Nuova luce sulla
Sindone
Storia Scienza Spiritualità
a cura di
Emanuela Marinelli
Emanuela Marinelli
Emanuela Marinelli è laureata in Scienze Naturali e Geologiche. Ha tenuto lezioni sull’Iconografia Cristiana alla LUMSA e sulla Sindone e l’Iconografia di Cristo all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Autrice di numerosi libri sulla Sindone, è Medaglia d’Oro al merito della Cultura Cattolica e Cavaliere della Repubblica Italiana.
Nelle prime duecento pagine il libro – curato e in parte scritto direttamente da Emanuela Marinelli – aggiorna sulle più importanti indagini storico-scientifiche compiute fino a oggi sul sacro Lino. Offrono qui il loro contributo Alfonso Caccese, Andrea Di Genua, Michele Filippi, Bartolomeo Pirone, Ivan Polverari, Laura Provera, Domenico Repice. Nella sezione conclusiva, invece, le riflessioni di Orazio Petrosillo (1947-2007) aprono alla contemplazione dell’Uomo della Sindone.
Album fotografico
Introduzione
di Emanuela Marinelli
È un fascino antico, quello della Sindone. Da secoli attira milioni di persone quando viene esposta. Ma cosa sappiamo di questo prezioso lenzuolo, tanto venerato da chi lo ritiene autentico e tanto denigrato da chi lo ritiene falso?
Di tanto in tanto appaiono addirittura articoli in cui si afferma che l’immagine visibile sull’antico lino sarebbe quella di una persona viva, che si muove. I medici legali smentiscono queste teorie prive di fondamento. Ma il mistero che circonda la Sindone ha suscitato anche, negli ultimi anni, nuove indagini approfondite, da cui sono scaturite interessanti scoperte, presentate per la prima volta in questo volume.
Per conoscere questa singolare reliquia è necessario percorrere innanzitutto un doppio itinerario, storico e scientifico, che è ampiamente sviluppato nella prima parte di questo testo.
La Sindone (dal greco sindon, lenzuolo) è un lungo telo di lino (442 cm x 113 cm) che ha certamente avvolto il cadavere di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso con chiodi e trapassato da una lancia al costato. Su di essa è visibile l’impronta in negativo del corpo che vi fu avvolto, oltre alle macchie del suo sangue, che è risultato vero sangue umano di gruppo AB, decalcatosi dalle ferite del cadavere in un tempo valutato attorno alle 36-40 ore. Un’antica tradizione la ritiene il lenzuolo funebre di Gesù Cristo. È stata in possesso dei Savoia dal 1453 fino al 1983, quando Umberto II la donò al Papa. Dal 1578 è conservata a Torino.
Le prime notizie storiche certe dell’esistenza di questa reliquia risalgono a metà del XIV secolo, quando Geoffroy de Charny, un cavaliere crociato, consegnò la Sindone ai canonici di Lirey, presso Troyes, in Francia. Sua moglie, Jeanne de Vergy, era una pronipote di Othon de la Roche, un cavaliere crociato che molto probabilmente la portò via da Costantinopoli durante il saccheggio della IV crociata (1204).
La storia antica della Sindone è uno dei misteri più affascinanti di questo prezioso lino. Un’antica tradizione attribuisce a san Giuda Taddeo Apostolo il trasporto da Gerusalemme a Edessa (oggi Urfa, nel sud-est della Turchia) della miracolosa sembianza di Cristo, che guarisce il re della città, Abgar, dalle sue infermità. È proprio da questi momenti iniziali dell’esistenza della reliquia che prende le mosse la prima indagine storica e iconografica contenuta nel volume: una ricerca che dimostra come il rapporto fra le numerose testimonianze letterarie e la figura di Giuda Taddeo sia possibile. Anche l’analisi pittorica di un’antica icona, conservata nel monastero di Santa Caterina al Monte Sinai, tende a giustificare questa ipotesi.
L’esistenza a Edessa di un panno con impresse le sembianze di Gesù è riportata in numerose fonti, fra le quali rivestono particolare interesse quelle arabe, sia cristiane che musulmane, oggetto del secondo saggio presente nel volume. In questi testi si parla sempre di un Mandīl, un fazzoletto di ridotte dimensioni, sul quale è visibile il solo volto di Cristo; ma ciò non è un ostacolo all’identificazione di questo tessuto con la Sindone, in quanto altre fonti, oggetto del terzo contributo, riferiscono che il telo, chiamato dai bizantini Mandylion, era tetrádiplon (piegato quattro volte). È lecito dunque ritenere che questa misteriosa stoffa fosse la Sindone, ripiegata in modo da mostrare solo il volto. Sul lino conservato a Torino sono state anche identificate tracce di antiche pieghe che rendono plausibile questa identificazione. Il Mandylion che giunse a Costantinopoli il 16 agosto del 944 proveniente da Edessa potrebbe dunque verosimilmente essere la Sindone. Ciò è confermato dall’indagine iconografica: le copie del Mandylion, e in generale tutte le raffigurazioni di Cristo dal IV secolo in poi, sono ispirate dalla venerata reliquia.
Il cofanetto che conteneva il Mandylion potrebbe essere stato aperto durante la lunga permanenza a Costantinopoli dal 944 al 1204. In questo modo era possibile vedere non solo il volto di Gesù, ma tutto il suo corpo con i segni della passione. Ciò potrebbe giustificare l’apparizione, avvenuta nel corso del XII secolo, di un nuovo tipo iconografico, denominato in Occidente Imago pietatis.
Questa nuova tipologia raffigura il Cristo morto in posizione eretta. In Oriente questo tipo iconografico è conosciuto con le denominazioni di Akrà tapinosis (la Grande Umiliazione) e di E apocathelosis (la Deposizione). Un’altra novità iconografica di questo periodo è la rappresentazione del Crocifisso morto con il capo reclinato. Inoltre compare la raffigurazione del Cristo deposto dalla Croce, sdraiato sul lenzuolo funebre, detta Epitaphios, soprattutto ricamata su veli liturgici. Nello stesso tempo appaiono nelle chiese bizantine molti affreschi raffiguranti il Cristo giacente su un lenzuolo, con le braccia incrociate, nella scena della deposizione. La particolarità di queste raffigurazioni rende plausibile l’ipotesi di un progressivo scoprimento del Mandylion.
Il quarto saggio analizza le interpretazioni che correlano i lini liturgici della celebrazione ai lini della sepoltura di Cristo, attraverso l’analisi, nei commentari liturgici, dei tre termini che li descrivono, secondo il lessico trasmesso dalla Vulgata di Girolamo: sindon, linteamina, sudarium. Il termine sindon mostra il mutamento più interessante a partire dalla fine dell’XI secolo per giungere alle allegorie definite e incisive del XIII secolo. La lettura allegorica della liturgia, infatti, riscopre e potenzia in modo esplicito il legame fra i lini utilizzati per la celebrazione del sacrificio eucaristico e i lini sepolcrali che avvolsero il corpo di Cristo.
Questi primi quattro capitoli accendono dunque preziose luci che rischiarano il buio dei primi secoli, quando la Sindone era nascosta e venerata in maniere diverse. I successivi tre saggi, invece, sviluppano soprattutto l’aspetto delle ricerche scientifiche condotte sulla Sindone
Il quinto contributo elenca i motivi di conferma dell’autenticità della reliquia: la preziosità e la rarità del tessuto; la grande abbondanza di pollini di provenienza mediorientale e di aloe e mirra; la presenza di aragonite simile a quella trovata nelle grotte di Gerusalemme; una cucitura laterale identica a quelle esistenti su stoffe ebraiche del primo secolo; cospicue tracce di DNA mediorientale e indiano, a conferma della possibile origine del lenzuolo; le tracce di sangue decalcate da un corpo che ha subito proprio i tormenti descritti dai Vangeli; la breve permanenza del cadavere nel lenzuolo; la misteriosa immagine, dovuta a disidratazione e ossidazione delle fibrille superficiali del lino, che appare proiettata da un effetto fotoradiante, indizio di un fenomeno inspiegabile verosimilmente connesso alla risurrezione. Inoltre due datazioni chimiche, basate sulla spettroscopia vibrazionale, e un metodo di datazione meccanico collocano l’origine della Sindone all’epoca di Gesù.
Le peculiari caratteristiche del sangue formano l’oggetto del sesto capitolo. Il sangue esistente sulla Sindone ha un colore più rosso del normale per la presenza di bilirubina ed è stato dimostrato da esperimenti scientifici che questo è dovuto a una irradiazione di luce ultravioletta. Inoltre sulla Sindone è presente la metaemoglobina, un prodotto della degradazione dell’emoglobina fortemente ossidata e invecchiata, a conferma che si tratta di sangue antico. Viene anche smentita la teoria di una realizzazione ad arte delle macchie sanguigne da parte di un falsario medievale, con validi argomenti che sono stati confermati da esperimenti presentati nel capitolo successivo. In questo settimo contributo si parla anche della probabile lussazione della spalla destra che si desume dall’impronta sindonica. Ma la novità più clamorosa viene da uno studio statistico.
Nel 1988 la Sindone fu datata con il metodo del Carbonio 14. In base a questa analisi, risalirebbe a un periodo compreso tra il 1260 ed il 1390 d.C. Però le modalità dell’operazione di prelievo, la zona del campionamento e l’attendibilità del metodo per tessuti che hanno attraversato vicissitudini come quelle della Sindone sono ritenute insoddisfacenti da un numero rilevante di studiosi. Nel 2019 l’analisi statistica dei dati grezzi del test radiocarbonico ha definitivamente smentito la validità di quel risultato, in quanto i campioni utilizzati erano disomogenei e non rappresentativi dell’intero lenzuolo. È notevole che la pubblicazione dei risultati di questa nuova ricerca sia avvenuta proprio su Archaeometry, rivista dell’Università di Oxford, dove si trova uno dei tre laboratori che datò la Sindone nel 1988.
Le indagini storiche e scientifiche presentate nella prima parte di questo testo sgomberano quindi definitivamente il campo da qualsiasi dubbio sull’autenticità della Sindone. A questo punto si entra nella seconda parte del volume, che presenta cinque capitoli ...