I primi cristiani
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I primi cristiani

Dalla comunità di Gerusalemme al pontificato di Gregorio Magno

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I primi cristiani

Dalla comunità di Gerusalemme al pontificato di Gregorio Magno

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Nel 1975, il papa Paolo VI pubblicò l'enciclica Evangelii nuntiandi. In essa affermava che ai giorni nostri la prima evangelizzazione aveva esaurito la sua spinta e occorreva iniziare una seconda evangelizzazione: nella storia della Chiesa c'è un periodo considerato esemplare, sono i primi secoli della Chiesa quando il cristianesimo non era riconosciuto come religio licita. Alberto Torresani, autore della fortunata Storia della Chiesa – Dalla comunità di Gerusalemmme a papa Francesco (8 edizioni), ha concentrato la sua attenzione sull'alba del cristianesimo: il tempo dei martiri e delle persecuzioni, dei Padri come dei primi apostati.Con una vivacissima scelta di testimonianze, ci riporta nel cuore della prima comunità cristiana, nella sua vita quotidiana, nel rapporto con il paganesimo e con il mondo ebraico. Un mondo che ha soprendenti analogie con il nostro.

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2020
ISBN
9788881559350

Alberto Torresani

I PRIMI CRISTIANI


Dalla comunità di Gerusalemme
al pontificato di Gregorio Magno




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INTRODUZIONE




La Chiesa dei primi secoli possiede un fascino particolare. «Nella pienezza dei tempi» avvenne la nascita di Cristo a Betlemme di Giudea. Si tratta del più grande avvenimento della storia. Augusto imperatore non ne ebbe alcuna notizia, anche se con tutta legittimità poteva ritenere di essere a capo della maggiore realizzazione politica di ogni tempo, perché l’Impero romano inglobava le antichissime monarchie di Mesopotamia ed Egitto, aveva ereditato i territori più occidentali dell’Impero persiano che a suo tempo era confluito nell’Impero di Alessandro Magno. Esterni all’Impero romano erano solamente i continenti allora inaccessibili e l’Asia orientale. Con l’Impero romano nacque anche il cristianesimo, ossia Dio che assume la natura umana, dà la sua vita come riscatto dell’umanità peccatrice e, dopo l’Ascensione al cielo, affida alla Chiesa il compito di evangelizzare tutti i popoli.
Il processo, la morte, la Risurrezione di Cristo sono un dato di fatto ineliminabile della storia. Tutti i tentativi per ridurli a una colossale menzogna sono falliti. Le fonti pagane e giudaiche del tempo avrebbero smascherato la menzogna. Se non l’hanno fatto, la ragione va cercata nella realtà dei fatti testimoniati dai Vangeli. Il processo di Cristo fu platealmente iniquo. Pilato riconobbe l’innocenza dell’imputato, ma si lavò le mani davanti ai capi degli ebrei per far capire che le questioni della loro legge erano insignificanti di fronte al diritto romano. Ciò nonostante, fa fustigare Gesù nel modo più spaventoso, ma il Sinedrio vuole la condanna a morte. Per ottenerla i capi degli ebrei accusano Cristo di essersi proclamato Re, ossia colpevole di crimen lesae maiestatis, che esige la pena di morte. Pilato, tuttavia, ha saputo dall’imputato che la sua regalità riguarda l’altro mondo. Un pragmatico si occupa solamente di questo mondo e perciò il processo non si doveva celebrare. Viene tentato un trasferimento di giurisdizione. Poiché Gesù è galileo e a Gerusalemme è presente Erode Antipa, tetrarca della Galilea, Gesù gli viene inviato, ma non parla con quel personaggio privo di scrupoli, che aveva fatto decapitare Giovanni il Battista per motivi inconsistenti. Erode gradisce il gesto di Pilato, di deferenza quasi fosse un pari grado, ma Erode è una vecchia volpe e sa che è meglio non sporcarsi le mani se proprio non è necessario.
Quando Pilato fa preparare il titulus, ovvero la motivazione della condanna, in aramaico greco e latino, accenna a un Gesù Nazareno, Re dei giudei, la scritta non va bene al Sinedrio che vorrebbe un’attenuazione di quel «Re dei giudei», ma anche Pilato ha esaurito la pazienza e non sopporta la sottigliezze di chi vorrebbe leggere che «Gesù era sedicente Re dei giudei». Così la regalità di Cristo è confermata per sempre.
Dopo l’ascesa al cielo di Gesù, inizia il proprio cammino la Chiesa, che vive nel tempo, ma con un messaggio destinato a tutti i tempi e perciò col dovere di «inculturarsi», di spiegare il mistero di Cristo e della Chiesa adottando le categorie mentali in grado di raggiungere gli uomini di ogni epoca. Il compito dei primi cristiani non era per niente semplice. Si trovavano a confrontarsi con la sapienza greca, ossia con la cultura più raffinata del mondo antico, e poi con la capacità divulgativa posseduta dalla cultura latina. Essa ammetteva la superiorità della cultura greca, ma riteneva di saper rendere universale ciò che i greci ritenevano un tesoro collegato solamente con la loro lingua. Perciò, i primi cristiani elaborarono un’antropologia in grado di superare il chiuso ambiente semitico, approdando all’universalismo greco, ma senza rimanerne prigionieri, perché la loro antropologia doveva raggiungere tutti gli uomini, risultando davvero universale. San Paolo comprese tutto ciò quando scriveva che non c’era più né greco né barbaro, né uomo né donna, né schiavo né libero perché tutti erano divenuti una sola cosa in Cristo.
Nel corso del I secolo, quando erano ancora in vita gli Apostoli, avvenne la redazione scritta dei Vangeli, che avevano una funzione importante nella predicazione. Ci sono quattro recensioni con piccole varianti tra loro, dovute a testimonianze non sempre coincidenti, ma non fu imposta l’uniformità e non si esitò a mantenere quelle piccole varianti, frutto di esperienze soggettive.
Esistevano anche delle sottili ragioni per scegliere redazioni stilisticamente mirate. Il Vangelo di Matteo era pensato per gli ebrei e, secondo alcune testimonianze antiche, l’originale era stato redatto in lingua aramaica. Matteo cita i passi dell’Antico Testamento che possono rafforzare la testimonianza di Gesù.
Il Vangelo di Marco è il più breve, ma anche il più ricco di notizie, non sempre accolte dagli altri Vangeli: esso espone la predicazione di Pietro e riflette il suo stile sobrio, senza enfasi, perché sono i fatti l’unica cosa che conta.
Il Vangelo di Luca si rivolge a cristiani estranei all’ambiente ebraico e perciò accoglie alcune caratteristiche della retorica classica, ma rimanendo fedele allo schema redazionale ricevuto. Esso permette di classificare i primi tre Vangeli come «sinottici», perché seguono la stessa struttura portante, individuata dai filologi tedeschi in un supposto Urmarkus (“Marco originario”, di cui si parlerà in seguito). Anche gli Atti degli apostoli sono opera di Luca, che accompagnò Paolo in uno dei suoi viaggi apostolici, evidente là dove nel racconto compare la notazione «noi».
Il Vangelo di Giovanni appare indipendente dai sinottici, composto alcuni anni dopo di essi, quando la diffusione del cristianesimo rese necessario passare dalla semplice testimonianza di ciò che aveva detto e fatto Gesù all’interpretazione teologica, ossia all’aperta ammissione che Gesù è vero Figlio di Dio. Il Vangelo di Giovanni inizia con un prologo simile a quello della Genesi: «In principio era il Verbo», e poi prosegue col racconto dei «segni» operati da Cristo per testimoniare la sua divinità, dal primo, che riporta il racconto delle nozze di Cana, fino all’ultimo, la risurrezione di Lazzaro. Quest’ultimo evento esasperò le autorità ebraiche riunite nel Sinedrio. Seguono i fondamentali capitoli dal 13 al 17 col discorso sacerdotale di Cristo durante l’Ultima Cena, forse le più belle pagine di tutta la Sacra Scrittura, perché si possono interpretare come il testamento di Gesù dopo la vita trascorsa su questa terra.
Tuttavia, i primi testi scritti del Nuovo Testamento (d’ora in poi NT) sono le Lettere di Paolo, il più grande teologo della Chiesa, perché senza aver conosciuto di persona Cristo ha saputo cogliere più di ogni altro la ricchezza del suo messaggio. L’attività missionaria di san Paolo rimane un’impresa gigantesca che ha assicurato un’apertura universale alla Chiesa, pur conservando agli ebrei la primogenitura della chiamata alla fede. Alcune lettere che hanno come autori Pietro, Giovanni, Giuda Taddeo e Giacomo si aggiungono al gruppo di libretti che formano il NT, completato dal libro dell’Apocalisse, attribuito a san Giovanni.
Nel II secolo compare una vivace letteratura dell’età sub-apostolica con alcune reliquie importanti come la Didaché, un compendio dell’insegnamento dei Dodici apostoli; con la Lettera a Diogneto, il primo tentativo di spiegare ai pagani la novità della Chiesa; con le Apologie, una serie di difese per far comprendere ai pagani che il cristianesimo era compatibile con la cultura classica e non un pericolo da combattere. Le Chiese locali fanno quadrato intorno ai loro martiri che assumono una dimensione eroica, senza generare ostilità o risentimenti nei confronti dello Stato romano che stoltamente condanna i migliori tra i suoi cittadini per ragioni inconsistenti.
Nel III secolo si percepisce la formazione di una Grande Chiesa, ossia le comunità particolari hanno un patrimonio di cultura religiosa che oltrepassa l’àmbito locale, una letteratura che supera di molto le letterature pagane in lingua greca e latina, col futuro che appartiene ai cristiani in possesso di centri di elaborazione culturale riconosciuti anche dai pagani. Nel larario, ovvero altare domestico dell’imperatore Severo Alessandro (223-235), figuravano Mosè, Cristo e Apollonio di Tiana, un taumaturgo vissuto nel I secolo cui erano attribuiti molti miracoli: tra i pagani si faceva strada il progetto di un sincretismo che aveva il compito di salvare il loro patrimonio culturale.
Nel IV secolo Costantino, l’imperatore rivoluzionario, riconosce il cristianesimo come religio licita e agisce decisamente per metterlo al servizio dello Stato. Trasferisce la capitale nell’antica Bisanzio e fa propria la concezione del potere tipica dell’Oriente, ossia l’imperatore è un dominus ac deus con poteri assoluti, esercitati anche nei confronti della Chiesa. Infatti, non esitò a intervenire nel corso della crisi determinata da Ario nella Chiesa di Alessandria, convocando e presiedendo il primo Concilio ecumenico della Chiesa, quello di Nicea, ma pochi anni dopo scelse l’eresia ariana come più funzionale al potere imperiale.
Nel IV secolo la letteratura cristiana conosce una crescita impetuosa. Con la fine delle persecuzioni l’epopea dei martiri continua con l’epopea degli asceti e dei monaci. La teologia si rafforza con le grandi decisioni dei concili e con l’insegnamento dei vescovi, il cui magistero pubblico viene conservato in preziose raccolte di omelie: è l’età dei Padri della Chiesa.
Nel V secolo si consuma il tracollo politico della parte occidentale dell’Impero romano, travolta dal movimento dei popoli che trasferisce entro i confini dell’Impero numerose tribù germaniche. Crollano le strutture politiche dell’Impero d’Occidente e inizia un durissimo periodo con un unico protagonista, la Chiesa cattolica, stretta intorno ai Papi di Roma. Il primo tra loro, per capacità di governo, risulta Leone Magno (440-461). La Chiesa, in funzione vicaria, non per smania di potere, assume molti compiti della società civile polverizzata tra le tante tribù germaniche.
Nel VI secolo si assiste allo splendore della Chiesa bizantina in notevole misura compendiato dalla più bella chiesa edificata in onore di Cristo, Santa Sofia di Costantinopoli. Per esigenze politiche, Giustiniano volle fare concessioni alle tradizioni di Antiochia e di Alessandria, ma rimase sempre in ritardo. Egitto e Siria seguirono una parabola nazionalistica che accentuava la tradizione locale, copta e aramaica, ostile alla Chiesa imperiale o melchita di Costantinopoli. La politica militare di Giustiniano fu costosissima e il prelievo fiscale giunse a livelli inaccettabili. Quando dai deserti d’Arabia uscì una cavalleria leggera, galvanizzata dalla predicazione di Maometto, gli eserciti bizantini furono sconfitti. Infatti, quegli squadroni di cavalleria non cercavano lo scontro frontale, bensì manovravano per impedire l’arrivo di viveri, foraggio e acqua agli eserciti avversari, armati in maniera pesante e perciò lenti, tagliando i supporti logistici. Alla fine, gli eserciti bizantini dovevano arrendersi per fame. Siria, Palestina ed Egitto andarono perduti per sempre, con Chiese locali appena tollerate, rimaste in ostaggio ai vincitori islamici, che concepirono un enorme complesso di superiorità rispetto al cristianesimo, sconfitto proprio là dove era sorto.
Maometto ammetteva i suoi debiti verso l’ebraismo e il cristianesimo, ma ritenne che i cristiani si sbagliassero, rimanendo legati a un’interpretazione secondo lui errata delle loro Scritture sacre, perché l’ultimo profeta, il più grande, quello definitivo, era Maometto e la sua religione ripuliva il cristianesimo dai residui pagani e politeisti che lo intristivano. La teologia islamica è di disarmante semplicità e soprattutto dispone del potere politico per risolvere ogni problema. Tuttavia, spesso si dimentica che l’arrivo dei musulmani in Siria e in Egitto comportava per i vinti il dimezzamento delle tasse, che si riducevano a un sesto se i cristiani si convertivano all’islàm.
All’inizio del VII secolo, il papato di Gregorio Magno si assunse il grande compito di indicare le linee di una liturgia semplificata; il dovere dell’evangelizzazione dei popoli del nord Europa; le melodie del canto liturgico e i contenuti della predicazione accessibili a una popolazione divenuta primitiva per quanto riguarda la base culturale. In ogni caso, non andò mai perduta la grande lezione della Chiesa nel mondo classico. I medievali, come noi li chiamiamo, ebbero sempre la consapevolezza di essere nani nei confronti dei giganti del passato, ma se i nani si ponevano sulle spalle dei giganti potevano guardare anche più lontano di loro. La cosa difficile era riuscire a radunare gli scritti dell’epoca classica, a partire dalle opere dei Padri della Chiesa, che in larga misura si erano conservate. La cosa riuscì per il più grande dei Padri di lingua latina, per Agostino di Ippona, che divenne il teologo di riferimento fino al XII secolo.


1. PIETRO DA GERUSALEMME A ROMA ATTRAVERSO ANTIOCHIA




È lecito supporre che, in maggioranza, i fedeli della Chiesa nel I secolo fossero ebrei e che i non ebrei rientrassero nella categoria dei cristiani giudaizzanti. La parola di Dio era formata essenzialmente dalla predicazione degli Apostoli, che si servivano della lingua aramaica. Gli Apostoli figuravano come testimoni che riferivano ciò che avevano visto e udito, cercando di non aggiungere o togliere qualcosa a loro talento, come devono fare i testimoni in tribunale. Le modalità del Battesimo furono stabilite fin dal giorno di Pentecoste. Gli altri sacramenti furono formalizzati col passare del tempo. L’assistenza, pur non facendo parte dell’essenza della fede, fu subito istituita mediante i diaconi.
L’apertura del cristianesimo ai pagani fu un problema affrontato più tardi, principalmente da Paolo di Tarso. Tutti gli apostoli sapevano che il messaggio salvifico di Cristo era stato indirizzato a tutti gli uomini di buona volontà, ma non si sapeva come attuare praticamente quel progetto. La parola «Chiesa» compare nel cap. 16 di Matteo quando Gesù chiede agli Apostoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?». Vengono date alcune risposte, ma Gesù insiste: «Ma voi chi dite che io sia?». Allora Pietro prende la parola e dice: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». In modo solenne Gesù replica: «Beato sei tu, Simone figlio di Giona, poiché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16, 12-18). Tutti i codici più antichi conservano questo testo, che perciò non può essere dichiarato apocrifo. Fin dall’inizio, per volontà espressa di Cristo, il suo insegnamento è stato calato all’interno di un organismo vivo chiamato Chiesa che ha interpretato autorevolmente l’insegnamento di Gesù, condannato a morte mediante crocifissione verso l’anno 30, da Ponzio Pilato, procuratore della Giudea, su richiesta dei capi degli ebrei. Essi si erano opposti all’insegnamento di Cristo, nonostante il favore popolare. Forse il mot...

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