Menotti Giancarlo
(Cadegliano, 7.VII.1911 – Monaco, 1.II.2007)
Formatosi prima al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano e poi al Philadelphia’s Curtis Institute of Music negli Stati Uniti sotto la guida di Rosario Scalero, Menotti, pur vantando un’ampia produzione in tutti i campi, si è imposto sin da giovanissimo come uno dei più prolifici e originali autori di teatro. Compositore, librettista e regista, con esperienze anche attoriali, soprattutto fra la fine degli anni Trenta e gli anni Cinquanta ha dato un impulso fondamentale al teatro musicale statunitense concependo spettacoli drammaturgicamente coinvolgenti. Distante dall’avanguardia con la quale spesso si trovò in polemica, Menotti si dichiarava orgogliosamente un compositore conservatore.
Il suo linguaggio musicale guardava alla grande tradizione italiana (da Verdi a Puccini), ma mostrava attenzione anche per Musorgskij, Debussy e Stravinskij: lo stile, eclettico, abbraccia esperienze diversificate puntando su un discorso essenzialmente tonale, chiaro, ritmicamente vivace, sostenuto da un’orchestra agile e solitamente di organico contenuto.
Fra le sue opere, oltre a quelle analizzate qui di seguito, si segnalano Amahl and the Night Visitors (1951), espressamente scritta per la televisione americana e The Saint of Bleecker Street, Premio Pulitzer nel 1955. Nel 1958 ha dato vita al “Festival dei Due Mondi” di Spoleto, di cui è stato fin dall’inizio la guida indiscussa. Convinto sostenitore della collaborazione culturale tra Europa e America, Menotti ha cercato attraverso il Festival di Spoleto un autentico incontro fra le arti e fra le diverse culture. Nel 1977 ha anche portato la manifestazione negli Stati Uniti. Nel 1984 Menotti ha ricevuto il premio Kennedy Center Honor, riconoscimento per la sua vita spesa a favore delle arti. Dal 1992 al 1994 è stato direttore artistico dell’Opera di Roma.
Amelia al ballo (Amelia goes to the ball)
Opera buffa in un atto
Libretto: Giancarlo Menotti (traduz. inglese, George Mead).
Prima rappresentazione: in inglese, 1° aprile 1937, Filadelfia, Academy of Music; in italiano, 4 aprile 1938, Sanremo, Teatro del Casinò.
Siamo in una città dell’Europa dei primi del Novecento. Amelia (S), piena d’emozione, si sta preparando per andare al primo ballo della stagione, quando suo marito (Bar) scova una lettera d’amore anonima indirizzata a lei. L’uomo, tradito, intende conoscere il nome dello sconosciuto che insidia la consorte. La donna si dice pronta a rivelarne il nome solo se poi lui la condurrà al ballo. L’amante in questione è il loro vicino di casa. Questa confessione fa andare su tutte le furie il marito che prende una pistola ed esce di casa per farsi giustizia. L’amante entra nel loro appartamento passando da una finestra sul retro e Amelia ne approfitta per avvertirlo dell’accaduto e delle intenzioni vendicative del marito. L’uomo torna a casa e scopre l’amante: la pistola si inceppa e tra i due uomini inizia una furiosa discussione. La donna, intanto, freme per essere accompagnata al ballo e per pacificare la lite colpisce in testa con un vaso l’amante. All’arrivo della polizia, Amelia addossa la colpa dell’accaduto al povero marito e, alla fine si fa accompagnare al ballo addirittura dal commissario (B).
«Scalero aveva il genio della didattica. Però quante fughe, mottetti, polifonia e che minuzia nelle correzioni. Il suo modello era la musica tedesca, Brahms il suo nume […] degli italiani parlava soltanto di Monteverdi; l’opera non lo interessava niente; tuttavia con tutto il suo rigore lasciava che poi l’allievo scegliesse la sua strada; come avrei fatto altrimenti a venir fuori con Amelia al ballo a ventisette anni?»47. Giancarlo Menotti ricordava così il suo maestro Rosario Scalero e il suo debutto come operista. Amelia al ballo segnò la sua prima affermazione importante in campo teatrale e probabilmente nelle previsioni del giovane compositore avrebbe dovuto rappresentare un unicum, una esperienza fine a se stessa in un momento in cui molti musicisti snobbavano l’opera (soprattutto comica) intesa in senso tradizionale e cercavano forme alternative di spettacolo. In realtà il successo di Amelia fu tale da convincere Menotti a proseguire nella sua idea di teatro. Amelia mostra infatti i tratti caratteristici dello stile dell’artista italo-americano: la teatralità, innanzitutto, la capacità di individuare con acutezza caratteri e situazioni, inserendoli in un contesto drammaturgico funzionale. Sul piano musicale, Menotti, come già anticipato, si lega alla tradizione: musica tonale, ricorso a forme chiuse, un’organizzazione strutturale ampiamente collaudata.
La Medium
Tragedia in due atti
Libretto: Giancarlo Menotti.
Prima rappresentazione: 8 maggio 1946, New York, Brander Matthews Theater; prima esecuzione italiana: 9 novembre 1950, Genova, Teatro Carlo Felice.
Atto I - Monica (S) e Toby (m) stanno giocando in salotto quando giunge Baba (A), madre di Monica, ubriaca; la donna, rimprovera i due ragazzi di non aver predisposto la stanza per la finta seduta spiritica della notte e poi li avvisa che i clienti stanno per arrivare. La ragazza dovrà impersonare lo spirito di Doodly, figlia di Mrs. Nolan (Ms), e di Mickey, figlioletto dei coniugi Gobineau (Bar, S). All’improvviso Baba, però, mentre finge di essere in trance, sente una mano che la sfiora e ne rimane turbata. La finta medium mette fine bruscamente alla seduta e scarica la sua ira su Toby, credendolo l’artefice dello scherzo. Monica tenta di calmarla cantando una ninna nanna.
Atto II – Qualche giorno dopo, Baba, nuovamente ubriaca, cerca di scoprire se è stato il ragazzo che quella notte l’ha sfiorata; i due discutono e la donna finisce per minacciare Toby. Intanto tornano i clienti per la nuova seduta: Baba, ancora sconvolta per aver avvertito quella strana presenza, ammette che le sue rievocazioni degli spiriti sono un inganno ma i clienti si rifiutano di crederle e lei li caccia di casa. Nella notte Toby cerca di entrare nella stanza di Monica e, trovandola chiusa, si sposta in salotto. Baba, sentendo dei rumori, si sveglia e, in preda alla follia, afferra una pistola. Toby tenta di sfuggirle cercando riparo dietro una tenda. Baba intercetta il suo movimento e spara. Toby si accascia a terra in un lago di sangue, mentre Monica cerca di soccorrerlo.
Durante un soggiorno viennese, Menotti frequentò una coppia di nobili che lo accoglievano spesso nella loro villa. I due avevano perso anni prima una figlia quattordicenne e la madre aveva conosciuto una Medium che l’aveva iniziata allo spiritismo. Tutte le sere, la baronessa teneva una seduta spiritica per parlare con la figlia. Ad una delle sedute, partecipò anche Menotti che rimase profondamente toccato dall’esperienza. Il fatto che la mamma parlasse con la figlia e la vedesse mentre lui pur presente non sentiva e vedeva nulla, lo portò a interrogarsi sul tema della fede e dello scetticismo. Da quell’episodio autobiografico nacque la Medium, con la quale Menotti segnò un’altra tappa fondamentale nella sua carriera, in questo caso mettendo da parte la comicità per un racconto dalle tinte fosche e misteriose. L’opera è strutturata in una successione di efficaci recitativi per rendere l’incalzare degli eventi, ma non priva di ampi squarci lirici con echi talvolta popolari. «Come integrazione fra musica e azione la riuscita totale è […] il primo atto – ha notato Giorgio Pestelli48 – il richiamo del finto fantasma “Mamma, mamma dove sei?” un freddino nella schiena lo lascia sempre; mentre i segnali ultraterreni di poche note e soprattutto la ballata di Monica che fonde Puccini con il melos russo, precorrono di una decina d’anni il clima del Giro di vite di Britten».
Nel 1950 La Medium ebbe una trasposizione cinematografica a Roma.
Il telefono
Opera buffa in un atto
Libretto: Giancarlo Menotti
Prima rappresentazione: 18 febbraio 1947, New York, Heckscher Theater
L’azione ha inizio con l’arrivo di Ben (Bar) a casa di Lucy (S). Il ragazzo deve partire a breve; porta quindi un regalo alla sua fidanzata dicendole che ha qualcosa di importante da dirle. Il suo discorso, però, viene interrotto più volte dagli squilli del telefono: ogni volta Lucy parla con una persona diversa, fino a che Ben, preso dalla disperazione per non essere riuscito a parlarle, se ne va. Lucy è rimasta sola nel silenzio della casa. Fuori si intravede Ben, in una cabina telefonica, che compone il numero di Lucy: solo in questo modo riuscirà a chiederle di sposarlo.
Nel 1947 Menotti si accordò con la Ballet Society che realizzava le proprie stagioni allo Herkscher Theater di New York per mettere in scena La Medium. Gli fu però chiesto di scrivere un’operina che completasse lo spettacolo. E in pochi mesi il musicista realizzò Il telefono il cui sottotilo, L’amore a tre, chiarisce il triangolo in gioco: lui, lei e, appunto, il telefono, simbolo della società moderna. Se La Medium si configura come un’opera di forte tensione emotiva, Il telefono è un’operina senza pretese, a metà strada fra l’opera buffa e il musical. Parrebbe addirittura un richiamo all’Intermezzo settecentesco tipo la Serva padrona pergolesiana per la presenza di due soli personaggi, anche se qui, in realtà, sono tre dal momento che anche il telefono ha la sua “voce” musicale. Chiari i rimandi al Settecento italiano rivisitato attraverso il preziosismo neoclassico alla Pulcinella di Stravinskij. Garbata e divertente la figura di Lucy la ragazza schiava del pettegolezzo telefonico costruita con simpatica ironia.
Il Console
Dramma musicale in tre atti
Libretto: Giancarlo Menotti.
Prima rappresentazione: 1° marzo 1950, Filadelfia, Schubert Theatre .
L’azione si svolge in casa di John Sorel (Bar). E’ mattina presto, la casa è immersa nel silenzio, quando ad un tratto, arriva John, ferito in seguito ad uno scontro con la polizia segreta. L’uomo, aderente ad una rete clandestina di combattenti, viene nascosto dalla madre (A) e dalla moglie Magda (S), ai poliziotti che fanno irruzione per perquisire l’appartamento. Usciti i poliziotti, l’uomo decide di partire verso un paese sicuro: Magda e il bambino potranno raggiungerlo appena sarà passato il pericolo. Magda si reca allora al consolato per ottenere i permessi ma si scontra con la lentezza burocratica: molta gente aspetta, come lei e tra i tanti c’è anche l’illusionista Nika Magadoff (T).
Trascorre un mese senza che Magda sia riuscita a ottenere il visto e intanto il bambino si è ammalato. Dopo un’ennesima visita del capo della polizia segreta (B) che, invano, tenta di conoscere i nomi dei compagni di Sorel, giunge un amico di John, Assan (Bar), ad informare Magda che il marito non ha ancora attraversato il confine perché vuole essere sicuro che i suoi cari possano raggiungerlo.
La situazione precipita, il bambino muore e la madre di John si ammala gravemente. Magda continua a battersi con la segretaria del console per ottenere udienza. Il tempo passa, anche la madre di John, muore. Nella sala d’aspetto l’attesa continua. Assan mette al corrente Magda che il marito vuole ritornare. Ella prega il ragazzo di convincere il marito a desistere. Ma John, già tornato, è stato arrestato. Nella notte, nella sua casa, Magda si suicida.
Il successo cinematografico della Medium spinse la Metro Goldwin Mayer a scritturare Menotti come autore di soggetti cinematografici. Il musicista si trasferì a Hollywood dove conobbe divi come Elisabeth Taylor, Marlene Dietrich, Charlie Chaplin. Frank Sinatra. Proprio durante il suo lavoro a Hollywood, Menotti trovò ispirazione per la sua nuova opera Il console. Sul New York Time del 12 febbraio 1947 lesse infatti la seguente notizia: «Il Servizio Immigrazione e Naturalizzazione ha annunciato ieri che la signora Sofia Feldy, 38 anni, immigrante polacca, si è suicidata impiccandosi nella stanza di custodia di Ellis Island. Il 6 febbraio una commissione speciale d’inchiesta a Ellis Island le aveva rifiutato l’ingresso negli Stati Uniti dopo che il marito, Antony Feldy di Chicago, aveva testimoniato di aver divorziato da lei nel novembre 1940 per abbandono del tetto coniugale. La signora Feldy, arrivata qui con la figlia il 19 gennaio, dichiarò di non aver ricevuto la notizia di divorzio che il marito asseriva di averle mandato in Polonia, Il Feldy accettò di accogliere la figlia che per questo motivo è stata ammessa; la sua ex moglie invece fu esclusa da un voto della commissione». Sofia Feldy fu trasformata in Magda Sorel e divenne la protagonista della nuova opera che Menotti impiegò tre anni a scrivere. Nel Console non c’è solo Sofia Feldy. Menotti riunì come sempre esperienze personali: la sorte tragica toccata ad esempio ad amici ebrei durante la guerra, oppure personaggi incontrati in Italia o in America che avevano colpito la sua fantasia.
L’opera si apre con una canzone popolare cantata in francese che non viene mai intonata per intero. Menotti l’ha lasciata volutamente interrotta e non l’ha mai voluta completare al di fuori dell’opera nonostante diverse cantanti glielo avessero chiesto per poterle inserire nel loro repertorio.
Nel primo atto Menotti mescola intelligentemente l’incalzare degli eventi e del racconto (all’arrivo di John ferito) con indugi lirici e p...