Il teatro del mondo
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Due atti unici: Torna fra nove mesi e Il viaggio di Carlotta.

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Due atti unici: Torna fra nove mesi e Il viaggio di Carlotta.

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Due donne (o forse le due anime di una sola donna) di fronte alla tragedia piú atroce: la morte di un figlio. In Torna fra nove mesi l'autrice ripercorre, con accenti di verità e di pathos, di graffiante ironia e di tenera semplicità, di lucidità quasi cinica e di disperata commozione, il vuoto interiore e l'arcana solitudine di chi ha subito la piú terribile delle perdite e si affanna a ricostruirsi un'identità nuova con i brandelli di quella ormai devastata, nel contesto di una società che, a dispetto di ogni migliore intenzione, non può mai veramente con-patire.Ne Il viaggio di Carlotta la prospettiva è quella opposta: la protagonista, giunta al varco dell'eternità, ripercorre le tappe che l'hanno condotta al passo supremo e definitivo, compiuto nel pieno della pulsione vitale.Due testi in cui l'autrice analizza, con gli strumenti della narrazione teatrale, l'istinto di vita e il desiderio di morte, la solitudine di chi se ne va, per sua scelta, e quella del sopravvissuto, lasciato a districarsi con il dolore, i ricordi, la propria identità frantumata e l'inevitabile distanza del mondo circostante.

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Informazioni

Editore
Ikonaliber
Anno
2020
ISBN
9788897778660
Argomento
Literature

Torna fra nove mesi

I Irene
S Simonetta
A Assieme, Irene e Simonetta

S
Cara mamma tanti auguri… un malloppino… un gruzzolino… una manciata… una sbriciolata… diciamo tanti… insomma vedi tu di far di conto…

I
Con gli altri sono gentile. Da sempre sorrido. Da tutta la vita mi sento dire: «Quant’è dolce…». Mezza vita in uno zuccherificio. Che stanchezza quest’immagine di me. Me ne vorrei liberare almeno parzialmente, visto che comunque si tratta della mia seconda pelle.
Gli altri mi guardano. Vedo un minuscolo punto interrogativo disegnato fra le loro sopracciglia. Sostituisce, per un po’, la ruga di espressione. Mi guardano, col mio sguardo di un tempo. «Come si sopravvive a una tale sofferenza?», dice quello sguardo lí.
Gli altri sono intrigati, magari incuriositi. Come se avessero davanti un penoso rompicapo da decifrare. Del resto, quello era anche il mio sguardo, quindi non mi sorprende. Anch’io mi chiedevo: «Come fa quello? Parla… cammina… mangia… a volte sorride. Come può?».
Gli altri sono imbarazzati. Non sanno che dire. Allora non dicono. Fanno i disinvolti. Parlano mondanamente del piú e del meno. Di tanto in tanto cercano di accarezzarmi con lo sguardo. Uno sguardo che tende al vellutato. O sorridono, volendo andare oltre il semplice sorriso, fidandosi che riconoscerò questo oltre. I piú temerari mi abbracciano o mi fanno una carezza. Visto? Non morde. In fondo era una di noi.
Gli altri si impietosiscono. Frenano le domande, addomesticano le risposte. Stanno attenti a quello che dicono o a come lo dicono. Evitano di arrabbiarsi o di spazientirsi. Pensano: «Non posso farle anche questo o quest’altro, poverina…».
S
Poverina…
Mi sta stretta, la morsa di dolore. Non mi piace impietosire e impietosirmi sulla mia sorte. Ho bisogno di una vita nuova per respirare ancora un po’. Un guscio nel quale sistemarmi. Non vedo altra soluzione. No, non riesco a vederla.
Non riesco nemmeno a vedere dove si trova, una nuova conchiglia. Né dove cercarla…

I
Per me, che sono di scarsa levatura spirituale, qualunque rapporto umano deve passare attraverso i sensi. Se non posso toccare ed essere toccata, stringere ed essere stretta, annusare ed essere annusata, guardare ed essere guardata; ma soprattutto se non posso parlare ed essere ascoltata e non posso nemmeno ascoltare e bearmi di una voce, di un sorriso, delle affinità impalpabili che ci rendono compagni della stessa avventura: insomma, se manca la magia allora manca la comunicazione. Che ci faccio del puro spirito?

S
Fuori fa caldo. Ma io non vedo l’ora di ritrovare le coperte, avvolgermi negli strati di lana, stazionare sotto i piumini morbidi. E poi aggiungerò maglie, giacche e tessuti di tutti i colori, soffici e protettivi a formarmi una crosta benevola che mi illuda di difendermi dal mondo.
Ho voglia di infilarmi guanti e cappelli e tante sciarpe per fasciarmi il collo.
Forse dovrei anche provare a stringerle, giusto un po’, per intuire che cosa si prova.
I
La primavera mi faceva venir voglia di scopare, ora di morire.
Mi sforzo di suggerire alla vita una seconda possibilità, ma non le stendo nemmeno la mano per farmi afferrare il mignolo rimasto di vedetta. Però eccomi ad abbellire la facciata. Inutile, futile, effimero, fugace, transitorio e patetico espediente che si scioglierà alla prima pioggia e alle solite lacrime. Vita bastarda fatta di giorni disposti in fila indiana, spietati e ottusi nella loro compostezza.

S
Lacrime di coccodrillo… ma chi l’ha mai visto piangere, un coccodrillo. Dice che quel tipo di rettile piange dopo, quando è tutto finito, quando non si può fare piú niente. Piangi sul latte versato… io non ho mai visto nessuno piangere sul latte versato. Ho visto gente incazzata, che si dimentica il latte sul fuoco e deve raschiare il pentolino carbonizzato e pulire i fornelli appiccicosi. Ma piangere proprio no.
Speriamo che non facciano a gara per aiutarmi. Mi sentirei incastrata nella gratitudine e proprio non ne ho la forza.
Non mi pare che ci sia tutta questa folla che preme…

I
No! E io mangio… Colmo tutti i miei buchi neri con cibo consolatorio che non consola. Semplicemente occupa spazi vuoti, svuotati di senso. La mattina scopro candidamente le mie incursioni notturne nel frigo attraverso briciole rivelatrici sparse sul tavolo. Oh, sono stata io… sono forse sonnambula?
S
Diventerai una sterile signora di mezza età con la pancia gonfia e il culo piatto.
I
Sono già una signora di mezza età sterile. Tutte le vecchie hanno la pancia e anche il culo piatto. La fase successiva è l’apparizione della badante munita di pannolone. Poco prima le mani cominciano a macchiarsi e la pelle diventa sottile e trasparente. E orribilmente sgualcita. Diventa carta velina increspata, quella non la distendi piú. Finita, buona per il macero.
Mangiare è davvero un’attività che mi riesce al primo colpo.
S
Vi è mai capitato?
I
Che cosa?
S
A me è successo… Di entrare in un bar… Buongiorno, vorrei un tramezzino tonno e uovo, ce l’ha?
I
No.
S
Ma se vuole abbiamo tonno e pomodoro, tonno e carciofini.
I
No, grazie.
S
Altrimenti con l’uovo c’è il salame, il pomodoro…
I
No, grazie.
S
Oppure abbiamo rughetta e gamberetti, maionese con bottarga, panna cotta con salmone…
I
No!
S
Grazie! Volevo il tonno e l’uovo insieme.
Nessuno ti ascolta, mai.
Oppure capita che in un negozio di scarpe chiedi alla commessa: «Di questo modello ce l’ha il 35?».
I
No.
S
No, ti risponde quella, vuole provare il 36?
E perché dovrei provare il 36? Il mio piede ci sguazza nel 36. Se mi serviva il 36, te l’avrei chiesto, no?…
Non mi interessano gli umani.

I
Non sei piú una ragazza, mettitelo in testa.
Quando ti alzi dalla poltrona ci metti una vita a distendere muscoli, ossa, insomma tutta quella roba che c’hai dentro e che è sempre meno flessibile. Cigoli, persino! Se poi ti accucci non ne parliamo, ore per ritrovare un assetto umano!
E per leggere hai bisogno degli occhiali…
Dormi meno e sei sempre stanca. Cerchi di stare al passo, non capisci perché non ce la fai, vedi gli altri che ce la fanno, ormai sembra che il tempo non debba passare per nessuno. Invece passa, e se non stai al passo ti senti ridicola.
Non è perché un paio di volte ti sei fatta il botulino che il tempo non è passato. E nemmeno perché ogni tanto, pur sentendoti goffa e un po’ fuori posto, ti ostini a metterti i vestiti corti, che puoi ingannare il tempo.
Ti addormenti davanti alla tv, come tua nonna. Almeno non hai la pretesa di fare commenti su quello che non hai visto. Del resto sei sola, a chi potresti mai raccontarlo?
Anche quando ti metti l’ombretto sulle palpebre raggrinzite sembri tua nonna. Lei passava la matita nera e poi si stropicciava gli occhi: «Ecco, sono truccata!».
Confondi i volti, dimentichi i nomi.
S
Sarà questo il segno lampante?
I
Un travaglio del corpo e dell’anima!

S
Umani e affini ridono, piangono, vivono. Io non piango, perché io non ci sono. Prima piangevo… Quando c’ero.
Ora vi guardo. Mi vedi?
Io ti infastidisco! Se ti racconto vedi come ti infastidisco. Se mi metto a raccontarti farai finta di niente. E parlerai anche tu del piú e del meno, come fanno tutti, imbarazzati dal dolore.
Siete tutti imbarazzati. Ci si sente in colpa di non soffrire.
Vogliono vedermi rivivere. Ma che gliene frega? Non lo voglio il mondo e il mondo non mi vuole. Fa finta il mondo, gli tocca curarmi, se no si chiama omissione di soccorso. Per questo sono stata portata qui, per il mio bene. Però sono stati gentili. E io mi sono lasciata fare. Tanto che importa… L’ho fatto anche per loro, perché si sentano a posto con la coscienza e gratificati. Perché se perdi il senso, che campi a fare?

I
Il senso delle parole lo trovi sul dizionario. Per esempio, sul dizionario la parola ‘travaglio’ intesa come momento espulsivo del feto è collocata per ultima e fra parentesi. L’inizio di tutto, il momento apparentemente piú doloroso, è relegato alla fine, dopo sofferenza interiore, angoscia e travaglio di stomaco. Ma senza nascita non ci sarebbe nemmeno il resto, senza nascita niente tormenti e nemmeno dolori di stomaco! A scrivere l’articolo dev’essere stato un uomo.
Quando si dà la vita si soggiace al travaglio che dura un certo numero di ore, nella migliore delle ipotesi. Solitamente è doloroso e nella peg...

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