Diario sociale. Comunità e comunicazione visiva
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«Le parole che compongono questo volume sono state scritte sentendo forte l'urgenza del presente: scritte sempre per empatia, talvolta per simpatia o antipatia. La passione, in ogni caso, nella vita c'entra sempre e qui, in questo Diario sociale, non la nascondo.(i diari sono una parentesi: una riflessione nell'incalzare delle onde del tempo. Questo Diario sociale è il compagno del mio Diario tipografico, ed è per me difficile disgiungerli)».Dalla vicenda di Adriano Olivetti (cui è dedicato un articolo inedito) al terremoto in Abruzzo del 2009, passando per la comunicazione sulla salute dei cittadini, questa raccolta di articoli, in parte già pubblicati sulla rete, offre occasioni di riflessione sul tema cruciale del rapporto fra comunicazione (visiva e non) e comunità.134.000 caratteri, 80 pagine, 34 illustrazioni.

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Informazioni

Editore
Ikonaliber
Anno
2014
ISBN
9788897778196
Categoria
Sociology
1. Bagattelle per un censimento
SDZ, 26.06.2008
[Quest’intervento del 2008 è una sorta di “epigrafe” che apre il mio Diario sociale. Mi sembra che la citazione di Sciascia riassuma efficacemente alcuni dei “temi di bordone” della “sinfonia italiana”: la memoria storica, il rapporto con l’alterità, la xenofobia (strisciante o palese) e – forse sopra tutto e prima di tutto – i conti mai fatti con il fascismo]
La Repubblica.it: «Il ministro [degli Interni] Maroni (Lega) ipotizza di prendere le impronte anche ai minori rom “come garanzia per la tutela dei loro diritti”.»
«Il fascismo italiano è diventato europeo. Nel 1938, quando fu pubblicato in Italia Bagattelle per un massacro, non c’era fascista in grado o nella disponibilità di farsene una bandiera. Forse non lo lessero nemmeno quelli che cominciavano a discettare sulla razza; forse nemmeno Mussolini. Lo lessero quelli che amavano le cose di Francia (io […] ne ebbi l’impressione di una demenza senile […]. Né sono piú riuscito a leggere un libro di Céline, con tutta la rivalutazione che se ne è fatta in questi anni). Vale a dire che lo lessero quelli che non amavano il fascismo.
Oggi lo leggono invece i fascisti: il che è sintomo che le cose sono mutate, che i fascisti hanno i loro giusti libri, che il fascismo non è piú una cosa fatta in casa con scampoli di malcontento e passamanerie dannunziane. Ed è un fatto da tenere in conto, cui fare attenzione: ché troppo si è creduto il fascismo fosse ormai relegato nel folklore, come certe feste patronali che soltanto sopravvivono per l’attaccamento dei vecchi e le offerte degli emigranti.
Eppure questo fascismo piú definito e consapevole, intrinsecamente migliorato (e cioè peggiore), non mi preoccupa se non nella prospettiva […] di una convergenza parallela con quell’altro indefinito e inconsapevole, indefinitamente e inconsapevolmente disponibile, che si annida e nasconde in luoghi insospettabili, sotto diciture rassicuranti: come su un alberello di farmacia su cui si legge bicarbonato e contiene invece arsenico.
Le radici del fascismo sono tante, si allungano e affondano in tante direzioni, in tanti strati: ma le piú forti e riconoscibili sono indubbiamente quelle che si diramano e si nutrono nell’intolleranza. E di intolleranza in Italia oggi ce n’è tanta, troppa; al di là di quello che è il caso di chiamare limite di tollerabilità nell’organismo sociale: e poco male se, a qualsiasi grado, si manifestasse soltanto tra individui, parti, fazioni ideologicamente lontane e nemiche; ma si manifesta anche, e piú, tra vicini. E ancora c’è da osservare che la destra, nelle sue varietà, ha un’interna tolleranza e solidarietà; mentre la sinistra è, in quella che dovrebbe essere la sua parte piú viva, tutta un accapigliarsi e scavalcarsi. Si dirà: appunto perché è viva. Ma a volte si muore per troppa vitalità.»
Queste righe fanno parte di un diario irregolare scritto da Leonardo Sciascia nell’arco di dieci anni, a partire dal 1969, e pubblicate in Nero su Nero (Einaudi, 1979). Non credo che Sciascia disponesse di doti profetiche. Temo piuttosto che la realtà italiana si basi su alcune note di bordone che si vanno sviluppando come una sinfonia per orchestra, e nulla, o assai poco, lasciamo che la storia ci insegni.
2. Adriano Olivetti, l’utopia positiva
La ristampa anastatica del volume Olivetti 1908-1958
Devo il titolo di questo articolo a Ferruccio Parri, uno dei padri della Repubblica Italiana, che in quei termini rendeva omaggio alla persona e all’opera del cittadino di Ivrea; cittadino e dunque politico, prima di ogni altra cosa, perché Adriano Olivetti è stato ed è uno degli esempi del primato della politica nella vita umana, e ciò vale al di là di ogni considerazione sul suo impegno e del condividere o meno le sue idee. Di certo quelle idee si rifletterono completamente nelle sue azioni: la “positività” che Parri vedeva in quell’utopia era esattamente la capacità di Olivetti di “porre in atto” l’idea di un “buon luogo”, come credo sia opportuno in questo caso tradurre il termine “utopia”.
Olivetti 1908 - 1958
La Libreria Cossavella, grazie alla gentile concessione della famiglia Olivetti, ha realizzato la ristampa anastatica (in tiratura numerata di 999 copie di cui venti non venali) del volume Olivetti 1908-1958 [fig. 01]. Secondo Italo Cossavella «tramandare in modo corretto la memoria storica della nostra terra è il modo migliore, ci pare, per esercitare degnamente il nostro ruolo di librai in Canavese: abbiamo ristampato il libro Olivetti 1908-1958 per ricordare la complessità che sottende al marchio Olivetti senza aggiungere altra pubblicistica a quella che già esiste – spesso di buon livello – e che riguarda ora la fabbrica, ora i servizi sociali, ora le architetture, e cosí via. Abbiamo voluto ricordare come si descriveva la Olivetti quand’era al vertice della sua storia. È stato naturale pensare ad una ristampa anastatica e altrettanto naturale scegliere questo libro, quello che Adriano volle per raccontare i primi 50 anni della Fabbrica». Dopo un’ampia e densa introduzione a firma dello stesso Adriano, seguono i testi di Soavi, Fortini, Musatti e Bigiaretti. A progettare la copertina Adriano volle Giovanni Pintori, per l’impaginazione Max Huber; le foto vennero realizzate da Ballo, Lionni, Mulas, Roiter, Rossi e Zanusso. Un gruppo di lavoro formidabile, insomma, chiamato a realizzare un libro impresso in Svizzera da una delle migliori stamperie del tempo. In otto capitoli si raccontavano i primi cinquant’anni della storia di un’azienda che ha segnato un’epoca e definito uno stile nel design e nella comunicazione visiva [fig. 02]. La ristampa anastatica di questo volume d’importanza capitale è l’occasione per tratteggiare alcuni aspetti dell’avventura di Adriano Olivetti.
Una storia di famiglia
Era figlio dell’ingegner Camillo Olivetti, che aveva fondato l’impresa nel 1908, e di Luisa Revel, figlia del pastore valdese di Ivrea. Adriano, laureato in chimica industriale al Politecnico di Torino, inizia nel 1924 il suo apprendistato nell’azienda familiare come operaio, secondo la volontà paterna; l’anno successivo – insieme al direttore tecnico dell’Olivetti, Domenico Burzio – compie un viaggio negli Stati Uniti che lo porterà a introdurre numerose innovazioni nell’organizzazione aziendale, compresa la costituzione, nel 1931, del Servizio pubblicità che sin dai primi tempi si avvarrà di importanti collaboratori come Zveteremich, Sinisgalli e Pintori [fig. 03]. Nel 1932 porta a compimento il progetto della prima macchina per scrivere portatile, la MP1, divenendo direttore generale dell’Olivetti; ne sarà nominato presidente nel 1938, succedendo al padre. Sotto la sua guida l’impresa aprirà negli anni Cinquanta nuovi stabilimenti in Italia (a Ivrea, Aglié, Torino, Massa e Pozzuoli) e all’estero (Barcellona, Glasgow, San Paolo e Johannesburg), rispondendo cosí al successo ottenuto da modelli come le macchine per scrivere Lexikon 80 (1948) e Lettera 22 (1950) – una portatile, quest’ultima, che rivoluzionò il mondo del giornalismo – e come la calcolatrice Divisumma 24 (1956) [fig. 04]. L’Olivetti riceverà numerosi riconoscimenti per i suoi prodotti e per l’architettura dei suoi edifici, tra cui il Compasso d’oro ottenuto da Marcello Nizzoli nel 1954 per il design della Lettera 22 e quello ottenuto personalmente da Adriano nel 1955 per i suoi meriti industriali. La Olivetti conseguirà la Palma d’oro per la pubblicità nel 1950, anno dell’istituzione del premio; i nomi dei prodotti, cosí come i testi che li reclamizzano, sono “inventati” in quegli anni dal giovane Franco Fortini, che lavora nel Servizio pubblicità di Milano.
Un caso italiano: l’Olivetti e l’elettronica
Adriano Olivetti, insieme ai fratelli Dino e Roberto, intuisce presto l’enorme importanza dell’elettronica nel mondo contemporaneo, aprendo nel 1952 un laboratorio di ricerca negli USA, a New Canaan. Il sogno degli Olivetti è quello di far assumere all’Italia un ruolo di guida agli albori della tecnologia elettronica. Per far questo Adriano sceglie – accogliendo il suggerimento di Guglielmo Negri – una figura di assoluto rilievo: Mario Tchou, un giovane ingegnere elettronico non ancora trentenne, nato a Roma e figlio di un diplomatico cinese. Nel 1955 la Olivetti gli affiderà la direzione del Laboratorio di Ricerche Elettroniche creato dall’azienda a Pisa. Tchou costituirà un efficiente gruppo di giovani talenti, capace di dare un contributo migliorativo alla tradizionale produzione meccanica dell’Olivetti ma soprattutto in grado di giungere nel 1956, dopo un solo anno di lavoro, al primo prototipo di calcolatore elettronico italiano, denominato Elea 9001 (Elea è l’acronimo di Elaboratore Elettronico Aritmetico ma è anche un nome che evoca la città della Magna Grecia ove fiorí una scuola filosofico-matematica). È un prototipo a valvole, cosí come il secondo, Elea 9002, mentre la versione definitiva sarà a transistor. Proprio per sopperire alla carenza in Italia di componenti elettronici allo stato solido, materia prima essenziale per le ricerche in corso e la prevista produzione, nel 1957 la Olivetti crea, insieme a Telettra, la SGS (Società Generale Semiconduttori). Il Laboratorio di Ricerche Elettroniche si trasferisce nei pressi di Milano agli inizi del 1958 e in quello stesso anno viene completata la prima versione del calcolatore elettronico Elea 9003. Verrà presentato al presidente della Repubblica Gronchi nel 1959; al di là delle rituali parole di apprezzamento di quest’ultimo c’è da dire che alle ricerche della Olivetti nell’elettronica mancherà quel sostegno politico e finanziario massiccio da parte dello Stato che gli USA invece stavano fornendo alla IBM, nella cui diretta concorrenza si era posta l’industria di Ivrea; al contrario, l’Olivetti s’impegnerà paradossalmente a donare un Elea al Ministero del Tesoro e a mettere a disposizione delle università il Centro di calcolo elettronico Olivetti di Milano. È doveroso ricordare anche che, impegnandosi nell’elettronica, l’Olivetti aveva cercato inizialmente di creare un “fronte comune europeo” con le altre imprese che, con ogni probabilità, potevano essere interessate a tale strategia di coesione continentale negli anni in cui stava prendendo forma l’idea di un’Europa unita; i colloqui avviati in questo senso dagli Olivetti non ebbero però alcun esito positivo.
Adriano Olivetti intanto ha affidato il design dell’Elea al giovane Ettore Sottsass che otterrà per questo, sempre nel 1959, il Compasso d’oro, mentre il progetto del nuovo centro di produzione di Milano dell’Elea verrà assegnato a Le Corbusier. Ancora nel 1959 la Olivetti acquisisce la concorrente statunitense Underwood, in grave crisi finanziaria, con l’idea di utilizzarne la rete di vendita per i propri prodotti. L’Olivetti è dunque pronta a lanciarsi in grande stile, benché da sola, nell’avventura decisiva dell’elettronica.
L’impegno politico
Al centro dell’azione di Adriano Olivetti è la sua idea di impresa e del suo ruolo determinante nella società. La cultura dell’eccellenza e dell’innovazione, tanto sul piano formale quanto su quello funzionale, lo inducono a circondarsi dei migliori progettisti: per i suoi prodotti e la sua comunicazione, designer come Bayer, Bonfante, Cassandre, Lionni, Nivola, Nizzoli, Pintori, Rand, Reiner, Savignac, Schawinski, Sottsass; per le sedi della sua azienda, cosí come per i quartieri e i servizi sociali dest...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Frontespizio
  4. Sommario
  5. 0. Introduzione
  6. 1. Bagattelle per un censimento
  7. 2. Adriano Olivetti, l’utopia positiva
  8. 3. Presenza, scrittura, decostruzione in Derrida
  9. 4. Al di là delle Alpi. Aiap: il “mestiere di grafico” in Italia
  10. 5. La comunicazione (grafica e non solo) delle istituzioni sulla salute
  11. 6. Memoria e immagini migranti
  12. 7. Memoria e progetto
  13. 8. Lettera per la ricostruzione
  14. 9. I doni del re mago
  15. 10. G-8? Yes, we camp
  16. 11. Il Pescegatto, l’Aquila e la Smemoria
  17. 12. I colori del ridere
  18. 13. Libertà d’espressione e “fabbrica delle notizie”
  19. 14. La legge dei blog
  20. 15. Il vestito nuovo dell’imperatore
  21. 16. La violenza e il vuoto dello schermo. Lo specchio del terrorismo
  22. 17. Lo spettacolo del dolore
  23. 18. Il ventre del potere