Thelonious Monk
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La figura di Thelonious Monk (1917-1982) è da sempre tra le più apprezzate dagli studiosi e dagli appassionati di jazz. Eppure spesso ne è stato offerto un ritratto parziale, se non distorto: quello di un genio eccentrico, di un uomo mentalmente disturbato, di un musicista primitivo e naïf. Questa biografia rimette finalmente nella giusta prospettiva critica la vita e la musica del grande pianista-compositore. Grazie a un lavoro di ricerca durato più di dieci anni, durante i quali l'autore ha avuto accesso per la prima volta ai documenti privati della famiglia Monk, scopriamo un Thelonious diverso: un musicista pienamente consapevole della propria arte, determinato a lottare senza compromessi per difendere la sua visione musicale; un individuo sensibile e spiritoso, che malgrado gli eccessi conquistava immancabilmente la stima e la simpatia del prossimo; un uomo attentissimo alla realtà sociale, che nella musica vedeva anche il mezzo per affermare la possibilità di un mondo migliore. Selezionato dal New York Times fra i 100 migliori libri del 2009, finalista al PEN USA Literary Award, premiato come miglior libro sul jazz dalla Jazz Journalists Association, Thelonious Monk. Storia di un genio americano è destinato ad affermarsi come l'opera definitiva su un gigante indimenticato del jazz.

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Informazioni

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«MIA MADRE NON VOLEVA FARMI CRESCERE NELLA CAROLINA DEL NORD»
(SCHIAVITÙ, LIBERTÀ, NASCITA, ESODO)

Il 10 ottobre 1957, Thelonious Monk aveva parecchio da festeggiare. Era il suo quarantesimo compleanno e, dopo aver tirato la cinghia per più di vent’anni, la sua carriera era finalmente ben avviata. Aveva una scrittura regolare, la prima da anni, al Five Spot Café di New York. Quando aveva iniziato lì tre mesi prima, stava da poco cominciando a emergere da una relativa oscurità. Adesso era uno dei nomi di maggiore richiamo sulla scena del jazz e quel piccolo bar dell’East Village era diventato uno dei locali più in della città. Fan in estasi, hipster, bohémien o aspiranti tali facevano la fila davanti alla stretta vetrina del club, al 5 di Cooper Square, nella speranza di poter sentire Monk e il suo leggendario quartetto: John Coltrane, Ahmed Abdul-­Malik al contrabbasso e Shadow Wilson alla batteria. Quella sera, Monk aveva voglia di far festa. Intorno a lui c’erano amici, familiari e fan entusiasti. I suoi «non-anni», come li chiamava la moglie Nellie, stavano per finire.1
Più a nord, sulla Cinquantaseiesima Ovest, vicino alla Quinta Avenue, c’era un altro Monk, Julius Withers Monk, e anche lui aveva di che festeggiare. Quella stessa sera di giovedì, l’ultima opera di Julius Monk, uno spettacolo di rivista intitolato Take Five, aveva esordito all’Upstairs at the Downstairs, ricevendo recensioni eccellenti. Noto nel mondo dello spettacolo come ottimo pianista, autore satirico, modello, produttore e personaggio un po’ eccentrico, Julius Monk aveva lavorato al famoso #1 Fifth Avenue Bar negli anni Trenta e poi qua e là in Francia, prima di diventare direttore musicale di un popolare locale notturno, Le Ruban Bleu, nel 1943. Negli anni Cinquanta aveva fondato la Downstairs Room e poi aveva lanciato l’Upstairs at the Downstairs, che combinava teatro, ristorante e nightclub, e dove aveva messo in scena numerosi spettacoli comici molto apprezzati.2
Probabilmente Thelonious e Julius sapevano l’uno dell’altro. In tutte le edizioni dell’annuario della sezione 802 dell’American Federation of Musicians, il nome di Thelonious veniva sempre dopo quello di Julius nell’elenco dei pianisti.3 Ma in comune avevano ben più che il piano, il sindacato, la reputazione di eccentrici, il nome latineggiante e lo stesso cognome. Venivano entrambi dalla Carolina del Nord (Julius era nato nel 1912 a Salisbury, nella contea di Rowan, Thelonious nel 1917 a Rocky Mount, nella contea di Edgecombe). La loro comune provenienza geografica non è casuale: un secolo prima, il bisnonno di Julius, Archibald Monk, aveva avuto come schiavo il bisnonno di Thelonious, John Jack Monk.4
Julius Withers Monk era un appassionato della storia della sua famiglia. Nel corso degli anni Quaranta aveva condotto ricerche approfondite e aveva perfino commissionato a un esperto un dettagliato albero genealogico della famiglia Monk.5 I soli Monk che gli interessassero, però, erano quelli che gli somigliavano, non i diciannove schiavi che nel 1860 erano di proprietà del suo bisnonno.6 Se avesse conosciuto quella storia, forse gli sarebbe venuta voglia di scendere fino al Five Spot, finito il suo spettacolo, e di ringraziare personalmente Thelonious per la vita privilegiata che gli era toccata in sorte. Julius, rampollo di uno dei maggiori proprietari terrieri di Salisbury, il dottor Lawrence Monk Sr, era cresciuto in una famiglia agiata, aveva frequentato il Peabody Institute di Baltimora e poi il conservatorio di Cincinnati.7 La sua eccellente educazione musicale, così come lo studio della medicina perseguito dal padre e dal fratello, furono sovvenzionati in parte dal patrimonio ereditato, frutto, come si scoprì, del sudore e della fatica di John Jack Monk e degli altri uomini di origine africana che la famiglia teneva come schiavi.
Julius era cresciuto nell’abbondanza; Thelonious, in povertà estrema. Sua madre e sua nonna campavano lavando i pavimenti e suo padre, Thelonious Sr, faceva quel che poteva lavorando dove capitava come manovale, nella cittadina ferroviaria di Rocky Mount. I suoi nonni erano vissuti in un regime di servitù del debito, lavorando a mezzadria per gli ex schiavisti, per riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena. Monk, tuttavia, non ereditò solo la miseria. La sua famiglia gli tramandò un ricco lascito culturale, intellettuale e politico, che plasmò la sua musica e la sua visione del mondo in modi profondi e inafferrabili.
Nel Sud segregato le vestigia della schiavitù si trovavano dappertutto. Ma più importante della memoria della schiavitù era la memoria della libertà. Le due generazioni precedenti a quella di Thelonious avevano attraversato una delle più grandi rivoluzioni e controrivoluzioni della storia del mondo moderno. Thelonious, la sorella Marion e il fratello Thomas furono allevati in una famiglia in cui la parola libertà aveva un significato tangibile. Ascoltarono con le proprie orecchie, dai loro genitori, racconti di emancipazione; storie di neri che andavano a votare, che si candidavano; storie di ex schiavi che avevano fondato chiese e scuole, contribuendo a costruire una democrazia nuova negli stati del Sud. Per un cittadino nero del Sud degli Stati Uniti fra il 1865 e il 1900, la parola libertà non era scontata, né veniva usata in modo astratto. Libertà – e i genitori di Thelonious gli trasmisero a loro volta questo concetto – non significava semplicemente rompere le «regole» dell’armonia musicale, deformare i tempi. I suoi nonni appartenevano alla prima generazione di afroamericani liberi, una generazione a cui finalmente era stato permesso di sognare una vita decente in una democrazia che consentiva di sperare. Eppure, quando le leggi segregazioniste si abbatterono sul Sud, i suoi genitori videro quella democrazia (e con essa la loro libertà) andare in fumo, a volte letteralmente, sotto gli assalti dei suprematisti bianchi. L’espropriazione dei diritti civili dei neri e la restaurazione della vecchia classe dei coltivatori latifondisti fu rapida e violenta. Come molte altre famiglie, però, anche i Monk non persero mai la memoria della libertà post guerra civile, né la determinazione a riaverla, un giorno o l’altro.
La musica di Thelonious Monk parla essenzialmente di libertà. Da chi venne prima di lui, Monk ereditò molto, non ultima una comprensione profonda, intima, del senso della libertà. La sua storia comincia con il loro canto.
Gli antenati di Monk venivano dall’Africa occidentale. La maggioranza degli schiavi importati nella Carolina del Nord non arrivava via mare direttamente dal continente africano. Quasi tutti vi giungevano via terra, dalla Carolina del Sud o dal confine settentrionale con la Virginia. I primi schiavi portati nella Carolina del Nord, agli albori di quella colonia, arrivavano con i loro padroni perlopiù dalle isole Barbados. Affinità e abitudini culturali possono aiutare a stabilire le origini etniche africane degli schiavi, ma degli antenati di Monk si sa troppo poco per poter fare congetture.8
Quello che sappiamo è che i progenitori di Thelonious, tanto da parte di madre quanto di padre, finirono schiavi nelle piantagioni sulle pianure costiere della Carolina del Nord orientale, regione rinomata per il terreno alluvionale ricco e scuro, per i suoi tanti fiumi e affluenti e per il paesaggio pianeggiante a perdita d’occhio. Prima della guerra civile vi regnava il cotone, anche se in un ambito limitato: gran parte della terra arabile della regione era coltivata a tabacco, patate dolci, granturco e fagioli. Anche il bestiame era abbondante, soprattutto quello suino.
I parenti paterni di Monk vivevano su entrambi i lati del confine che divideva le contee di Johnston e di Sampson. Il bisnonno, John Jack o solo «Jack», era nato intorno al 1797, ed è abbastanza probabile che fosse nato libero in Africa occidentale.9 Nel 1835 divenne proprietà di Archibald Monk, tramite la moglie Harriet. Harriet Monk aveva ereditato John Jack da suo padre, Aaron Hargrove, altro importante coltivatore della contea di Sampson. Otto anni prima, Hargrove aveva dato in dono a Harriet la primogenita di John Jack, Chaney. All’epoca Chaney aveva solo nove anni.10 Di nuovo uniti, Jack John e Chaney diventarono anche loro «Monk», così come tutti gli altri schiavi della piantagione di Archibald a Newton Grove.
Archibald Monk, da parte sua, non era mai stato un coltivatore: quello che veramente gli interessava erano il commercio e la politica. Nato nella contea di Sampson intorno al 1789, aveva finito col diventare uno dei cittadini più in vista della Carolina del Nord. Nei primi anni Venti aveva abitato a Fayetteville ed era stato comproprietario di un avviato emporio in Hay Street. Solo dopo il matrimonio con Harriet Hargrove, nel 1824, tornò nel distretto settentrionale della contea di Sampson, diventando proprietario di piantagione e personaggio pubblico.11
La storia ufficiale della famiglia Monk tralascia un evento cruciale, presente invece nelle storie della parte nera del clan Monk. Nel 1825 o ’26, poco dopo il matrimonio di Archibald, una giovane schiava che viveva in casa sua, a quanto pare molto bella e di sangue misto indiano e africano, gli diede due gemelli, Solomon e Kaplin.12 Archibald, che viveva ancora a Fayetteville, causò qualche scompiglio portando con sé, nelle sue visite alla locale parrocchia presbiteriana, i suoi due figli mulatti. Secondo la tradizione familiare dei Monk neri, la congregazione proibì ad Archibald di frequentare la chiesa, tanto che lui decise su due piedi di fondarne un’altra sulla sua piantagione, dove i Monk bianchi praticavano il proprio culto fianco a fianco con i loro schiavi. Il figlio di Archibald, il dottor John Carr Monk, ereditò a quanto pare la convinzione paterna che la casa di Dio non conosca divisioni di colore (tranne forse che fra navate e balconata). Prima della guerra civile, John e sua moglie, Anne Eason Monk, frequentavano una chiesa metodista della contea di Sampson nota perché ammetteva gli schiavi in balconata. In teoria, avrebbero dovuto semplicemente badare ai bambini bianchi; in realtà, erano incoraggiati a partecipare alle funzioni. Dopo la guerra, quella del dottor Monk fu l’unica voce che si levò contro la segregazione della popolazione nera nelle chiese. Imperterrito, nel 1870 si convertì al cattolicesimo, con grande dispiacere dei suoi vicini bianchi protestanti, e destinò legalmente un piccolo appezzamento di terra, nella cittadina di Westbrook, alla costruzione di una «scuola di colore» principalmente orientata all’insegnamento religioso.13
Poteva dunque capitare, prima della guerra, che neri e bianchi si trovassero a pregare insieme: ma le loro preghiere non avevano lo stesso indirizzo. I neri in schiavitù non consideravano un granché il Dio del padrone. Avevano creato piuttosto una loro versione del cristianesimo, e in genere preferivano praticare il loro culto nei boschi, nelle loro misere casupole, insomma, ovunque fossero al riparo dagli sguardi dei bianchi. I loro canti sacri e le loro preghiere parlavano spesso di libertà e di giustizia, di una terra promessa ignara della sferza e della fatica dall’alba al tramonto. Il loro Dio sapeva perdonare, e riempire di bontà il cuore del padrone; o vendicare, e rivolgere quindi la sua ira contro coloro che si ostinavano a trattenere in Egitto il popolo eletto, uccidendone i primogeniti. Thelonious, decenni dopo, avrebbe assorbito la teologia afroamericana nata da questa tradizione.
Nel frattempo, i Monk bianchi, Archibald e John, non vedevano la contr...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Indice
  3. Prefazione
  4. Preludio
  5. 1 / «Mia madre non voleva farmi crescere nella Carolina del Nord» (schiavitù, libertà, nascita, esodo)
  6. 2 / «Cos’è il jazz? È New York!» (1922-1928)
  7. 3 / «Ho sempre voluto suonare il piano» (1928-1934)
  8. 4 / «Noi suonavamo e lei guariva» (1934-1937)
  9. 5 / «Perché non suoni come gli Ink Spots?» (1937-1940)
  10. 6 / «Nessuno dava lezioni» (1941)
  11. 7 / «Mi sei mancata da quando sei andata via» (1941-1943)
  12. 8 / «Cerco di capire se sarà un successo» (1943-1945)
  13. 9 / «musicalmente, Dizzy e Bird non mi hanno insegnato niente» (1945-1947)
  14. 10 / «Il George Washington del bebop» (settembre 1947-agosto 1948)
  15. 11 / «La prigione è una rogna» (agosto 1948-agosto 1951)
  16. 12 / «I non-anni» (agosto 1951-maggio 1954)
  17. 13 / «France Libre!» (giugno 1954)
  18. 14 / «A volte suono cose che nemmeno io ho mai sentito» (luglio 1954-maggio 1955)
  19. 15 / «La Greta Garbo del jazz» (giugno 1955-dicembre 1955)
  20. 16 / «Finché riesco a guadagnarmi da vivere» (dicembre 1955-dicembre 1956)
  21. 17 / «Hanno cercato di farmi passare per matto» (gennaio 1957-aprile 1957)
  22. 18 / «Il mio momento verrà» (maggio 1957-dicembre 1957)
  23. 19 / «La polizia ti dà noia... senza motivo» (1958)
  24. 20 / «Controllo che il tempo sia giusto» (gennaio 1959-ottobre 1959)
  25. 21 / «Diamine, io queste cose le facevo venticinque anni fa» (novembre 1959-febbraio 1961)
  26. 22 / «BebopENS Oversteprast» (febbraio 1961-maggio 1961)
  27. 23 / «Forse ho una notevole influenza» (maggio 1961-ottobre 1962)
  28. 24 / «EveryThing Begins Here and Everything Ends Here» (novembre 1962-settembre 1963)
  29. 25 / «Che strazio, quell’immagine che danno di me» (settembre 1963-agosto 1964)
  30. 26 / «A volte non mi va di parlare» (agosto 1964-gennaio 1967)
  31. 27 / «Che ci pensi qualcun altro, a creare qualcosa di nuovo!» (1967-1969)
  32. 28 / «Che cosa dovrei fare? Suonare finché non muoio?» (1970-1971)
  33. 29 / «Sono seriamente malato» (1972-1982)
  34. Postludio
  35. Ringraziamenti
  36. Appendice A - Una nota tecnica sulla musica di Monk
  37. Appendice B - Dischi e nastri della collezione personale di Thelonious Monk
  38. Note
  39. Composizioni originali di Thelonious Monk
  40. Discografia essenziale di Thelonious Monk
  41. Filmografia essenziale su Thelonious Monk