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Mindfulness: definizioni
Prima di addentrarci nel terreno della mindfulness, è imprescindibile una explicatio terminorum: è da essa che dipenderanno molte delle osservazioni e delle conclusioni cui perverremo. Abbiamo rilevato, infatti, come in molta della letteratura, ormai sterminata, circa questo argomento, si dia per scontata la sua definizione o se ne fornisca soltanto una, quando se ne devono prendere in considerazione almeno tre.
1. Mindfulness come semplice lemma del vocabolario inglese
Così viene attualmente definito dall’Oxford Dictionary: «La qualità o lo stato di essere consapevoli o attenti riguardo a qualcosa. Esempi: their mindfulness of the wider cinematic tradition (la loro mindfulness della più ampia tradizione cinematografica). «All this in a plant with no eyes or imaging organs, no brain or nervous system to support mindfulness (Tutto ciò in una pianta senza occhi o organi di visualizzazione, senza cervello o sistema nervoso a supporto della mindfulness)»7.
Partire da questa definizione è di fondamentale importanza per comprendere come la mindfulness sia anzitutto uno stato mentale8 universale, presente in ogni uomo e in ogni cultura. In italiano lo si potrebbe tradurre in molti modi: «consapevolezza», «attenzione piena», «concentrazione», «coscienza» (in senso cognitivo, non morale), anche se nessuno di essi corrisponde appieno a quanto la psicologia clinica ha puntualizzato negli studi degli ultimi decenni. Secondo molti autori9 si deve partire dal considerare la mindfulness come un processo mentale ben distinto che permette agli esseri umani di operare con efficacia. Si può essere «consapevoli» (mindful) di pensieri, motivazioni, emozioni, stimoli percettivi. La mind-fulness comprende sia la prontezza sia l’attenzione. Se la prontezza è come il radar di sottofondo della mindfulness, in grado di monitorare continuamente l’ambiente interno ed esterno, l’attenzione è il processo per cui ci si focalizza su un limitato settore esperienziale. Ora, nella realtà, prontezza e attenzione sono intrecciate in modo tale che l’attenzione continuamente estrae «figure» dal «fondo» della prontezza, focalizzandole per un periodo variabile di tempo. Inoltre, mentre l’attenzione e la prontezza sono caratteristiche relativamente costanti del normale funzionamento della mente, la mindfulness può essere considerata come un’attenzione e una prontezza aumentate in relazione a un’esperienza corrente o a una realtà presente. Ancora più specificatamente, una caratteristica centrale della mindfulness consiste nella prontezza e nell’attenzione «aperta» e «ricettiva» che può essere impiegata in una regolare e sostenuta consapevolezza di eventi ed esperienze in corso. Per esempio, nel parlare con un amico, si può essere attentissimi alla comunicazione e pienamente pronti a percepire il più piccolo tono emotivo che vi soggiace.
In sintesi, ogni essere umano è capace di mindfulness; è uno stato mentale quotidianamente ricorrente e che può essere persino misurato secondo determinate scale scientificamente elaborate10.
2. Mindfulness come traduzione del termine pāli sati
Ci si riferisce qui a un concetto più specifico individuato dalla tradizione buddhista: è l’attenzione piena, non-giudicante e non-riflessiva al momento presente. Essa è annoverata al settimo posto fra le otto vie dell’«Ottuplice sentiero» buddhista e menzionata, per esempio, nel Mahā satipaṭṭhāna sutta11. Così è definita da un monaco buddhista contemporaneo di tradizione Theravāda:
La mindfulness approfondisce la concentrazione mentale (samatha) nella direzione della visione interiore (vipassanā). Nella mindfulness il discepolo si sofferma sulla contemplazione del corpo, dei sentimenti, dei pensieri. Attraverso la concentrazione e l’attenzione a questi fattori della nostra vita, e comprendendo attraverso la meditazione la loro vera natura, l’odio e l’avidità, la sofferenza e il rancore sono superati e il Nibbana è raggiunto12.
A partire da questi presupposti il monaco vietnamita Thích Nhất Hạnh, appartenente alla corrente del buddhismo Thiền (il corrispettivo vietnamita dello Zen), al fine di portare i tesori della propria tradizione religiosa alla conoscenza di un uditorio occidentale, ha indicato nella sati, tradotta in inglese con mindfulness, «l’essenza del buddhismo». Se Buddha vuole dire «risvegliato»; la mindfulness è ciò che consente il risveglio e il risveglio stesso, l’essere coscienti e consapevoli della circostanza presente13. Essa non è una semplice tecnica meditativa, ma «un mezzo e un fine», «il seme e il frutto». Essa è, semplicemente, l’essere consapevoli di ciò che si fa in ogni momento:
Mentre lavi i piatti, potresti pensare al the che berrai dopo, o così proverai a finire il prima possibile così da sederti e berti il the. Ma questo significa che non sei capace di vivere nel tempo in cui stai lavando i piatti. Quando stai lavando i piatti, lavare i piatti dev’essere la cosa più importante della tua vita. Così come mentre stai bevendo il the, bere il the deve essere la cosa più importante della tua vita. Quando sei nella toilet, lascia che sia la cosa più importante della tua vita14.
La nostra vera casa è il momento presente. Vivere nel momento presente è il miracolo. Il miracolo non è camminare sull’acqua. Il miracolo è camminare sulla terra verde, nel momento presente, apprezzando la pace e la bellezza che sono a disposizione ora15.
Ora, secondo Thích Nhất Hạnh e la sua esposizione della tradizione buddhista, questo «miracolo» si raggiunge attraverso la pratica intensiva della mindfulness, la quale deve arrivare a permeare ogni momento dell’esistenza. Questa pratica si declina in svariati modi, il principale dei quali è quello della concentrazione sul proprio respiro e sui propri pensieri:
Il fatto che sono qui e lavo queste ciotole è una realtà meravigliosa. Sono completamente me stesso, seguendo il mio respiro, la mia presenza, e consapevole dei miei pensieri e delle mie azioni. Non c’è modo che io possa essere sballottato in giro senza consapevolezza [mindlessly nell’originale] come una bottiglia sbattuta di qua e di là dalle onde16.
Si badi bene che la concentrazione sui pensieri di cui qui si tratta non consiste in un approfondimento riflessivo ma in una loro osservazione neutrale, «non-riflessiva e non-giudicante». L’obiettivo, nella sati, non è quello di eliminare i pensieri o i sentimenti (come spesso si ritiene in letture superficiali del buddhismo): essi sono ineliminabili e fanno parte della natura della mente e dell’animo umano. L’obiettivo della sati è, invece, quello di non identificarsi con essi, di considerarli in maniera impersonale come eventi «impermanenti». Solo in questo modo non ci si farà trascinare da essi. Conseguentemente e congruentemente con ciò si giungerà alla realizzazione dell’anattā – concetto fondamentale della dottrina buddhista – del «non-sé»17. Abituandosi man mano a non identificarsi coi propri pensieri, a considerarli con distacco, ci si renderà conto che essi sono illusioni tanto quanto l’io che si presume di possedere a partire da essi – e lo stesso si applichi per le passioni e i sentimenti. Questo è un punto fondamentale per comprendere come la sati non descriva soltanto una pratica o un processo noetico ma bensì presupponga un’antropologia ben precisa e doviziosamente argomentata dal Buddha-dharma, dalla dottrina buddhista. Così come viene presupposta anche un’etica: secondo la tradizione buddhista, infatti, all’anattā è legata la karuṇā, la compassione; nella misura in cui ci si distacca dal falso io coi suoi illusori pensieri e sentimenti (tramite l’esercizio della sati) ci si distacca anche da ogni egoismo e da ogni separazione fra l’io e l’altro, fra l’io e l’universo, il che ha come auspicato esito una cura amorevole per l’universalità.
3. Mindfulness come pratica meditativa secolarizzata
Solo presupponendo le due definizioni precedenti si può comprendere la terza, che è quella cui principalmente ci si riferisce quando si nomina la mindfulness oggi – anche in questo saggio, quando non diversamente specificato, ci si riferirà a questa terza definizione. Espressioni quali «mindfulness revolution»18, «mindful nation»19 o moda mindfulness di cui si sente sempre più parlare, a merito o demerito, fanno tutte capo alla pratica della mindfulness che ora descriveremo.
L’intuizione di sintetizzare tale «pratica» (ma vedremo subito le problematicità inerenti all’uso di questo termine) a partire dagli insegnamenti di Thích Nhất Hạnh è stata di Jon Kabat-Zinn, un biologo americano di origini ebraiche che è stato per lunghi anni suo discepolo. Ciò che il maestro aveva iniziato nello sforzo di porgere agli occidentali gli insegnamenti della meditazione buddhista è stato portato a compimento dal discepolo, sentendosi quest’ultimo come investito della missione di
prendere il cuore di qualcosa di così significativo, sacro se vuoi, come il Buddha-dharma e portarlo nel mondo in una maniera tale che esso non si diluisca, si profani o si distorca, ma al contempo in una maniera tale che non sia legato a una struttura contraddistinta da una cultura e una tradizione, il che lo renderebbe assolutamente impenetrabile per la gran maggioranza delle persone20.
Il risultato iniziale di questa intuizione fu la fondazione, nel 1979, del Center for Mindfulness in Medicine, Health Care, and Society dove fu sviluppato il programma Mind-fulness-Based Stress Reduction (MBSR): «un programma di gruppo concentrato sulla progressiva acquisizione di un’attenta consapevolezza [mindful awareness, mindfulness]21».
Il «protocollo» MBSR consiste in un laboratorio di otto settimane che implica lezioni settimanali di due ore; una giornata piena di «ritiro» (pratica mindfulness di sei ore) tra la sesta e la settima sessione; pratica «formale» a casa (almeno 45 minuti di meditazione quotidiana, sei giorni la settimana), e istruzioni in tre tecniche formali: meditazione mind-fulness, body scanning e posizioni yogiche basilari. La meditazione mindfulness prevede la concentrazione sul proprio ritmo respiratorio, accompagnata da un’attenzione ai propri pensieri in una modalità non-giudicante; sono suggeriti l’uso di uno zabuton e dello zufu (un materassino e un cuscino da meditazione su cui sedersi) e determinate posture per la schiena, le mani e le dita (per esempio il gesto del «mudra cosmico»). Il body scanning è una forma di meditazione in cui, seduti o distesi, ci si concentra sulla percezione di ogni singolo membro o regione del nostro corpo. Le posizioni Yoga sono una mutuazione delle classiche posture dello Hatha Yoga.
Come si può facilmente intuire, nel MBSR ci sono tutti gli ingredienti della meditazione buddhista precedentemente delineata e basata sulla sati, ma presentati in maniera tale che «non devi essere un buddhista per poterlo praticare», come afferma Kabat-Zinn in apertura di uno dei suoi best-seller: Full Catastrophe Living: Using the Wisdom of...