Italiani. Stereotipi di casa nostra
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Italiani. Stereotipi di casa nostra

  1. 125 pagine
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Italiani. Stereotipi di casa nostra

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È proprio vero che gli italiani si distinguono per un eccessivo attaccamento alla famiglia? Ed è proprio il "familismo" italico che impedisce il formarsi di solidarietà più ampie e lo sviluppo di un adeguato senso civico? Queste immagini negative sono talmente diffuse da costituire veri e propri stereotipi, con l'aspetto paradossale che siamo proprio noi a proiettarli su noi stessi.Non si può non chiedersi perché gli italiani, intellettuali compresi, si detestino tanto, perché, contro ogni evidenza, tendano a valutare bene gli altri e a disprezzare se stessi.In questa ristampa dell'originale del 1997, che contiene una premessa aggiornata, Loredana Sciolla continua a mettere alla prova tali diffuse credenze, giungendo a risultati spesso sorprendenti che restano validi anche dopo più di vent'anni dalla prima edizione.

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Informazioni

Editore
Ledizioni
Anno
2020
ISBN
9788855263474
Circoli virtuosi del familismo
Lealtà particolari nelle società moderne
Pensare per dicotomie e antitesi è caratteristica dell’inclinazione teorica delle scienze sociali. Nella tradi­zione sociologica è successo, a volte, che alcune dicoto­mie concettuali da strumenti euristici, utilizzati per co­gliere i tratti salienti di fenomeni e processi sociali con­creti, siano state innalzate a forme a priori dell’espe­rienza sociale, con un uso non più solo descrittivo, ma valutativo. Essere classificato nell’uno o nell’altro polo dell’alternativa implica, in altri termini, anche un giudi­zio di valore, positivo o negativo. Rientrano tra queste dicotomie quelle classiche di comunità/società e di par­ticolarismo/universalismo.
Se mi soffermo su queste assai note e influenti dico­tomie è perché entrambe, tra loro strettamente collega­te, fanno da sfondo al modello interpretativo dell’arre­tratezza della società italiana fin qui considerato, nel senso che ne costituiscono gli assunti impliciti, dati per scontati. Nella formulazione classica, dovuta al sociolo­go tedesco Ferdinand Tönnies29, mentre la comunità (Gemeinschaft) è intesa come «vita reale e organica», la società (Gesellschaft) è intesa come «formazione ideale e meccanica»; nella prima gli individui, che sono legati dalla comune appartenenza, sentono di fare parte di un tutto che li trascende, nella seconda essi si uniscono non in base a legami affettivi, ma al fine di perseguire un interesse comune.
Vengono così individuate due diverse forme di men­talità e di relazione sociale, che sono considerate tipi­che rispettivamente del gruppo naturale, in cui rientra­no la «comunità di sangue» (la famiglia e la parentela), la «comunità di luogo» (il vicinato) e la «comunità di spirito» (l’amicizia), e dell’associazione convenzionale (le associazioni volontarie e tutto ciò che ha una base contrattuale).
Si può dire che i due termini particolarismo e uni­versalismo indichino, nel linguaggio delle scienze socia­li, i due criteri di azione che contraddistinguono l’uno le relazioni comunitarie, l’altro quelle societarie. Si adotta secondo Parsons un orientamento particolaristico quando si agisce «in termini di obbligazioni verso un parente, un vicino, un membro di un qualsiasi gruppo solidale, in forza di questa appartenenza in quanto tale»30. Si agisce, invece, universalisticamente quando il crite­rio dell’azione è derivato dalla generalità di una regola normativa e di standard sganciati da contesti specifici, ad esempio l’obbligazione di adempiere agli accordi contrattuali. L’affinità tra le due dicotomie spiega per­ché spesso si usi indifferentemente l’una o l’altra, anche se la prima è un po’ passata di moda. Il pensiero socio­logico sembra però dividersi su quale valore attribuire alla comunità e alla società, mostrando in alcuni casi una forte inclinazione a vedere in positivo la comunità in quanto stile di vita coeso e integrato contro quello individualista e atomizzato della società.
Le due antitesi non sono solo state usate per rap­presentare analiticamente diverse forme della vita so­ciale, ma anche per indicare fasi successive del processo storico. Il passaggio dalla società tradizionale alla socie­tà moderna è stato inteso come transizione dalla comu­nità alla società, dal particolarismo all’universalismo.Secondo la teoria sociologica classica, in ciò affiancata dalla teoria liberale e dal marxismo, l’affermarsi della società industriale avrebbe comportato un processo di generale sradicamento. Le antiche differenze culturali e lealtà comunitarie sarebbero state progressivamente, ma irreversibilmente erose, soppiantate da relazioni sociali funzionalmente differenziate, orientate razionalmente e universalisticamente.
Le due antitesi vengono così ricomprese in una ter­za antitesi, quella che oppone la tradizione alla moder­nità, e il processo di modernizzazione finisce per asso­migliare sempre più a un processo a somma zero in cui la presenza di alcune caratteristiche, che il termine modernità sintetizza, esclude tutte quelle riconducibili alla tradizione. Gli aspetti centrali del paradigma fami­listico/particolaristico possono essere visti come conse­guenze logiche di questi assunti. Sinteticamente esse dicono: 1) legami e lealtà particolari sono residui del passato; la loro permanenza in alcune società moderne è indice inequivocabile di arretratezza e di modernizza­zione incompiuta; 2) essi rappresentano in quanto tali il principale impedimento allo sviluppo di forme politi­che e sociali basate su criteri universalistici, solidarietà ampie, relazioni aperte.
Il problema è che, nonostante una certa eleganza e consequenzialità logica, l’intero ragionamento non ri­flette o riflette solo parzialmente la realtà sociale e po­litica del XIX e del XX secolo. Innanzitutto paesi di nuova industrializzazione in particolare dell’Asia e dell’America latina, tra cui il Giappone è il più noto hanno mostrato che altissimi livelli di modernizzazione economica non solo sono compatibili con il manteni­mento di rapporti e valori tradizionali, nel caso del Giappone anche di vaste ed efficienti reti clientelari, ma ne ricevono addirittura un sostegno. I rapporti par­ticolari stessi, in questo caso, è bene sottolinearlo, non hanno escluso, ma hanno integrato criteri più oggettivi legati alla competenza tecnica31. Anche nel cuore del vecchio mondo industrializzato si sono verificati feno­meni che per natura ed estensione non erano previsti dalla teoria prima descritta, mostrando che la sua principale inadeguatezza sta proprio nella sua forma rigidamente dicotomica, nella sua dimenticanza sistematica della forza e della capacità di adattamento e trasforma­zione dei legami fondati sull’appartenenza all’interno di società altamente sviluppate.
Quasi tutti i maggiori conflitti politici, ma anche alcuni tentativi di integrazione sociale, di questo secolo sono stati innescati da problemi legati, in vario modo, a solidarietà particolaristiche, basate sull’etnicità, la reli­gione, il localismo. Basti pensare all’esplosione dei movimenti «afro-americani» alla fine degli anni Sessan­ta, alle resistenze all’assimilazione di diverse etnie negli Stati Uniti, all’attrazione esercitata dal richiamo ai con­fini etnici anche in situazioni caratterizzate da un alto grado di erosione culturale come in molte situazioni africane, alle rivendicazioni autonomistiche e ai conflit­ti endemici di comunità contraddistinte da specifiche caratteristiche linguistiche e religiose (Paesi Baschi, Galles, Quebec, Irlanda del Nord), ai movimenti indi­pendentisti in antiche nazioni come la Scozia e la Cata­logna fino all’attuale esplosione dei conflitti etnici e nazionalistici nei Balcani e nei domini dell’ex Unione Sovietica, alla rivitalizzazione di movimenti religiosi fondamentalisti (negli Stati Unit...

Indice dei contenuti

  1. Italiani. Stereotipi di casa nostra
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Premessa
  5. Un paradigma nazionale
  6. I circoli virtuosi del familismo
  7. Cosmopoliti e localisti: aspetti della cultura in Italia