Saggezza Quando la tradizione filosofica occidentale ha cominciato a svilupparsi, nell’antica Grecia, i filosofi si interessavano delle cose più svariate, tra cui la logica e il mondo materiale che li circondava. La questione di come poter vivere in modo saggio, però, per loro era cruciale.
Dopo secoli di oblio filosofico, nel pensiero anglosassone del Novecento la saggezza è quasi diventata una parolaccia. Ma questa virtù ha reagito. L’interrogativo sulla vita savia è tornato alla ribalta e i libri che trattano dei filosofi che più vi hanno riflettuto, come gli stoici, sono diventati molto popolari.
Aristotele distingueva tra due tipi di saggezza, la sophia e la phronesis. La sophia si riferiva all’applicazione dei principi fondamentali ai meccanismi del mondo naturale, mentre la phronesis era un tipo di sapienza pratica che guidava la condotta umana. È quest’ultima declinazione a essere la più vicina alla nostra attuale idea di saggezza.
La phronesis vuole che si dia sempre ascolto ai consigli della ragione e che si intraprendano azioni appropriate alla vita più prospera che ci è concesso di vivere. Non garantisce che raggiungeremo i nostri scopi, ma molto spesso ci offre più di una possibilità. In ogni caso, vivere di saggezza pratica esaudisce l’obiettivo ultimo di agire in accordo con l’essenza della natura umana ed è quindi di per sé una ricompensa.
La saggezza pratica richiede varie abilità. Una è essere onesti in merito a cosa ha realmente valore (vedi Valori), un’altra è la capacità di tradurre i principi generali nella situazione concreta che ci troviamo ad affrontare, come ammonisce Aristotele. La saggezza non è qualcosa che può essere racchiuso in un aforisma, ovvero applicabile a tutti allo stesso modo. Dobbiamo essere in grado di discernere cosa significhi essere buoni, coraggiosi o accoglienti in ogni singola circostanza. Nella vita di tutti i giorni non è sempre facile, disorientati come siamo da una conoscenza limitata e da valori e priorità in conflitto tra loro. Ma se la saggezza fosse qualcosa di semplice, allora potremmo davvero riassumerla in un tweet.
Vedi anche: Conoscenza, Esitazione, Intuito, Razionalità, Virtù
Letture
Barry Schwartz and Kenneth Sharpe, Practical Wisdom: The Right Way to Do the Right Thing (Riverhead Books, 2010)
Salute e malattia Cartesio ha moltissimi detrattori, ma pochi non condividerebbero l’affermazione secondo cui la salute è «la principale benedizione e l’origine di tutte le altre benedizioni della vita». La salute è una cosa che siamo tutti certi di desiderare, anche se i modi insalubri in cui a volte viviamo sembrano suggerire il contrario. Ma cosa sia la salute non è così ovvio, né cosa sia normale e cosa anormale e in che momento i difetti e i fastidi diventino una malattia.
L’Organizzazione mondiale della sanità definisce la salute come «uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale e non una mera assenza di malattia o infermità». Stando a questa visione, la salute diventa indistinguibile dal più generico benessere. Una definizione così ampia ha uno svantaggio: se questa è la salute, pare che, per la maggior parte di noi, sia fuori portata. E poi, genera l’aspettativa poco utile che una condizione di totale benessere sia la norma che possiamo e dobbiamo raggiungere.
Un’altra questione problematica è fino a che punto siamo responsabili della nostra salute. Certo, è bene che ciascuno di noi si assuma l’onere di fare ciò che può per essere più sano possibile. Ma spesso questo aspetto viene enfatizzato troppo, con il risultato che, se soffriamo di una salute cagionevole, potremmo pensare che in qualche modo ce la siamo andata a cercare.
Susan Sontag sostiene che l’antico concetto di malattia come punizione per i nostri peccati si sia evoluto nell’idea secondo cui le emozioni represse finiscano per esprimersi attraverso malattie come il cancro. Se così fosse, la colpa della nostra cattiva salute ricadrebbe su di noi. Sontag scrive con veemenza contro questa colpevolizzazione dei malati, sottolineando che i sentimenti dolorosi e i traumi del passato affliggono tanto le persone che non hanno il cancro quanto quelle che ce l’hanno.
Potremmo aggiungere che esistono un sacco di persone che mangiano sano, mantengono mente e corpo attivi e pensano positivo ma si ammalano lo stesso di demenza, problemi cardiaci o artrite. Ci prendiamo cura di noi stessi per aumentare le probabilità di vincere alla lotteria della salute, ma non possiamo esser certi di accaparrarci il biglietto buono.
Compiamo l’errore di pensare alla salute come un meccanico pensa a un’automobile, immaginando il corpo come un congegno che funzionerà perfettamente fintanto che lo manterremo in buono stato. Ma se la salute non riguardasse la condizione dei nostri organi, ma piuttosto quel che facciamo? Questo è il nocciolo della prospettiva fenomenologica di Hans-Georg Gadamer. Gadamer sostiene che la salute corrisponde all’«essere coinvolti nel mondo, all’essere al mondo, un tutt’uno con i nostri simili, e a impegnarci in modo attivo e sentirci gratificati dai compiti quotidiani».
Se la salute ha a che fare soprattutto con l’essere immersi nel mondo, allora la presenza di una patologia non è per forza di cose un ostacolo insormontabile per averla. Gran parte delle difficoltà delle persone con disabilità sono il risultato di scelte di progettazione, non della biologia. Quando la società permette alle persone di vivere nonostante le loro disabilità, queste godono di buona salute, nel senso che Gadamer dà a questa parola.
Su una linea simile, Havi Carel scrive che la salute e la malattia non sono due contrari, ma piuttosto «un continuum o un miscuglio». La sua critica della dicotomia salute/malattia rivela che la relazione tra le due condizioni è spesso molto più complessa di quanto ammettiamo. Carel suggerisce che «esattamente come possono verificarsi degli episodi di malattia in condizioni di salute, un’esperienza di salute nella malattia è un fenomeno plausibile, anche se spesso ignorato». Dato che la salute non è qualcosa che si ha o non si ha in modo semplice e netto, è possibile vivere bene anche quando le funzioni fisiche sono compromesse.
Vedi anche: Consenso, Corpo, Dolore, Salute mentale
Letture
Hans-Georg Gadamer, Dove si nasconde la salute (Raffaello Cortina, 1996)
Havi Carel, Malattia. Il grido della carne (Ariele, 2016)
Salute mentale Di recente, la consapevolezza sulla salute mentale è cresciuta molto. Probabilmente avrete sentito dire che, ogni anno, una persona su quattro soffre di un qualche tipo di disturbo psichico. Ma una maggiore consapevolezza non equivale a una comprensione più profonda e ci sono buoni motivi per dubitare che l’idea di salute mentale sia così limpida come sembrano suggerire le affermazioni altisonanti della statistica.
Oggi il senso comune vuole che i disturbi mentali siano reali, oggettivi e categorizzabili tanto quanto quelli fisici. Ma quest’idea è stata criticata. Secondo Thomas Szasz, il concetto di malattia mentale è nettamente diverso da quello di malattia fisica. La malattia fisica implica «una deviazione dalle norme ben definite dell’integrità strutturale e operativa del corpo». Sappiamo cosa significhi per il cuore funzionare in modo adeguato e quindi sappiamo anche che, se non lo fa, qualcosa non va. L’idea della malattia mentale, al contrario, si misura sulla base di standard «etici, legali e sociali» e quindi si fonda inevitabilmente su dei giudizi di valore. Questo ragionamento ha portato Szasz a concludere che la malattia mentale è un mito.
Altri, come lo psichiatra e filosofo Bill Fulford, hanno sostenuto che sia la malattia fisica sia quella mentale sono soggettive. Fulford lo spiega rifacendosi al lavoro di R.M. Hare, secondo il quale le «qualità» hanno una componente descrittiva e una valutativa. Per esempio, una buona fragola (valutazione) è una fragola che soddisfa determinati criteri, come l’essere dolce e priva di vermi (descrizione).
Il punto cruciale è che quando le valutazioni sono ampiamente condivise – come nel caso della fragola – appaiono descrittive. Che vi piacciano le fragole o meno, sembra ovvio come deve essere una fragola perché sia buona. Se c’è molto disaccordo, però, le nostre valutazioni dimostrano in modo più lampante la propria soggettività, come nel caso di un «bel quadro».
Secondo Fulford, lo stesso vale per la salute e la malattia. La ragione per cui la salute fisica sembra relativamente oggettiva e inequivocabile è che sussiste un maggior accordo su quale debba essere un funzionamento adeguato del corpo. Ma ciò maschera il fatto che vengono comunque avanzati dei giudizi di valore. Alcune persone sorde, per esempio, sostengono che la sordità non sia una disabilità ma solo uno dei tanti modi di essere diversamente abili.
Nel caso della salute mentale, sussistono opinioni differenti su quali siano gli standard di normalità e su cosa dovrebbe essere ritenuto problematico, quindi in questo caso la soggettività è più lampante. Ecco perché, dice Fulford, esiste un movimento antipsichiatrico ma non uno contro la cardiologia.
Stando alla prassi corrente, le diagnosi psichiatriche si basano su descrizioni oggettive dei sintomi. Tuttavia, dato che implicano giudizi impliciti riguardo agli standard di normalità, queste diagnosi sono valutative, non meramente descrittive. L’Organizzazione mondiale della sanità, per esempio, afferma che i disturbi mentali sono di solito «caratterizzati da una combinazioni di pensieri, emozioni, comporta...