Capitolo VI
EVANGELIZZARE
Gesù Cristo stesso evangelizza, comunicando la verità e la grazia, insieme e attraverso i suoi inviati in tutti i luoghi e in tutti i tempi. «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 18-20). L’apostolo Paolo, durante il processo a Cesarea di Palestina, proclama solennemente davanti al re Agrippa e al governatore Porcio Festo «con l’aiuto di Dio, fino a questo giorno, sto qui a testimoniare agli umili e ai grandi, null’altro affermando se non quello che i Profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, che cioè il Cristo avrebbe dovuto soffrire e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunciato la luce al popolo e alle genti» (At 26, 22-27; cfr analoga dichiarazione ad Antiochia in Pisidia, At 13, 47). Paolo evangelizza nella convinzione di essere sostenuto dalla presenza di Cristo: «Mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo» (2 Cor 2, 17). Da allora fino a oggi la Chiesa crede che la rivelazione, compiuta una volta per sempre, viene attualizzata incessantemente dal Signore stesso con il dono del suo Spirito: «(Nella Chiesa) Dio parla al suo popolo e Cristo annuncia ancora il Vangelo» (Concilio Vaticano II, Sacrosantum Concilium 33).
Evangelizzare è cooperare con Cristo Salvatore, perché attraverso di noi venga a incontrare gli uomini del nostro tempo. Egli non insegna solo una dottrina, ma realizza un evento di grazia; attrae a sé; suscita la fede; cambia la vita. Il suo Vangelo viene percepito come la notizia più bella, se è già vissuto da noi stessi e se lo inseriamo nella situazione vissuta da chi ci ascolta.
Occorre discernere attentamente l’esperienza esistenziale delle persone e le tendenze storiche e culturali della società (i segni dei tempi). «Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes 11). L’ascolto dei giovani è una via privilegiata per intercettare il futuro che sta per venire (cfr il Documento preparatorio del Sinodo 2018). L’evangelizzazione avviene secondo una dinamica di incarnazione, in cui l’umano viene assunto, purificato ed elevato perché possa diventare presenza ed espressione del divino. L’annuncio del Vangelo presuppone il dialogo; a sua volta il dialogo autentico comporta non solo l’incontro rispettoso e amichevole tra le persone, ma anche la ricerca sincera della verità e quindi il discernimento.
La società di oggi è stata chiamata «modernità liquida» (Zygmunt Bauman). È un’epoca di cambiamenti sempre più rapidi, anzi ossessionata di cambiare e insofferente di ogni conservazione. Si massimizza l’efficienza scientifica, tecnica, economica, mediatica senza tener conto dei valori etici. Si esalta la libertà in quanto scelta soggettiva. Si rivendicano i diritti dell’individuo, spesso confusi con i desideri. Si ritiene che la libertà comporti il relativismo, cioè l’equivalenza delle interpretazioni e delle opinioni senza pretesa di verità. Qualcuno, in aperta contraddizione con la parola di Gesù (cfr Gv 8, 32), ha scritto: «La verità non vi farà liberi» (Sandra Harding, filosofa americana). Il Dizionario di Oxford ha eletto «Post-verità» come parola dell’anno 2016. In sintesi: libertà senza verità.
In àmbito religioso alcune tendenze della teologia protestante riducono la fede cristiana a un atteggiamento di fiducia senza contenuto veritativo o con un minimo contenuto. Già Lutero era interessato al significato salvifico più che ai fatti storici, al Cristo per me più che al Cristo della storia (Chi realmente è stato e che cosa effettivamente ha fatto). Oggi questo soggettivismo è arrivato molto avanti. Non conta la storia reale, ma solo il testo scritto, attraverso il quale Dio mi parla qui e ora. Non esiste una Chiesa visibile con una comune professione di fede, con gli stessi sacramenti, con una fraternità ordinata gerarchicamente; esistono solo i singoli cristiani che si scambiano interpretazioni ed esperienze individuali di fede, costruendo relazioni amichevoli, rispettose delle molteplici posizioni, anche se divergenti e contraddittorie tra loro. L’unità della Chiesa è solo spirituale, invisibile, trascendente, escatologica. Qualche personalità (cfr Margot Kässmann, Intervista all’Ansa) non esita ad affermare che un’unica Chiesa visibile sarebbe «noiosa», mentre «nella diversità c’è creatività, pluralismo».
La mentalità protestante costituisce una tentazione anche per i cattolici e di fatto elementi di essa si riscontrano presso non pochi teologi, pubblicisti e operatori pastorali. Più in generale la cultura della «modernità liquida», in cui siamo immersi, fa sentire la sua influenza sul pensiero e sulla vita dei cristiani, anche dei praticanti. È necessario esercitare l’arte del discernimento, imparando a distinguere il vero dal falso e il bene dal male, a riconoscere le istanze positive incorporate e operanti anche negli errori, poiché «ogni male si fonda su qualche bene e ogni errore su qualche verità» (san Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I q 17 a 4 ad 2).
Il dialogo è necessario all’evangelizzazione. Ogni persona è un mistero sacro da avvicinare con umiltà, dolcezza, gradualità. Occorre ascoltare attentamente e pazientemente ciò che le sta a cuore, la sua storia, il suo pensiero, la sua esperienza, riconoscendo e valorizzando i suoi elementi di verità e di bene. La verità, in cui noi crediamo, mai deve essere imposta, ma solo testimoniata e proposta, rispettando scrupolosamente e cordialmente la libertà degli altri, senza pretendere frettolosamente la loro adesione. Però possiamo e dobbiamo invitare tutti a cercare la verità. Senza questa ricerca, il dialogo culturale, interreligioso, ecumenico, non sarebbe autentico, si ridurrebbe a un intrattenimento e una conversazione qualsiasi. Lasciandoci noi per primi arricchire dagli interlocutori, possiamo chiedere anche a loro una maggiore apertura. Cercare sinceramente la verità è sempre possibile, anche se non si arriva a conoscerla e ad accoglierla. Altro è mettersi in cammino e altro è raggiungere la meta.
Per essere più concreto, aggiungo un ricordo personale. Qualche tempo fa, incontro una signora che si dichiara atea, però apprezza l’impegno del Papa a favore dei poveri e per la pace, sente anche lei fortemente il valore della solidarietà e si impegna secondo le sue possibilità. Da parte mia apprezzo questo suo atteggiamento, le dico che Dio è amore e lei forse non è lontana da lui, anche se ancora non lo riconosce e non lo chiama per nome. Lo cerchi ancora. Si ponga qualche domanda: Perché è bello aiutare gli altri? Perché le persone sono importanti? Che cosa può dare senso e valore alla nostra vita? Rifletta e, se ci riesce, preghi, perché anche nel dubbio si può pregare. Alla fine ci siamo salutati con viva cordialità.
Il dialogo, l’accoglienza delle persone, l’attenzione alla loro esperienza e al loro pensiero, l’apertura all’amicizia e alla collaborazione sono parti integranti della testimonianza cristiana, prima e necessaria via dell’evangelizzazione. La Chiesa infatti è inviata «a rivelare e comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutti i popoli» (Concilio Vaticano II, Ad Gentes 10). Evangelizzare significa non solo trasmettere la memoria e il messaggio del Signore Gesù, ma anche e soprattutto irradiare la sua presenza e il suo amore attraverso il nostro amore, in una specie di incarnazione continuata. «L’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio» (1 Gv 4, 7). La verità da comunicare, pur essendo anche dottrina, non si riduce a dottrina, ma è soprattutto evento di carità.
La testimonianza vissuta è necessaria sempre; ma lo è soprattutto oggi, in un tempo di relativismo e di indifferenza religiosa, in cui le parole da sole risultano inflazionate e inefficaci. «L’uomo contemporaneo – ha detto il beato Paolo VI – ascolta più volentieri i testimoni che i maestri... o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni» (Evangelii Nuntiandi 41). A lui fa eco san Giovanni Paolo II: «L’uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri, più all’esperienza che alla dottrina, più alla vita e ai fatti che alle teorie. La testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione» (Redemptoris Missio 42); «Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare di Cristo, ma in certo senso di farlo loro vedere» (Novo Millennio Ineunte 17).
Questa indicazione mi è venuta in mente durante una recente visita in ospedale. Un malato mi dice: non si fermi a parlare con me, perché io sono ateo. Gli rispondo: Stia tranquillo, vado in un’altra stanza. Lo saluto però molto amichevolmente. Dopo circa un’ora, andando verso l’uscita del reparto, ripasso davanti alla sua porta. Mi vede, mi fa cenno di avvicinarmi e mi chiede di procurargli uno shampoo per i capelli. Scendo alla farmacia dell’ospedale e gli compro shampoo, sapone da barba, un pacchetto di rasoi e un dopobarba. Risalgo da lui e gli consegno questi piccoli doni. Rimane commosso e mi dice: Posso darle un bacio? Rispondo: Certo, anche due! Dentro di me ho pensato che forse volesse soltanto mettere alla prova la mia fede cristiana.
Necessaria è la testimonianza dell’amore reciproco e verso tutti. Il supremo desiderio di Gesù, manifestato nella preghiera al Padre durante l’ultima cena, è che i credenti in lui si amino tra loro fino alla perfezione dell’unità, perché possano fare esperienza della vita di Dio, manifestare la sua bellezza al mondo e così indurlo a credere. «Tutti siano una sola cosa... perché il mondo creda... siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa... siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e li hai amato come hai amato me» (Gv 17, 20-23).
L’amore reciproco è aperto anche all’amore verso tutti, specialmente verso chi è povero e appresso dal male. «La testimonianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è quella dell’attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre... Anche l’impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell’uomo, la promozione umana è una testimonianza del Vangelo, se è segno di attenzione per le persone ed è ordinato allo sviluppo integrale dell’uomo» (san Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio 42). «Senza l’opzione preferenziale per i più poveri l’annuncio del Vangelo, che pure è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium 199).
Non bisogna però ridurre la testimonianza evangelica all’...