità imperiale in Occidente dipendeva dal pronunciamento di porzioni dell’esercito, che a sua volta era da decenni prevalentemente costituito da contingenti di stirpe germanica. Più significativo era invece il fatto che Odoacre non sostituiva una sua creatura al deposto imperatore, ma sanciva con l’invio delle insegne imperiali a Costantinopoli l’inesistenza di fatto della pars occidentis dell’Impero. Erano infatti diversi decenni che grandi e importanti regioni, come la Britannia, o la Gallia, o ancora la penisola iberica e le province africane erano governate in maniera autonoma dai capi delle stirpi germaniche che, a partire dall’insediamento dei contingenti militari ingaggiati nell’esercito romano, si erano stanziate sui territori dell’Impero.
I nuovi protagonisti dei cosiddetti «regni» romano-germanici, che fra V e VII secolo disegnavano la geografia politica dell’Occidente, non erano i «barbari» descritti dalla tradizione storiografica in opposizione alla civiltà dei romani e dei cristiani. In relazione diretta con l’ambito romano fin dalla conquista della Gallia e dell’espansione nella penisola balcanica, franchi, visigoti, ostrogoti, vandali, burgundi, più che entità etniche originarie, erano stirpi coagulatesi attorno a nuclei militari in tempi relativamente recenti, e comunque nella maggior parte dei casi strutturatesi in concomitanza con l’acculturazione romana e cristiana avviata dal sempre più stretto contatto con il mondo ellenistico-romano e dall’immissione nei ranghi dell’esercito imperiale. Cristianizzati, per lo più nella versione ariana del cristianesimo, già prima delle migrazioni verso Occidente sotto la spinta dei nomadi delle steppe asiatiche, o rapidamente convertitisi dopo l’insediamento, i germani del V-VI secolo condividevano con i romani la cultura religiosa che aveva costituito il maggiore elemento di trasformazione del mondo ellenistico-romano. I tratti originari della cultura germanica – quelli descritti da Cesare e da Tacito – erano stati ampiamente trasformati sia dalla cristianizzazione, sia dalla frequentazione e dall’immissione nelle gerarchie della società romana. Gli apporti di altre culture – soprattutto di origine asiatica – che avevano profondamente influenzato le società germaniche avevano peraltro interessato ampiamente anche la società romana.
La convivenza romano-germanica fu inquadrata per lo più nel sistema romano dell’hospitalitas, che prevedeva l’assegnazione alle truppe di stanza nelle diverse regioni la cessione di parte delle proprietà dei romani; gli immigrati, formalmente considerati contingenti militari dell’esercito, da semplici guerrieri si trasformarono anche in proprietari, ma non distrussero l’organizzazione amministrativa civile romana, benché il sistema fiscale cessasse presto di esistere e il demanio fondiario passasse nelle mani dei re germanici.
Le entità politiche dette «regni» in cui si articolò lo spazio già imperiale furono qualcosa di molto diverso da organizzazioni monarchiche intese in senso moderno; la convivenza fra le due etnie si esprimeva in un ordine che accentuava la frammentazione e preludeva a una ancora più diffusa pluralità di poteri e diritti che avrebbe caratterizzato la società europea nei secoli successivi: il re continuava ad essere il capo tradizionale della stirpe germanica, mentre per i romani era una sorta di governatore militare; l’amministrazione civile manteneva il modello romano, mentre il diritto di ciascuno dei due popoli rimaneva in vigore.
Per più di un secolo, la convivenza trovò dunque i momenti di frizione soprattutto nella rivalità religiosa fra ariani e cattolici – come nel regno vandalo e in quello degli ostrogoti – in cui si concretizzò l’opposizione «etnica».
Il destino di molti di questi regni, travolti dalla rinnovata egemonia dell’Impero orientale nell’epoca di Giustiniano e dall’espansione musulmana, dipese in larga misura dall’impossibilità di instaurare proficui raccordi fra le aristocrazie romane e germaniche che ormai basavano largamente la propria eminenza sull’appartenenza alla società ecclesiastica. Di contro, a sopravvivere e a prosperare furono i regni dei franchi e quello dei visigoti, in cui l’acculturazione cristiana aveva funzionato da saldo elemento di coesione e di avvio di esperienze comuni fra le due etnie.
La vicenda dei due regni superstiti – quella dei longobardi, configuratosi dopo un’invasione tardiva, nel VI secolo, resta un caso a sé – ebbe esito differente a causa di una diversa configurazione della società militare visigota e franca: la prima mostrò la debolezza di un’organizzazione militare ancora largamente basata sull’esercito di popolo di tradizione germanica, cedendo all’impetuosa avanzata musulmana alla fine del VI secolo, la seconda aveva invece elaborato forme originali di organizzazione militare, basate sull’emergere di un ceto di proprietari-guerrieri di professione, strutturato attorno a solidarietà personali e fu in grado di resistere alla pressione musulmana, fissando sui Pirenei uno dei confini dell’Europa romano-germanica e cristiana.
Nell’VIII secolo, allora, con l’eccezione periferica dei regni anglosassoni e quella del regno longobardo d’Italia, l’area franca rimaneva il laboratorio della sperimentazione della convivenza e dell’elaborazione di forme originali di organizzazione sociale e politica, sostitutive dell’ormai dimenticata struttura imperiale romana. Non è dunque casuale che attorno alla Gallia franca si organizzasse da allora un nuovo ordine politico e sociale, destinato a divenire il modello dominante e il nucleo propulsore di un nuovo spazio omogeneizzato da forme della vita associata, dalla religione cristiana e dalle istituzioni ecclesiastiche, e non più centrato sul Mediterraneo.
Successivamente, un’ininterrotta sequenza di conquiste militari, accompagnate da una profonda cristianizzazione attraverso attività missionarie o con la forza, esportò modelli organizzativi e strutture sociali, oltre che una potestà politica unitaria su un ambito geografico vastissimo – dal Mare del Nord al Mediterraneo, dalla Catalogna all’Elba – che disegnava già l’embrione dello spazio europeo.
In questo spazio, i rapporti sociali caratteristici della società franca – il dominio di un’aristocrazia di guerrieri e proprietari laici ed ecclesiastici coordinati dai rapporti vassallatici –, le esperienze religiose ed ecclesiali maturate in Gallia (o là importate dalle isole britanniche), le strutture di governo elaborate dalla dinastia carolingia – le contee e le marche, circoscrizioni pubbliche rette da funzionari del re – costituirono una base capace di omogeneizzare all’insegna della fede cristiana etnie diverse e differenti amalgami di elementi di origine romana e germanica.
Fu su questo superamento dell’iniziale frammentazione romano-germanica, sulla riaggregazione di uno spazio unitario della società cristiana in Occidente che si fondò l’idea del rinnovamento di un potere laico di natura universale. Ispirato dagli ambienti ecclesiastici franchi e romani – gli unici in cui si era mantenuta l’idea universalistica generatasi nella congiunzione fra idea imperiale romana e idea di religione universale propria del cristianesimo – il conferimento della dignità imperiale a Carlo Magno nell’800 fu la sanzione del carattere unitario e omogeneo che si riconosceva alla societas christianorum organizzata nelle forme romano-germaniche del dominio franco ed estesa su uno spazio che integrava parte dell’antico mondo romano e si estendeva al di là di questo, a comprendere il centro germanico del continente, mai romanizzato.
3. Sviluppo, espansione, crisi.
Il fenomeno di maggior rilievo che interessò le strutture di base dell’Occidente medievale fu lo straordinario sviluppo dell’economia avviatosi nel X-XI secolo. Per valutare adeguatamente la portata di tali processi è necessario fare riferimento al panorama economico dei primi secoli del medioevo.
A partire dal III secolo il sistema economico unitario dell’Impero romano era entrato in crisi: diminuzione della popolazione, squilibri fra città e campagna, pressione fiscale crescente per il mantenimento dell’esercito, diminuzione dell’afflusso di schi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Premessa
  6. I. Passato e presente. Il tempo e la causalità
  7. II. Relatività. La storia come scienza sociale
  8. III. Fare storia. Spiegazione e narrazione
  9. IV. Verità e punti di vista. Il confronto con le fonti
  10. V. Interpretare. Concetti, modelli, periodi
  11. VI. Medioevo. Un patrimonio genetico
  12. VII. L’età moderna. Il trionfo europeo
  13. VIII. L’età contemporanea. Massificazione e declino europeo
  14. Nota bibliografica