Ritiro spirituale
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Il silenzio. Ascolto & dialogo con Gesù

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Il silenzio. Ascolto & dialogo con Gesù

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La tradizione del ritiro spirituale è evangelica. Gesù si appartò per quaranta giorni nel deserto prima di iniziare la sua missione pubblica, e così pure san Paolo, dopo la conversione. Ma già Cesare, Cicerone e Plinio parlavano del recessus, l'azione di andare, ritirarsi, in un luogo solitario. Ci­cerone, nel De officis, utilizza l'espressione – del resto comune – numquam minus solus quam cum solus sum, non sono mai meno solo di quando sono solo. E sant'Ambrogio la riprese dandole un senso radicalmente cristiano, perché il cristiano in grazia di Dio non è mai solo, Cristo vive in lui. Quando si fanno tacere le voci del mondo per raccogliersi in sé stessi, allora, in quella solitudine, si sente e si gode la vicinanza del Signore.Queste meditazioni per un ritiro spirituale sono anch'esse frutto di esperienza non breve. Seguono un temario classico e mirano ad aiutare l'anima a mettersi davanti a Gesù, ascoltarlo e rivedere insieme a lui la propria vita. Si servono pertanto del Vangelo e degli altri libri della Sacra Scrittura. E raccolgono le raccomandazioni di santi di ogni tempo. Tra questi uno spazio particolare è dato agli insegnamenti di san Josemaría Escrivá, che sono il perno della formazione dell'autore e che oggi sono nutrimento di milioni di persone in tutto il mondo.

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2020
ISBN
9788881559053

Michele Dolz

Ritiro spirituale


Il silenzio. Ascolto & dialogo con Gesù


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Introduzione

Ritiro

Il testo di Wikipedia è perfetto.
«I ritiri spirituali sono mezzi di formazione ascetica intesi a favorire la crescita nell’intimità con Dio durante intere giornate e a volte anche per più giorni.
«Obbligatori per sacerdoti, religiosi e membri di istituzioni per la cui appartenenza è necessaria una vocazione divina, sono comunque consigliati a tutti i fedeli laici almeno qualche volta nel corso della vita, al punto che è prevista una speciale indulgenza per i fedeli che partecipano a ritiri spirituali mensili.
«Durante i ritiri spirituali, favoriti dalle meditazioni, dalla lettura e dalla sosta prolungata dinanzi al Santissimo Sacramento, secondo la spiritualità cristiana è più facile esprimere propositi di conversione, di rinnovamento e miglioramento della vita interiore, di apostolato e finanche scoprire la propria vocazione ecclesiale».
La tradizione del ritiro spirituale è evangelica. Gesù si ritirò per quaranta giorni nel deserto prima di iniziare la sua missione pubblica. Anche san Paolo, dopo la conversione: «Quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco. In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa»1.
Ritiro deriva da recessus, che già Cesare, Cicerone e Plinio usano come sostantivo per indicare l’azione di andare, ritirarsi, in un luogo solitario. Era in qualche modo un ideale raffinato nel mondo antico. Cicerone utilizza l’espressione – del resto comune – numquam minus solus quam cum solus sum, non sono mai meno solo che quando sono solo. E sant’Ambrogio la prese dal De officis (3, 1) di Cicerone e la riportò nel suo De officis (3, 1,2), dandole un senso radicalmente cristiano. Perché il cristiano in grazia di Dio non è mai solo, Cristo vive in lui. E quando si fanno tacere le voci del mondo per raccogliersi in sé stessi, allora, in quella solitudine, si sente e si gode la vicinanza del Signore.
Per questo nel cristianesimo primitivo, già nel III secolo c’erano gli eremiti. La tradizione vuole che il primo sia stato Paolo di Tebe in Egitto, anche chiamato san Paolo primo eremita. Il suo discepolo sant’Antonio è il più famoso di tutti gli eremiti del periodo grazie alla biografia di Atanasio di Alessandria. Egli si circondò di numerosi discepoli nel deserto dell’Alto Egitto. Da lì, l’eremitismo si diffuse in tutto l’oriente. Sant’Agostino, pur conducendo tutt’altra vita, ne era affascinato. Il suo racconto è così bello che merita di essere riportato.
«Un giorno – Nebridio non c’era, non ricordo perché – viene a trovarci, Alipio e me, un certo Ponticiano, nostro concittadino, un africano, che aveva una posizione molto importante a palazzo. Ci mettemmo a sedere per fare un po’ di conversazione. E per caso sopra un tavolo da gioco che avevamo davanti notò un codice: lo prese, lo aprì e trovò l’apostolo Paolo. Con sua grande sorpresa, perché pensava fosse uno dei testi che mi consumavo a spiegare nelle mie lezioni. Allora sorrise e mi guardò negli occhi e si congratulò con me: pieno di meraviglia per essersi improvvisamente reso conto che avevo sempre sott’occhio quello scritto, e solo quello. Era cristiano e battezzato, e spesso si prosternava in chiesa davanti a te, Dio nostro, con fitte e prolungate preghiere. Allora gli dissi che dedicavo a quei testi i miei studi più attenti, e fu così che iniziò la conversazione. Lui si mise a raccontare di Antonio, il monaco egiziano, il cui nome godeva di altissima fama presso i tuoi servi, ma che a noi era fino a quel momento ancora ignoto. Quando se ne rese conto, indugiò su quell’argomento, per istruirci un po’ su quel grand’uomo, stupito della nostra stessa ignoranza. E anche noi eravamo stupefatti nell’apprendere le tue meraviglie nella vera fede e nella chiesa cattolica, tanto bene attestate da una tradizione così recente, quasi a noi contemporanea. Tutti eravamo meravigliati: noi, perché erano così grandi, lui, perché ci erano ignote.
«Allora si mise a parlare delle schiere di monaci dalla vita che distilla il tuo profumo e dei loro fecondi deserti di eremiti, di cui non sapevamo nulla. Perfino a Milano, fuori le mura, c’era un monastero pieno di buoni fratelli, mantenuto da Ambrogio, e non lo sapevamo. Continuava a parlare, sempre più infervorato, e noi muti, ad ascoltarlo»2.
Per tutto il Medioevo si sono moltiplicati i cenobi come ritiri permanenti ed era anche normale che i monasteri avessero delle camere disponibili a chi volesse ritirarsi per qualche tempo. Persone sante come Guglielmo di Saint-Thierry, san Bernardo o santa Gertrude proponevano degli spiritualia exercitia da praticare in quelle circostanze. ­Sant’Ignazio di Loyola, con i suoi Esercizi spirituali, diede una sistematicità alla pratica che dura fino ai giorni nostri.
Pio XII tenne a chiarire che la formula ignaziana, la cui bontà era collaudata da secoli di esperienza, non poteva comunque essere ritenuta unica. «Quanto poi ai vari modi con i quali si sogliono praticare questi esercizi, sia ben noto e chiaro a tutti che nella Chiesa terrena, come in quella celeste, vi sono “molte dimore”; e che l’ascetica non può essere monopolio di alcuno. Uno è lo Spirito che, però, “spira dove vuole”; e con diversi doni e per diverse vie dirige le anime da lui illuminate al conseguimento della santità. La loro libertà e l’azione soprannaturale dello Spirito Santo in esse sia cosa sacrosanta, che a nessuno è lecito, a nessun titolo, turbare e conculcare»3.
Queste che seguono sono meditazioni per un ritiro spirituale, anch’esse frutto di esperienza non breve. Seguono un temario classico e mirano ad aiutare l’anima a mettersi davanti a Gesù, ascoltarlo e rivedere insieme a lui la propria vita. Si servono pertanto principalmente del Vangelo e degli altri libri della Sacra Scrittura. E raccolgono le raccomandazioni di santi di ogni tempo. Si troveranno a volte brani degli scritti dei santi un po’ lunghi, ma è intenzionale, perché quali guide migliori potremmo trovare? Tra questi, uno spazio particolare è stato dato agli insegnamenti di san Josemaría Escrivá, che sono il perno della formazione dell’autore e che oggi sono nutrimento di milioni di persone in tutto il mondo.
Il ritiro spirituale può avere varia durata. Qui è stata scelta la formula più lunga con venti meditazioni. E queste si rivolgono principalmente a chi è già in diverso grado versato sulla vita interiore e cerca già di praticare quanto qui viene consigliato. Ma la speranza è che possano servire a tutti come spunti di riflessione in quella che san Josemaría chiamava la «solitudine piena di compagnia del tuo cuore»4.
Qui si affronteranno diversi temi tradizionali della spiritualità e dell’ascetica cristiana, ma facciamo attenzione a non considerarli compartimenti stagni, bensì angolature di un’unica vita cristiana, la nuova vita in Cristo. Il nerbo che tutto vivifica è la carità. Bastino qui le note parole di san Paolo, che da sole possono distogliere dalla ricerca di una perfezione in fondo egocentrica.
«Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe»5.
____________
1 Gal 1, 15-18.
2 Sant’Agostino, Confessioni, 8, 14-15.
3 Pio XII, Mediator Dei, 214.
4 San Josemaría Escrivá, Amici di Dio, 180.
5 1 Cor 13, 1-3.

Capitolo I

Amore di Dio

«La stessa natura, che ci circonda, insegna a ciascun fedele a onorare Dio. Infatti, il cielo e la terra, il mare e quanto si trova in essi proclamano la bontà e l’onnipotenza del loro Creatore. E la meravigliosa bellezza degli elementi, messi a nostro servizio, non esige forse da noi, creature intelligenti, un doveroso ringraziamento?»1.
Sì, il primo passo da compiere nel cammino verso Dio è riconoscere che siamo creature come tutti gli altri esseri, ma creature poste dal Creatore in mezzo al giardino del Creato. Gesù stesso, nella sua umanità, spalanca gli occhi dinanzi a tanta profusione di bene: «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro»2.
Il Creato è opera di Dio, lasciamo stare ora tutte le teorie scientifiche sul suo inizio e sviluppo. Dio l’ha fatto dal nulla. «In principio Dio creò il cielo e la terra»3. E da sempre l’uomo ha visto nel creato l’impronta del Creatore e ne ha ammirato – e a volte temuto – la potenza insieme alla bellezza.
San Paolo percepisce in modo così evidente questo passaggio che condanna senza appello chi non è stato in grado di compierlo: «Ciò che di Dio si può conoscere è loro [agli uomini] manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti, le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. [...] Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore»4.
Viceversa, i santi, al pari di Gesù, sono stati grandi contemplativi del Creato. Viene subito in mente san Francesco e il suo commosso Cantico delle creature:
«Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
«Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
«Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
«Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
«Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
«Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».
Questo sentimento è comune a tantissimi santi. Santa Teresa, per esempio, diceva di poter fare orazione guardando i gerani del cortile.
Perché Dio ha creato il mondo? Essendo egli perfettissimo e completo, essendo la somma bellezza e bontà, non aveva bisogno di nulla. Non c’è cosa alcuna che possa aggiungere bontà o perfezione a Dio. Egli ha creato per amore, per condividere la sua bontà. San Bonaventura insegna: «Non per accrescere la propria gloria, ma per manifestarla e per comunicarla»5. E più poeticamente san Tommaso: «Aperta la mano dalla chiave dell’amore, le creature vennero alla luce»6.
Dio poi non solo ha creato, ma mantiene ogni cosa in essere, dalle galassie all’atomo. Se Dio volesse, questo essere oppure tutto l’universo scomparirebbe in un attimo. Perciò si dice che Dio è provvidente, che la sua provvidenza governa il creato secondo quella sua lex aeterna che tutto fa funzionare. E tutto questo per amore.
San Gregorio Nazianzeno esortava i fedeli a rendersi conto dell’amore divino presente in tutte le cose create: «Riconosci l’origine della tua esistenza, del respiro, dell’intelligenza, della sapienza e, ciò che più conta, della conoscenza di Dio, della speranza del regno dei cieli, dell’onore che condividi con gli angeli, della contemplazione della gloria, ora certo come in uno specchio e in maniera confusa, ma a suo tempo in modo più pieno e più puro. Riconosci, inoltre, che sei divenuto figlio di Dio, coerede di Cristo e, per usare un’immagine ardita, sei lo stesso Dio!
«Donde e da chi vengono a te tante e tali prerogative? Se poi vogliamo parlare di doni più umili e comuni, chi ti permette di vedere la bellezza del cielo, il corso del sole, i cicli della luce, le miriadi di stelle e quell’armonia e ordine che sempre si rinnovano meravigliosamente nel cosmo, rendendo festoso il creato come il suono di una cetra? Chi ti concede la pioggia, la fertilità dei campi, il cibo, la gioia dell’arte, il luogo della tua dimora, le leggi, lo stato e, aggiungiamo, la vita di ogni giorno, l’amicizia e il piacere della tua parentela?
«Come mai alcuni animali sono addomesticati e a te sottoposti, altri dati a te come cibo? Chi ti ha posto signore e re di tutto ciò che è sulla terra?
«E, per soffermarci solo sulle cose più importanti, chiedo ancora: Chi ti fece dono di quelle caratteristiche tutte tue che ti assicurano la piena sovranità su qualsiasi essere vivente? Fu Dio. Ebbene, egli in cambio di tutto ciò che cosa ti chiede? L’amore. Richiede da te continuamente innanzitutto e soprattutto l’amore a lui e al prossimo»7.
L’uomo, creatura speciale
Al vertice della creazione c’è l’uomo, voluto da Dio con uno statuto del tutto speciale. «Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza, dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. E Dio creò l’uomo a sua immagine; a ...

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