Louise Glück e "The wild iris": il fallimento dialogico nel giardino dell'etica
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Estratto dal volume "Un tacito conversare. Natura, etica e poesia in Mary Oliver, Denise Levertov e Louise Glück"La complessità delle connessioni fra umano e non-umano ha trovato nella tradizione poetica statunitense sviluppi estetici originali per ampiezza e profondità. Al contempo, volendo articolare nel testo letterario il silenzio della natura e le sue conseguenze, l'indagine estetica si è sempre più caricata di valenze assiologiche ed epistemologiche, in un crescente intrecciarsi di estetica ed etica. In queste pagine, tre delle maggiori poetesse del Novecento americano aiutano ad illuminare proprio questo spazio di riflessione, ancora ampiamente inesplorato dalla critica. La lettura di Denise Levertov, Mary Oliver e Louise Glück rivela una tensione relazionale il cui fulcro immaginativo ed etico è qui rintracciato nel dialogo muto ma costitutivo fra io lirico e natura. Poesia dopo poesia fiorisce l'impegno poetico a tradurre per il lettore quel tacito conversare che intesse il rapporto fra soggetto umano e mondo naturale e che contiene e mantiene le polarità costitutive di un'interazione in apparenza impossibile, silenziosa eppure sensibile, differita eppure presente, ineffabile eppure reale. Questa lirica esalta e potenzia il carattere relazionale e perfino dialogico dell'esperienza. L'espressione poetica si configura, allora, come un tentativo di con-versare, di costruire insieme all'altro, natura e lettore, la poesia.

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Informazioni

Editore
Ledizioni
Anno
2020
ISBN
9788855263467
4.
Louise Glück e The Wild Iris:
il fallimento dialogico nel giardino dell’etica
In questo percorso, Louise Glück assume una collocazione tanto insolita quanto essenziale. Innanzitutto, si tratta di una poetessa per la quale il mondo naturale non assume un ruolo particolare o privilegiato, come era invece per Oliver e Levertov. Eppure, nella sua sesta raccolta, The Wild Iris (1992), Glück trasla la riflessione sulla soggettività – fin dagli inizi punto focale della sua poetica – proprio all’interno di un giardino. Tra l’altro, il giardino non è solo scenario pastorale di un monologo lirico ma ne diventa attivo e decisivo interlocutore. In una raccolta dalla vocazione polifonica, si intrecciano voci umane e naturali, rendendo possibile, almeno poeticamente e almeno in apparenza, quel tacito conversare che finora abbiamo incontrato solo come tensione. Ancora, è proprio il discorso dei fiori ad offrire un’alternativa etica alle posizioni umane, incapaci di superare autonomamente i propri limiti epistemologici. Attraverso The Wild Iris, quindi, possiamo osservare la relazione lirica con la natura da un’angolazione nuova, avendo oltrepassato quell’ostacolo semiotico che la distingue, ma forse solo per scoprire tensioni e predisposizioni più profonde e strutturali.
Nell’opera il persistente interesse autoriale verso il formarsi del soggetto si esprime attraverso l’indagine del confine che lo divide dall’altro e seguendone due dimensioni essenziali, quella relazionale e quella linguistica. Al contrario delle poetiche precedenti, che indagano l’evento dell’incontro come avvenimento di una conversazione silenziosa, per Glück le relazioni in qualche modo precedono l’enunciazione lirica e l’evento raccontato è piuttosto quello dello scambio, che si fa biunivoco, attraverso la voce e le parole delle piante. Eppure, nonostante alla natura sia conferito il dono della parola, il giardino rimane caratterizzato dalla distanza e dall’assenza, portando ad un fallimento etico e relazionale in cui l’incontro ha segno negativo. Mentre nei capitoli precedenti la partecipazione al mondo naturale permetteva la riscoperta di sé e di effettive possibilità di relazione, il giardino dell’iris si delinea come luogo di scontro, scenario di una continua contrattazione fra autonomia di sé – e della propria storia – e assimilazione all’altro, come sgretolamento dei confini dell’identità. Glück si allontana dalla poesia «scenica» che trovava nella epifania il momento generativo e nella figuratività il modo discorsivo (Altieri 1980 e 1984:15). Qualsiasi impeto figurativo o fenomenologico è ricondotto all’interno della natura linguistica e artificiale della voce lirica. Quanto là avveniva attraverso la rappresentazione dell’incontro percettivo fra io e alterità, qui avviene attraverso l’atto di parola, che rompe i confini della soggettività concepita come chiusa e compiuta.
Le prime raccolte di Glück sono segnate da una vena confessionale che la accomuna inizialmente a Sylvia Plath, ma che viene presto sublimata in una messa in scena più finzionale e indiretta delle problematiche identitarie. Nel corso della sua carriera poetica, Glück ha operato quella che Rosanna Warren definisce una progressiva disciplina del distacco: dalla narrazione personale e autobiografica – come il peso dell’aborto e dei legami familiari in Firstborn (1968) – verso una lirica costruita per sottrazione e omissione di dettagli e contesti. La Bibbia e il mito le hanno offerto la matrice strutturale su cui costruire in modo più indiretto il teatro dei conflitti personali. L’uso di dramatis personae nelle diverse raccolte nasconde tanto quanto mostra la personalità dietro le voci liriche, pur mantenendo l’impressione di sincerità e intimità che sempre segna la sua poesia. In The Wild Iris Glück abbandona definitivamente l’ethos confessionale di una voce individuale, univoca e trasparente in favore di una frammentazione che coinvolge tanto le voci liriche quanto le loro enunciazioni. La coralità della raccolta, in cui si avvicendano voci umane, divine e floreali, traduce nella propria struttura compositiva l’incertezza costitutiva e comunicativa dell’io lirico. I componimenti esplorano e saggiano le possibilità di identificazione soggettiva di fronte all’assenza fisica e all’incertezza comunicativa che dominano la realtà del giardino dell’iris, in cui l’intera conversazione ha luogo. Le voci si collocano sempre sul limitare della relazione, divise fra bisogno dell’alterità e sua infondatezza e fra tensione dialogica e incomunicabilità. L’opera appare così segnata da una circolarità pervasiva – strutturale, tematica, semiotica – a cui tenta di opporsi il discorso dei fiori del giardino, nella cui etica enunciativa convergono modi d’esistenza e linguaggio.
Dalle questioni tematiche delle prime raccolte, la ricerca quindi si allarga al tessuto stesso della lirica e al suo costituirsi come espressione di una soggettività. Dall’interno dei limiti del genere la poetessa saggia l’apparente consistenza della soggettività poetica, mentre ne svela l’essenza linguistica e inter-rompe la finzione di una voce autonoma. Al solipsismo della tradizionale concezione lirica si sostituisce la dimensione processuale dell’atto linguistico, concepito – questo sì – come inevitabilmente relazionale. L’aspetto illocutorio dell’enunciazione orienta verso l’interazione interna ed esterna al circuito testuale, alla riproduzione più che alla rappresentazione narrativa. L’incontro con il lettore avviene su una base fortemente performativa. A questa dinamica costituente e costitutiva del linguaggio poetico corrisponde stilisticamente l’adozione del plain style e la ricerca di un dettato improntato alla misura e alla colloquialità. Anche in questo senso Glück si distingue da Mary Oliver e Denise Levertov: non cerca l’immagine né la musicalità ma l’intonazione discorsiva e ordinaria. La sua poesia non è canto ma parlata, discorso e risiede sulla pagina più che nella voce (Warren 2008:106; DeSales 2005:179).
4.1 voce e soggetto, parola e dialogo
The Wild Iris è composta in dieci settimane nell’estate del 1991 e viene pubblicata nel 1992, vincendo il Premio Pulitzer di quell’anno. Al suo interno raccoglie 54 liriche, alcune delle quali uscite prima in rivista, accomunate dall’ambientazione in un giardino. La sostanziale unità di tempo e spazio lega i componimenti a creare un insieme coeso, al punto che Rosanna Warren ne parla come di un unico poema in cui la voce lirica si frattura e moltiplica (Warren 2008:107). La raccolta è emblematica del percorso poetico e sperimentale di Glück, poiché declina la questione identitaria della voce lirica all’interno della struttura stessa dell’opera e delle relazioni fra testi. Vi sono, infatti, molteplici voci che cercano di sostanziarsi come soggetti, ma nell’incapacità – o impossibilità – comunicativa riescono a definirsi solo in senso linguistico ed enunciativo. In tutta la raccolta si possono identificare tre categorie di speakers: la voce umana della donna – giardiniere e poetessa; diverse piante che abitano il giardino e vari fenomeni naturali che danno voce ad una divinità creatrice. Quest’ultima è una figura vaga e sincretica, in cui si mescolano istanze dell’ebraismo originario dell’autrice, ma anche di una tradizione cristiana – assimilata per via letteraria – e di uno gnosticismo postmoderno (Zazula 2012; Morris 2006:195). La forma liturgica dei mattutini e dei vespri scandisce la conversazione celeste che le varie voci ricercano nel tentativo di garantirsi permanenza e stabilità. I componimenti si susseguono come tentativi fallimentari di connessione interpersonale e il giardino dell’iris si trasforma in un teatro polifonico dove va in scena per il lettore una lotta spirituale fra identità intrecciate ma separate (Bidart 2005:24). Tuttavia, per comprendere le diverse possibilità relazionali ed etiche affermate nella raccolta è opportuno prima fare chiarezza sugli aspetti contraddittori della sua forma dialogica.
Mentre costruisce un’opera corale per struttura e temi, Glück insinua il dubbio sia sull’effettiva autonomia delle voci liriche sia sulla loro possibilità di comunicazione. In questa prospettiva è importante notare che secondo diversi critici le voci non sarebbero altro che declinazioni di un ventriloquismo autoriale. Data la sostanziale consistenza tonale e sintattica dei testi, sarebbe un’unica soggettività, maschera dell’autrice, a dare voce all’umano e al non-umano, in moti di rabbia e frustrazione, portando agli estremi la dimensione solipsistica dell’opera (Cook 2010:142-43). Nell’opera, però, il tono ha valore innanzitutto di indicatore attitudinale e umorale, e, in questo senso, proprio la ripetitività della gamma umorale crea un effetto di realtà e autonomia delle singole voci, mentre le avvicina sul piano etico-pragmatico – persone diverse, comportamenti simili. Allo stesso tempo, lo statuto degli speakers rimane effettivamente incerto: esistono solamente nello spazio della loro enunciazione e nel presente della lettura, appaiono voci disincarnate, incerte e tremule (Longenbach 1999:187; Upton 1998:140). Non solo ogni lirica è incarnata nel punto di vista unico e limitato di chi la pronuncia, ma non vi è validazione in una realtà contestuale più ampia, fatta eccezione dei fiori. In questa direzione va sicuramente la vaghezza della dimensione pronominale (estesa e prolifica) che è privata di un sistema di riferimento esterno all’io e mette in discussione l’intero contesto enunciativo e quindi relazionale. L’indagine del costituirsi dell’identità porta Louise Glück a mettere alla prova il nesso causale fra voce e soggettività. In The Wild Iris l’enunciazione lirica non si profila come prodotto di un io precostituito, ma il fattore primario del suo costituirsi. Gli speakers sono perché parlano, ma cosa e chi siano è lo scopo stesso del loro parlare, non un contenuto antecedente. La voce si costruisce verso dopo verso, non è antecedente alla poesia, che assume così un aspetto fortemente processuale che lega esistenza della voce e atto di parola (e lettura). In questo modo Glück rimane all’interno della visione tradizionale e conservativa della lirica come espressione di un io, di cui però rivela il carattere artificioso e non-li...

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  1. Louise Glück e "The wild iris"
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