Storia dell'umanità
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Storia dell'umanità

per gente che va di fretta

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Storia dell'umanità

per gente che va di fretta

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Questa storia inizia da un piccolo reperto, una minuscola falange fossile vecchia 70.000 anni appartenuta a una bambina: ci racconta di una nuova forma umana primitiva che abitava il nostro pianeta insieme ai Neanderthal e a Homo sapiens. Oggi, grazie alle nuove tecnologie di analisi genetica, in pochi grammi di osso è possibile scoprire, con una precisione impensabile fino a pochi anni fa, i segreti della nostra lunga epopea, a partire dal momento in cui i nostri progenitori hanno lasciato la culla dell'Africa per dirigersi verso l'Europa e l'Asia.Johannes Krause e Thomas Trappe hanno ricostruito in queste pagine il grande viaggio dell'umanità attraverso gli spostamenti dei popoli, gli scambi culturali e gli scontri che ne sono scaturiti, la domesticazione delle specie animali e vegetali, le sfide e le opportunità create dai cambiamenti climatici nel corso delle epoche. La nostra è una storia di grandi migrazioni e continui rimescolamenti, che nel corso dei millenni hanno dato forma al mondo che conosciamo anche attraverso mutamenti radicali: come l'arrivo delle popolazioni di agricoltori anatolici in un'Europa abitata da cacciatori-raccoglitori, le successive ondate migratorie dalla steppa asiatica che hanno lasciato tracce genetiche fino alle isole britanniche e la diffusione delle malattie infettive che hanno modellato le nostre vicende, dalla peste al Covid.Storia dell'umanità racconta con incisività e immediatezza il nostro lungo cammino attraverso i millenni dalle origini no a oggi; un racconto che dimostra come non sia possibile isolare geneticamente popoli e tantomeno nazionalità e come il nostro mondo sia nato da un irresistibile e inesauribile desiderio di mescolanza.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865768686
Argomento
Storia

CAPITOLO 1
Con le ossa a pezzi

Un dito scoperto in Siberia ci conduce al nuovo uomo delle origini. Genetisti animati dallo spirito dei cercatori d’oro dispongono di macchine delle meraviglie. Adamo ed Eva vissero separatamente. L’Uomo di Neanderthal era un falso. Jurassic Park ci ha mandato fuori di testa. Ebbene sì, siamo tutti parenti di Carlo Magno.
Un osso sulla scrivania
La falange distale che una mattina d’inverno del 2009 mi ritrovai sulla scrivania era soltanto il resto miserevole di un dito. Mancava l’unghia, e la pelle: la semplice punta di una falange, grande non più del nocciolo di una ciliegia. Apparteneva, come avrei poi scoperto, a una femmina di età compresa tra i cinque e i sette anni. Quel reperto mi era stato spedito da lontano, da Novosibirsk, dentro un plico rinforzato. E chi potrebbe mai gioire trovando sulla scrivania la mattina, ancor prima del primo caffè, parti di corpo mozzate provenienti dalla Russia! Nemmeno io feci salti di gioia.
Quasi 10 anni prima, nell’anno duemila, il presidente americano Bill Clinton aveva tenuto una conferenza stampa alla Casa Bianca. Annunciava che, dopo un lavoro decennale e miliardi di dollari investiti nel «progetto genoma umano», quest’ultimo era stato decifrato. Allora il Dna divenne d’improvviso l’argomento del giorno, la Faz [Frankfurter Allgemeine Zeitung] dedicò la terza pagina a sequenze del genoma umano: una sfilza interminabile di basi A, T, C e G, che compongono il Dna. Così, quell’anno, molti di noi divennero improvvisamente consapevoli del ruolo che la genetica avrebbe svolto in futuro. Del resto, esisteva la prospettiva di leggere il Dna dell’uomo, così come leggiamo il progetto di una costruzione.
Nel 2009 la scienza si era già avvicinata molto all’obiettivo. Godevo di una borsa di studio al Max Planck Institut für evolutionäre Anthropologie di Lipsia, conosciuto anche come Mpi-Eva: nomen omen. Già allora l’Institut era il luogo d’elezione mondiale per le ricercatrici e i ricercatori che intendevano sequenziare il Dna da ossa antiche con una tecnica all’avanguardia. In anni precedenti, la scienza genetica aveva speso grandi energie, le stesse che hanno permesso di ritoccare la storia della genesi umana, grazie alla falange recapitata sulla mia scrivania. Nel caso del ritrovamento siberiano, erano i resti di una bambina, risalenti a 70 000 anni fa, appartenenti a una forma umana primitiva che ancora non conoscevamo. Era quanto rivelavano un paio di milligrammi di polvere d’osso e una macchina sequenziatrice molto sofisticata. Anche solo pochi anni prima sarebbe stato tecnicamente impensabile stabilire da una minuscola falange a chi fosse appartenuta. Ma questo frammento osseo ha rivelato anche altre cose: abbiamo scoperto che cosa legava noi, umani contemporanei, a quella bambina; e che cosa invece ci distingueva da lei.
Un miliardo al giorno
Il Dna, come piano costruttivo della vita, lo conosciamo ormai da più di un secolo. Nel 1953 James Watson e Francis Crick decifrarono, grazie al lavoro preliminare di Rosalind Franklin, la struttura di questa molecola. E in virtù di quella loro scoperta, nove anni dopo avrebbero ricevuto entrambi il premio Nobel per la Medicina (all’epoca Franklin era ormai scomparsa, appena trentasettenne). E la medicina stessa mise in moto la scienza del Dna e annunciò il progetto genoma umano.
Una pietra miliare per determinare il Dna, e quindi per poterlo leggere, è stata lo sviluppo, negli anni ottanta, della reazione a catena della polimerasi, o Pcr.1 Questa metodica è fondamentale nelle attuali macchine per il sequenziamento, vale a dire la lettura della successione di basi in una molecola di Dna. Dall’alba di questo millennio le macchine sono state perfezionate a ritmo galoppante: chi ricorda il vecchio Commodore 64 e ha oggi per le mani uno smartphone può farsi un’idea di quanto sia stato rapido il progresso tecnologico nella genetica.
Alcuni numeri ci aiuteranno a capire i traguardi che stiamo raggiungendo nella decodifica del Dna. Il genoma umano è composto da 3,3 miliardi di basi.2 Nel 2003, l’anno in cui è stato completato il progetto genoma umano, decodificare le informazioni genetiche di un essere umano richiedeva ancora più di dieci anni.3 Ma oggi, nel nostro laboratorio, elaboriamo un miliardo di paia di basi al giorno. Negli ultimi dodici anni la produttività delle macchine è aumentata più di cento milioni di volte, e quindi possiamo decodificare in un solo giorno, e con una singola macchina sequenziatrice, trecento genomi umani: un numero strabiliante. È assai probabile che, da qui a dieci anni, nel mondo sarà decifrato il genoma di milioni di persone, fermo restando che quasi sempre gli sviluppi a venire sono sottostimati. Le sequenze di Dna saranno analizzate con una rapidità crescente e a costi sempre più contenuti; e il discorso varrà per ogni altra soluzione. Oggi, per dire, l’indagine di un genoma costa meno di un emocromo: è facile immaginare che diverrà routine tra i giovani adulti decodificare il genoma dei loro neonati. Il sequenziamento del Dna offre infinite possibilità: la diagnosi precoce della predisposizione genetica a particolari malattie, per esempio; e le potenzialità aumenteranno.4
Johannes Krause preleva una campione di Dna dall’omero di un Neanderthal, che deve il proprio nome alla valle omonima in Germania.
Il pericolo maggiore nell’analisi del Dna è la contaminazione. Per impedire tale inquinamento i campioni d’osso sono prelevati con indumenti di protezione e in stanze isolate a tenuta stagna.
Ma se la medicina genomica decodifica gli esseri umani viventi per meglio comprendere le malattie e per sviluppare, su questa base, nuovi farmaci e terapie, dal canto loro gli archeogenetisti impiegano le tecniche messe a punto dalla genetica umana per analizzare i reperti archeologici – ossa e denti antichi o altri reperti nel terreno – e per trarre conclusioni, dal Dna recuperato al loro interno, sull’origine di persone vissute nella notte dei tempi. Per l’archeologia si aprono così strade nuove. A differenza del passato, questa scienza non dipende più da teorie né da interpretazioni: può dimostrare i movimenti migratori umani con una precisione senza precedenti affidandosi alle analisi genetiche. La decodifica del Dna antico ha per l’archeologia un’importanza comparabile a un’altra rivoluzione tecnologica, avvenuta negli anni cinquanta, quando la datazione dei reperti archeologici fu posta su basi nuove con il metodo del carbonio radioattivo. Così potemmo finalmente datare in modo attendibile i resti umani, se pure non ancora con precisione svizzera.5 L’archeogenetica ci permette persino di leggere frammenti di scheletro e d’individuare al loro interno collegamenti, pur non sapendo a chi erano appartenuti. I resti umani, alcuni giacenti nel terreno da decine di migliaia di anni, diventano così preziosi messaggeri dal passato. Lì troviamo scritte le storie dei nostri antenati che racconteremo nel libro. Alcune delle quali saranno inedite.
Progresso per mutazioni
La giovane scienza dell’archeogenetica può aiutarci a trovare nuove risposte ad alcune delle più antiche e fondamentali domande della storia umana: che cosa ci rende umani? Da dove veniamo? E come siamo diventati ciò che siamo oggi?
Uno dei pionieri più importanti in materia è Svante Pääbo, direttore dal 1999 dell’Mpi-Eva di Lipsia. Nella sua natura di medico, nel 1984 Pääbo estrasse, mentre svolgeva il dottorato all’Università di Uppsala in Svezia – quasi di nascosto di notte in laboratorio – il Dna da una mummia egizia. Fu l’inizio di un’importante carriera. Nel 2003 mi adottò come suo dottorando a Lipsia. Poiché l’obiettivo sarebbe stato trovare un argomento per la mia tesi di due anni più tardi, egli mi propose di decifrare, col suo team, il genoma dei Neanderthal. Una vera follia: al tempo, per l’arretratezza di quella tecnologia, avremmo impiegato decenni per una simile impresa; e avremmo dovuto macinare decine di chilogrammi di preziose ossa neanderthaliane. Ma mi fidai di Pääbo e della sua capacità di valutare realisticamente il progetto. Così intrapresi la missione. La decisione si rivelò giusta. Grazie allo sviluppo delle tecniche di sequenziamento, che procedeva spedito, completammo il lavoro tre anni prima del previsto, e senza romperci le ossa.
Fu in quel periodo che ricevetti il frammento di dito dai monti Altai. Tali ossa sono il supporto dati dell’archeogenetica da cui possiamo trarre molte conclusioni. Quell’essere umano primitivo, il proprietario dell’osso, era forse annoverabile come nostro diretto antenato o invece, a un certo punto, la sua linea si era estinta? E come il suo patrimonio genetico era diverso dal nostro? I genomi degli uomini preistorici diventano il modello sul quale confrontiamo il nostro Dna attuale. Come scienziati, a noi interessano i punti nei quali il modello non corrisponde più. Si tratta delle posizioni in cui il nostro Dna si è modificato, dov’è mutato. Pur avendo questo termine per molti di noi anche una spiacevole sfumatura, è pur vero che le mutazioni sono il motore dell’evoluzione e la ragione per cui, oggi, uomo e scimpanzé si guardano a vicenda con stupore, al di là del recinto di uno zoo. L’archeogenetica considera le mutazioni pietre miliari della storia dell’umanità.
Nel tempo che impiegherete a leggere questo capitolo, il Dna di milioni di vostre cellule si è modificato chimicamente. Infatti esso si rompe in continuazione, e va rinnovato: nella pelle e nelle viscere soprattutto. Quando qualcosa va storto, si parla di mutazioni. Accadono molto spesso, ma non dovremmo per questo stupirci, alla luce dell’intensa frequenza con cui le cellule si rinnovano. Di regola, le mutazioni sono riparate dal corpo, ma non sempre il meccanismo funziona. Se insorgono nelle cellule germinali umane – ossia negli spermatozoi e negli ovociti – le mutazioni possono essere trasmesse come materiale ereditario alla generazione successiva. A riguardo, interviene una funzione di difesa dell’organismo: le cellule germinali con mutazioni che causano gravi malattie muoiono quasi sempre. Ma nel caso di piccole mutazioni ciò, invece, non deve succedere. Allora, in particolari circostanze, viene ereditata una modificazione genetica.6
Le modificazioni genetiche che generano più discendenti si diffondono nella popolazione più rapidamente, poiché sono trasmesse più spesso. Il fatto, per esempio, che l’uomo abbia una peluria assai meno folta di un suo lontano cugino, la scimmia antropomorfa, è la conseguenza di diverse mutazioni: in luogo dei peli si sono sviluppate le ghiandole sudoripare. Con questo nuovo sistema di raffreddamento, l’uomo primitivo dal pelo rado poteva correre più a lungo, cacciare e fuggire meglio, viveva di conseguenza più a lungo e aveva maggiori probabilità di riprodursi. Viceversa, gli uomini primitivi con un patrimonio genetico che procurava una peluria più fitta, ebbero la peggio e si estinsero. Tuttavia molte delle mutazioni non sono mirate e non portano da nessuna parte. Che non abbiano quasi alcun effetto sull’organismo, oppure che lo danneggino e siano selezionate negativamente, significa che saranno eliminate. Invece, le rare eccezioni in cui le modificazioni si rivelano utili per la sopravvivenza e per la riproduzione saranno selezionate positivamente. Tali mutazioni si diffonderanno e promuoveranno lo sviluppo. L’evoluzione è dunque una congiunzione di coincidenze in un esame che non finisce mai.
Buongiorno uomo
Per l’archeogenetista lo sguardo nel materiale genetico di antiche ossa è paragonabile a un viaggio con la macchina del tempo: basandoci sul Dna di nostri antenati, vissuti decine di migliaia di anni fa, possiamo individuare quali mutazioni si sono imposte nell’umanità attuale e quali caratteristiche sono andate perdute. Era in queste conoscenze che noi confidavamo analizzando la falange arrivata dalla Russia.
Anatoli Derevjanko, uno dei più illustri archeologi russi, scoprì l’osso vecchio di 70 000 anni nella grotta di Denisova, in una valle dei monti Altai, a circa 700 metri di altitudine. Il monte si trova a più di 3500 chilometri a est di Mosca, al confine russo con la Cina, il Kazakistan e la Mongolia, quindi nel cuore dell’Asia. La grotta di Denisova non è soltanto una destinazione ormai popolare, ma è da anni anche una miniera per i ricercatori, che qui trovano regolarmente ossa e ogni sorta di oggetto dell’Età della Pietra lavorato da mano umana. A proposito, è un grande vantaggio che il clima negli Altai sia, come immaginabile, così siberiano, poiché il freddo conserva molto bene i reperti. Quando lavoravo ancora per Svante Pääbo, nel 2010 sono giunto con un paio di colleghi nella regione per incontrare Derevjanko, e mi ricordo che a – 42 gradi centigradi vedevamo cristalli di ghiaccio sulla pelle.
La grotta di Denisova sui monti Altai in Siberia, dove è stata scoperta la falange della fanciulla denisoviana. Nella grotta vissero anche i primi umani moderni e i Neanderthal.
Nel laboratorio di Lipsia la falange dei monti Altai è stata sottoposta più e più volte a una procedura complicata. È stato fatto un piccolo foro nell’osso, la cui polvere ha raggiunto un fluido speciale dove la molecola di Dna è stata infine liberata da essa. In questo caso, avevamo a disposizione pochi tentativi. Potevamo, infatti, estrarre soltanto 10 milligrammi di polvere d’osso, non più di una briciola di pane. Partivamo dal presupposto di avere tra le mani un normale osso di uomo moderno, forse anche di un Neanderthal. Ma d’improvviso la macchina sequenziatrice sputò fuori i risultati, che sulle prime non mi furono utili. Il Dna era compatibile sia con un umano moderno sia con un Neanderthal. Chiamai in fretta il nostro team a raccolta per presentare loro i risultati enigmatici. «Quale errore ho commesso?» pensai a quel punto. Insieme controllammo e ricontrollammo i dati. Ma alla fine una cosa risultò chiara: di errori non ne avevo commessi. Quando, più tardi, chiamai il mio capo, gli chiesi di sedersi un momento. «Svante, forse abbiamo scoperto Homo erectus». Homo erectus è il progenitore comune degli umani moderni e dei Neanderthal, d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Prologo
  4. CAPITOLO 1 Con le ossa a pezzi
  5. CAPITOLO 2 L’immigrato tenace
  6. CAPITOLO 3 Gli immigrati sono il futuro
  7. CAPITOLO 4 Società parallele
  8. CAPITOLO 5 Giovani scapoli
  9. CAPITOLO 6 Gli europei scoprono una lingua
  10. CAPITOLO 7 Strutture patriarcali
  11. CAPITOLO 8 Organismi pestiferi
  12. CAPITOLO 9 Nuovo mondo, nuove pestilenze
  13. CONCLUSIONE La fine del nero e bianco
  14. Note
  15. Bibliografia
  16. Ringraziamenti
  17. Fonti delle illustrazioni