L'inganno dell'Io
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L'inganno dell'Io

Come siamo tutti collegati e perché è importante

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L'inganno dell'Io

Come siamo tutti collegati e perché è importante

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Alla domanda «Chi sei?» probabilmente risponderete con «Io sono…». Fermatevi. La questione è tutta lì, in quel breve pronome e in ciò che si porta dietro: la certezza della vostra identità individuale, unica e distinta dal mondo che vi circonda. Ma è una certezza fondata?Tom Oliver, destreggiandosi con sicurezza e ironia tra biochimica, neuroscienze e storia culturale, smantella pezzo per pezzo la monumentale illusione dell'Io, dimostrandoci che è una costruzione artificiale e ingannevole, in cui siamo imprigionati fin dalla nascita e che non ha alcun riscontro nella realtà. Per esempio, i miliardi di cellule del nostro corpo muoiono e si rigenerano di continuo, cosicché ogni settimana siamo letteralmente una persona nuova; la nostra esistenza dipende dalla simbiosi con gli innumerevoli batteri e microrganismi che fanno parte di noi; geneticamente siamo quasi uguali a qualsiasi altro essere umano; la nostra personalità e il nostro carattere si sono sviluppati osservando, imitando ed entrando in relazione con altre persone; la nostra cultura è scambio e rielaborazione di informazioni tra i singoli individui e tra questi e il mondo.L'inganno dell'Io non è una decostruzione spietata della nostra esistenza; al contrario, è un invito a cambiare radicalmente la nostra prospettiva sulla vita, a ricostruire la società come una comunità di esseri umani interconnessi tra loro, a diventare un elemento integrato e non distruttivo del pianeta Terra e dei suoi ecosistemi. Ad abbandonare l'illusione che ci tiene prigionieri per diventare parte di qualcosa di più grande di noi.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788865768662
parte quarta
La nostra identità di rete


Se per un momento superassimo il nostro Io meschino, smettendo di augurare il male a tutti, senza provare alcun risentimento, cessando di essere soltanto un cristallo che riflette un raggio: che cosa non riusciremmo a riflettere! Che universo potrebbe apparire cristallizzato e irradiante tutt’intorno a noi.
Henry David Thoreau, Walden
Condivido il mio corpo con moltissimi altri,
il mio dna è parte della rete della vita,
il mio cervello è un prodotto della mia cultura,
il mio cuore è un prodotto dell’umanità,
la mia vacuità è universale.1




1 Ho scritto queste parole come strumento per meditare. Nel complesso esse colgono l’essenza di questo libro. Le riporto qui nella speranza che altri possano trovarle utili.
15. Tre dimensioni di interconnessione
Poiché la separazione tra sé e mondo naturale è arbitraria, possiamo limitarla al livello della pelle o spostarla fuori di noi quanto vogliamo, fino alla profondità degli oceani e alle stelle lontane […] Se la psicologia studia il soggetto ma i limiti di questo soggetto non si possono stabilire, allora la psicologia finisce per fondersi, volente o nolente, con l’ecologia.
James Hillman1
Verso gli ultimi anni del Duemila Amy Proal, una studentessa statunitense di Medicina, ha compiuto notevoli progressi nella comprensione di una misteriosa malattia chiamata sindrome da stanchezza cronica. Tutto è iniziato quando è andata a letto… rimanendovi per circa due anni. Solitamente molto attiva e motivata, Amy stava studiando con profitto all’università quando ha incominciato a sentirsi poco bene e insolitamente stanca. I suoi sintomi, che comprendevano forti mal di testa, uno stato simile a quello febbrile e dolore muscolare, si sono aggravati finché la giovane praticamente è stata costretta a rimanere a letto. Così le è stata diagnosticata un’encefalomielite mialgica, comunemente nota come sindrome da stanchezza cronica, un disturbo le cui cause erano poco conosciute.
Non essendo abituata ad accettare le cose senza reagire, Amy ha deciso con determinazione di individuare le cause scientifiche responsabili del suo problema, nella speranza di trovare una cura. Per farlo si è messa in contatto con altre persone che soffrivano dello stesso disturbo e con alcuni scienziati che se ne stavano occupando. Così facendo ha incontrato il professor Trevor Marshall che era impegnato a sviluppare una nuova cura rivoluzionaria collegata al sistema immunitario umano. Secondo Marshall il fattore responsabile della sindrome da stanchezza cronica era un’infiammazione incontrollata del corpo da mettere in relazione con l’alterazione del microbioma.
Il professor Marshall è il classico erudito eclettico: in precedenza si era occupato della progettazione di sintetizzatori elettronici, aveva costruito gli amplificatori pa usati dalla band degli ac/dc e sviluppato un proprio sistema di amplificatori Hi-Fi surround in miniatura. Quando non è impegnato con circuiti stampati e componenti elettronici, svolge il compito di direttore della Autoimmunity Research Foundation oltre a essere un esperto a livello mondiale del rapporto tra l’alterazione del microbioma e alcune malattie. Tradizionalmente le malattie infiammatorie croniche vengono curate usando medicinali che sopprimono la risposta immunitaria. Questi farmaci migliorano alcuni sintomi ma non curano la malattia e, dopo un certo tempo, possono anzi favorire le ricadute. In contrasto con il dogma prevalente, la cura del professor Marshall è stata elaborata per incrementare la risposta immunitaria del corpo spingendolo effettivamente ad agire. Un approccio simile può inizialmente determinare un peggioramento dei sintomi, mentre i patogeni muoiono e il flusso sanguigno viene ripulito dalle loro tossine. Ecco perché Marshall aveva bisogno di volontari coraggiosi per testare il nuovo trattamento.
Avendo compreso il ragionamento logico e scientifico che stava alla base della cura suggerita, Amy si è offerta volontaria per testarla. Insieme a diversi altri partecipanti ha incominciato ad assumere un farmaco, l’olmesartan medoxomil, di norma utilizzato per abbassare la pressione sanguigna; le dosi previste erano in questo caso più elevate e anche la frequenza di utilizzo era maggiore di quella solitamente prescritta. Il farmaco interagisce nelle cellule del corpo con il recettore della vitamina D, il quale in condizioni normali svolge un ruolo molto importante per la funzione immunitaria in quanto regola oltre un migliaio di altri geni, tra cui quelli che codificano la sintesi di sostanze antimicrobiche. Le risposte immunitarie ostacolano notevolmente i batteri patogeni che vogliono colonizzare il nostro corpo ed è per questo che alcuni batteri nel corso della loro evoluzione hanno sviluppato la capacità di interferire nel funzionamento del recettore per la vitamina D. Per farlo i batteri producono sostanze chimiche simili a quelle umane che agiscono sul recettore riducendone l’attività. Grazie a questa alterazione nascosta del nostro sistema di difesa i batteri patogeni persistono e prosperano, causando con il tempo uno squilibrio cronico dei microrganismi nel corpo. Il professor Marshall ha intuito così la necessità di incentivare l’azione del recettore della vitamina D in modo da superare l’effetto limitante indotto dai batteri. E l’olmesartan sembra proprio agire in tal senso.
Per riequilibrare il microbioma occorre tempo, perché bisogna ripristinare le complesse interazioni tra le comunità di batteri e gli altri microrganismi benigni per la salute; dopo vari mesi di trattamento sperimentale però molti sintomi di Amy hanno incominciato a migliorare. Questa esperienza ha indotto la giovane a dare una svolta alla propria carriera scegliendo di studiare meglio il microbioma umano in modo da poter sfruttare le nuove scoperte scientifiche e aiutare gli altri. Lavorando a stretto contatto con il professor Marshall e numerosi altri scienziati, Amy ha così approfondito la ricerca dei meccanismi di funzionamento di malattie come la sindrome da stanchezza cronica. Questa volta però Amy aveva cambiato ruolo, non era più la paziente ma una scienziata impegnata a progettare esperimenti per dimostrare che la stimolazione della risposta immunitaria è fondamentale nella cura di molti disturbi autoimmuni.2
Comprendere le interazioni che ci legano ai partner non umani del nostro microbioma, vale a dire l’interconnessione con il nostro ecosistema interiore, è essenziale per la nostra salute. Se non ce ne prendiamo cura, il nostro microbioma può essere interessato da un disequilibrio (disbiosi) nel quale il rapporto tra batteri e altri microrganismi ospitati nel corpo umano cambia in modo semipermanente, spesso con conseguenze assai dannose. Ormai sappiamo che i cambiamenti del microbioma sono responsabili di problemi come la sindrome dell’intestino irritabile e contribuiscono all’aumento dell’obesità nel mondo moderno. In anni recenti si è avuto un eccezionale aumento degli studi scientifici che collegano il microbioma a varie patologie, tra cui disturbi gastrici, diabete, malattie autoimmuni, asma e condizioni neurologiche come il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla.3 In alcuni casi peraltro la direzione del nesso causale rimane comunque un mistero: un microbioma alterato del canale digerente infatti potrebbe essere responsabile di queste condizioni ma anche esserne un sintomo conseguente.
Comprendere queste connessioni è davvero importante per la nostra salute e felicità ed è per questo che Amy Proal, avendolo sperimentato di persona, ha lavorato incessantemente per scoprire le basi scientifiche dell’influenza che i microrganismi esercitano quasi su ogni aspetto del nostro metabolismo. La maggioranza delle scuole di pensiero in campo medico però continua a trattare il corpo al di là del canale digerente come se fosse sterile, senza considerare la gran mole di prove che dimostra come il microbioma permei la maggior parte dei nostri tessuti. Oltre a questo noi ospitiamo un «viroma», un insieme di circa 30 miliardi di particelle virali che si spostano dentro il corpo umano. Questo ecosistema interno interferisce con gli effetti dei farmaci che assumiamo, perciò è essenziale che i medici e le compagnie farmaceutiche comprendano meglio le interazioni in atto così da rendere i medicinali più efficaci.
È dunque necessario riflettere su come sostanze chimiche e tecnologie innovative potrebbero agire sul microbioma. Ogni giorno vengono registrate migliaia di nuove molecole e ciò impedisce alle autorità competenti di avere il tempo sufficiente per valutarne formalmente i rischi per la salute.4 Queste sostanze diventano quindi parte di prodotti diversi, dagli alimenti alle pitture fino agli shampoo, in una sorta di roulette russa che dipende dal loro possibile impatto dannoso sul microbioma. Anche le nuove tecnologie, per esempio le nanotecnologie, possono a loro volta rappresentare una minaccia. Per evitare di far da cavie esponendoci ai rischi potenziali legati all’impiego delle nuove tecnologie dovremmo promuovere una maggiore collaborazione tra scienziati, politici, aziende alimentari e tecnologiche. Soltanto così potremo assicurarci che i nuovi prodotti non danneggino le cellule umane e neppure i partner non umani ma benefici che ospitiamo nel nostro corpo.
Grazie al lavoro di ricercatori come Amy Proal stiamo scoprendo nuovi approcci per gestire meglio i nostri microbiomi, in modo da avere un corpo e una mente più sani. Neurobiologi, microbiologi, immunologi e medici sono tutti in possesso di una parte della soluzione di questo grande enigma. Non corriamo il rischio di esagerare affermando che l’acquisizione di questa conoscenza potrebbe allungare di molto l’aspettativa umana di una vita sana in un prossimo futuro. Sono numerosi i vantaggi che possiamo trarre dalla conoscenza della profonda connessione che ci unisce ai molti compagni in viaggio su questo vascello comune chiamato corpo umano.
Allarghiamo ora per un attimo l’immagine passando dal nostro ecosistema interno a quello esterno che abbiamo intorno. Se conoscere il microbioma ha chiari vantaggi per la salute, quali conseguenze potrebbe avere comprendere le nostre connessioni con il mondo naturale fuori dal corpo umano? Per saperne di più dobbiamo avventurarci nella campagna del Derbyshire in Inghilterra, dove avremo modo di incontrare un pioniere insolito di questo campo di studi, un uomo che di mestiere progettava kit di mobili da montare come quelli dell’ikea.
Miles Richardson, professore di Human Factors and Nature Connectedness alla Università di Derby, è un ricercatore che lavora incessantemente per riunire le conoscenze scientifiche riguardanti le nostre interconnessioni con il mondo naturale.5 Richardson mette insieme gli studi che indagano come la nostra relazione con la natura influenzi ogni cosa, dall’umore al comportamento fino alla salute fisica e mentale. Negli ultimi anni questo tipo di ricerca psicologica sulla connessione umana con la natura è letteralmente esplosa.
Miles non si è sempre occupato di questo tema, ma ha incominciato la propria carriera universitaria professionale nel campo dell’ergonomia, studiando il modo in cui le persone si relazionano con compiti come assemblare le parti di un mobile contenute in un kit di montaggio. Per contrastare uno stile di vita accademico sedentario, Miles ha incominciato ad andare regolarmente a camminare, prendendo nota di ciò che vedeva in natura. Dopo quasi un anno, aveva raccolto abbastanza materiale per poter documentare quanto l’approccio contemplativo avesse cambiato la sua percezione del mondo naturale e del suo posto in esso. Così ha iniziato a considerare come la sua esperienza nel campo dell’ergonomia potesse essere estesa al modo in cui le persone si relazionano con il mondo naturale e, non molto tempo dopo, ha quindi dato una svolta alla sua carriera lavorativa decidendo di dedicarsi alla psicologia ambientale (o ecopsicologia). Anche se numerose figure storiche e contemporanee hanno scritto a proposito di questo tema (pensiamo a Henry David Thoreau, Aldo Leopold e Rachel Carson, per citare qualche nome), soltanto negli ultimi tempi si è cominciato a adottare un approccio rigoroso basato su prove. Il nuovo approccio scientifico mette insieme dati tratti da questionari, sistemi informativi geografici, misurazioni biofisiche (come il cortisolo presente nella saliva, un marcatore dello stress) fino alle tecniche di scansione cerebrale, per aiutarci a comprendere come mai avere rapporti con il mondo naturale sia così importante.
Grazie a questa ricerca oggi sappiamo che vivere a stretto contatto con la natura o trascorrervi un certo tempo offre un’ampia gamma di vantaggi. Una maggiore connessione psicologica con la natura ci aiuta a mantenere un equilibro mentale e questo, a sua volta, ci invoglia a proteggere l’ambiente naturale da cui traiamo sostegno. Di fronte all’aumento fino a livelli critici dei problemi di salute mentale in m...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Introduzione
  4. Parte prima – I nostri corpi interconnessi
  5. Parte seconda – Le nostre menti interconnesse
  6. Parte terza – La nostra illusione dell'individualità
  7. Parte quarta – La nostra identità di rete
  8. Ringraziamenti
  9. Letture