Viaggio in Oriente
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A cura di Bruno Nacci.Invito alla lettura di Giuseppe Conte.Viaggio in Oriente è il libro più fiabesco di Nerval, una specie di Mille e una Notte, in equilibrio tra realtà e fantasia, tra sogno e una verve narrativa ineguagliata nell'Ottocento: moschee, quartieri brulicanti di vita, plebi, emiri, incantatori, donne misteriose, regine, vicende che risalgono alla tradizione biblica, avventure meravigliose, compongono un quadro dai colori smaglianti che in modo sottile contrappone il mondo antico, saldamente ancorato alla religione, alla natura, alla magia, alla suggestione e alla ricerca di orizzonti lontani, al meccanico e degradato squallore della civiltà moderna. Tutto il libro, dalla partenza in Europa allo sprofondare in racconti mitici, è pervaso dal mistero, dalla gioia che il mistero comunica scuotendo le nostre fragili certezze e abitudini.

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2020
ISBN
9788881559695
Categoria
Viaggi

Viaggio in Oriente

Introduzione per un amico1

verso l’Oriente

1. La strada di Ginevra

Non so se t’interesseranno molto le peregrinazioni di un turista partito da Parigi in pieno novembre2. È una litania di disavventure abbastanza triste, una descrizione molto povera, un dipinto senza orizzonte, senza paesaggio, dove è impossibile utilizzare le tre o quattro idee della Svizzera o dell’Italia che ci si è fatti prima di partire, le fantasticherie melanconiche sul mare, la vaga poesia dei laghi, gli studi alpini, e tutta quella flora poetica sugli amati paesi del sole che procurano alla borghesia parigina tanti amari rimpianti di non poter andare più lontano di Montreuil o Montmorency.
Si attraversano Melun, Montereau, Joigny, si pranza ad Auxerre; tutte cose poco eccitanti. Immagina solo l’imprudenza di un viaggiatore che, troppo capriccioso per adattarsi a seguire la linea, quasi diritta, della ferrovia, si abbandona ad ogni tipo di diligenza, più o meno piena, che potrebbe passare domani! Uno così temerario3 lascia partire senza rimpianti la rapida Lafitte et Caillard4 che lo aveva condotto fino a una ben rifornita tavola comune5; egli sorride alla disgrazia degli altri commensali, costretti a lasciare il pranzo a metà, e si scola in pace una bottiglia di vino con i tre o quattro clienti fissi della casa, che hanno ancora un’ora da trascorrere a tavola. Soddisfatto dell’idea, s’informa anche sulle attrattive della città, e finisce col farsi portare alla prima di Auguste nel Buridan6, che si tiene nel coro di una chiesa trasformata in teatro.
Il giorno dopo il nostro uomo si risveglia alla solita ora; ha dormito due notti, così che la Générale è già passata. Perché non prendere di nuovo Lafitte et Caillard, come il giorno prima? Fa colazione: arriva Lafitte ma ha posto solo sul calesse. «Rimane ancora la berlina commerciale», dice l’oste che desidera tenersi un viaggiatore a modo. La Berlina arriva alle quattro, piena di tessitori in viaggio per Lione. È una vettura allegra: canta e fuma per tutta la strada; ma ha già due piani affollati di viaggiatori. Rimane la Châlonnaise.
«Che cos’è?».
È la decana delle carrozze francesi. Parte solo alle cinque; fate in tempo a cenare. L’idea mi piace, faccio prenotare un posto, due ore dopo sono seduto davanti, di fianco al guidatore. È un uomo simpatico; era seduto a tavola e sembrava non avere alcuna fretta. Conosceva troppo bene la sua vettura!
«Guidatore, il selciato della città è davvero pessimo!».
«Oh! Non me ne parli, signore! Sono così tanti in consiglio comunale che non si capiscono neppure più... Gli hanno presentato una pavimentazione all’inglese, il macadam7, un selciato in legno, dei copriselciato; ebbene! Preferiscono l’acciottolato, le pietre, tutto quello che riescono a trovare pur di far saltare le vetture!».
«Ma, guidatore, questa è terra battuta e saltiamo quasi lo stesso».
«Signore, io non me ne accorgo... È il cavallo che va al trotto».
«Il cavallo?».
«Sì, sì, ma per la salita ne prendiamo un altro».
Al successivo cambio dei cavalli scendo per guardare bene la Châlonnaise, quest’opera di alto antiquariato. Era degna di figurare in un museo, accanto a un archibugio, ai cannoni di pietra e ai torchi in legno: la Châlonnaise è forse oggi la sola vettura in Francia priva di sospensioni.
Il resto lo puoi capire; trovare riposo solo attaccandosi alle cinghie in alto, prendere una lezione di trotto lunga trentasei ore senza cavallo, e venire depositati direttamente sul selciato di Châlon alle due del mattino da uno dei più bei temporali della stagione.
Il battello a vapore parte alle cinque del mattino. Perfetto. Non c’è una sola casa aperta. Siamo sicuri di essere a Châlon-sur-Saône? E se fosse Châlon-sur-Marne! No, è proprio il porto di Châlon-sur-Saône, con i suoi marciapiedi di pietre da dove si scivola piacevolmente verso il fiume; i due battelli rivali riposano ancora fianco a fianco, aspettando di gareggiare in velocità; proprio di recente uno di questi battelli ha mandato a picco il suo avversario.
Il piroscafo si sta già riempiendo di grossi mercanti, di inglesi, di commessi viaggiatori e degli allegri operai della Berlina. Scenderanno tutti nella seconda città della Francia, ma io mi fermo a Mâcon.
Mâcon! È proprio davanti a questa città che sono passato tre anni fa, in una stagione migliore; scendevo verso l’Italia8 e le ragazze, in un costume simile a quello svizzero, che offrivano sul ponte degli enormi grappoli d’uva, erano le prime belle popolane9 che avessi visto dopo Parigi. In realtà, il parigino non ha idea della bellezza delle contadine e delle operaie che si possono vedere nelle città del sud. Mâcon è una città per metà svizzera, per metà meridionale, comunque molto brutta.
Mi hanno indicato la casa di Lamartine10, grande e cupa; sull’altura c’è una bella chiesa. Per un attimo è apparso uno sprazzo di sole a ravvivare i tetti piatti, dalle tegole tondeggianti, e a mettere in risalto lungo i muri qualche foglia di vite ingiallita; a quel raggio, il viale dagli alberi spogli sorrideva ancora. La vettura per Bourg parte alle due; ho visitato ogni angolo di Mâcon; in breve scivoliamo adagio per quelle monotone campagne della Bresse che in estate sono così ridenti; alle otto arriviamo a Bourg.
Bourg merita attenzione soprattutto per la sua chiesa, nel più splendido stile bizantino, se ho visto bene di notte, o forse un quasi Rinascimento, come quello che ammiriamo a Saint-Eustache11. Spero che scuserai il viaggiatore, ancora a pezzi per via della Châlonnaise, di non aver potuto sciogliere il dubbio in pieno buio.
Avevo studiato attentamente il cammino sulla carta. Dal punto di vista delle vie di comunicazione, delle vetture Lafitte, dei cambi, in una parola seguendo i percorsi ufficiali, avrei potuto trasferirmi a Lione e prendere la diligenza per Ginevra; ma la strada che portava in quella direzione faceva come un enorme gomito. Conosco Lione ma non conosco la Bresse. Ho preso, come si dice, la scorciatoia... È davvero la strada più corta?
Se l’ingenuo diario di un viaggiatore entusiasta riveste qualche interesse per chi vuol correre il rischio di diventarlo a sua volta, sappi che, da Bourg a Ginevra, non ci sono servizi diretti. Fai una deviazione di diciotto leghe verso Lione, torna per quindici leghe verso Pont-d’Ain, e con una perdita di dieci ore avrai risolto il problema.
Ma è più semplice spostarsi da Bourg a Pont-d’Ain, e là attendere la vettura di Lione.
«Se proprio volete potete farlo», mi dicono, «la vettura passa alle undici, arriverete alle tre del mattino».
All’ora fissata, arriva una carrozzaccia e, quattro ore dopo, il guidatore mi lascia sulla strada principale insieme ai miei bagagli. C’era un po’ di pioggia; la strada era scura, non si vedevano né case né luci.
«Andate sempre diritto», mi dice gentilmente il guidatore. «Dopo circa un chilometro e mezzo troverete una locanda; se non dormono, vi apriranno».
E la vettura prosegue il cammino per Lione. Raccolgo la valigia e il portacappelli... raggiungo la locanda; busso con una pietra per un’ora... Ma, una volta entrato, dimentico tutti i miei mali... La locanda di Pont-d’Ain è una locanda della cuccagna. Scendendo il mattino dopo, mi trovo in una cucina immensa e grandiosa. C’era del pollame che girava sugli spiedi, del pesce a cuocere sui fornelli. Attorno a una tavola bene imbandita c’erano dei cacciatori infervorati. Il proprietario era un omone e la proprietaria una donna robusta, tutti e due molto simpatici. Io ero un po’ in ansia per la vettura di Ginevra.
«Signore», mi dissero, «passerà domani verso le due».
«Oh! Oh!».
«Ma questa sera c’è il corriere».
«Il postale?».
«Sì, quello».
«Ah! Molto bene».
Non mi resta che bighellonare tutto il giorno. Ammiro l’aspetto della locanda, una costruzione in mattoni fatti con pezzi di pietra dell’epoca di Luigi XIII. Visito il paese, che ha una sola strada piena di bestiame, di bambini e di paesani ubriachi: era domenica, torno seguendo il corso dell’Ain, un fiume di un magnifico azzurro, le cui acque veloci fanno girare una quantità di mulini.
Alle dieci di sera arriva il corriere. Mentre cena, mi conducono nella rimessa dove c’era la sua vettura per assegnarmi il posto.
Sorpresa: era una reticella!
Sì, una semplice reticella sospesa al vecchio avantreno di una vettura, eccellente per contenere lettere e pacchetti; ma il viaggiatore avrebbe dovuto starvi come semplice bagaglio.
Una giovane donna in lutto e in lacrime aveva viaggiato su quell’incredibile vettura da Grenoble; dovetti sedermi accanto a lei.
L’impossibilità di rimanere fermi al proprio posto tra tutti quei pacchi fece incrociare i nostri destini: la donna smise di versare lacrime, che avevano come causa uno zio morto a Grenoble. Tornava a Ferney, il paese della sua famiglia.
Parlammo molto di Voltaire12. Procedevamo adagio, a causa delle continue salite e discese. Il corriere, che disprezzava troppo la sua vettura, non vi aveva preso posto e frustava dal basso il cavallo che, di tempo in tempo, sfiorava l’orlo dei precipizi.
Il Rodano scorreva alla nostra destra, qualche centinaia di piedi sotto la strada; qua e là tra le rocce si vedevano le postazioni dei doganieri, perché dall’altra parte del fiume c’è la frontiera con la Savoia.
Ogni tanto ci fermavamo un istante nei piccoli centri, in certi villaggi dove si udivano solo i versi degli animali svegliati dal nostro passaggio. Il corriere gettava i pacchi a mani o zampe invisibili, poi ripartivamo al gran trotto del suo piccolo cavallo.
Verso l’alba, dall’alto delle montagne scorgemmo una gran distesa d’acqua, così vasta da tagliare in lontananza l’orizzonte come un mare: era il lago di Lemano.
Un’ora dopo prendevamo il caffè a Ferney, aspettando l’omnibus per Ginevra. Da lì, in due ore, attraverso campagne ancora verdi, in un paesaggio delizioso, tagliando giardini e allegre ville, arrivai nella patria di Jean Jacques Rousseau13.
La cucina di Ginevra è molto buona, la gente simpatica. Parlano tutti perfettamente il francese, ma con un accento che ricorda un po’ il marsigliese. Le donne sono molto belle e hanno lineamenti che le rendono riconoscibili da tutte le altre. In genere hanno capelli neri o castani, ma la carnagione bianca e delicata da abbagliare; il profilo è regolare, le guance colorite, gli occhi belli e sereni. Mi è parso che fossero più belle quelle di una certa età, o meglio di un’età certa. Hanno braccia e spalle ammirevoli, anche se di costituzione un po’ robusta. Sono il tipo di donne che piacciono a Sainte-Beuve, bellezze lacustri; e quando portano calze azzurre, dentro devono esserci delle gambe davvero belle.

2. L’addetto all’ambasciata

Non mi hai ancora chiesto dove vado: forse che io lo so? Vorrei vedere paesi che non ho mai visto; e poi, in questa stagione, non si possono scegliere le strade, si è costretti a prendere quella non invasa dalla neve, da un’inondazione o dai ladri. Fino a questo momento, i racconti più terribili sono quelli delle inondazioni. Ne ho appena sentito uno con fatti così curiosi che non so resistere al desiderio di fartene partecipe.
Nei giorni scorsi, un corriere che portava dei dispacci ha passato la frontiera per recarsi in Italia. Era un semplice addetto14, molto lusingato di correre, a spese dello stato, in una bella carrozza veloce e nuova, piena di abiti e di soldi; insomma: un giovane con una bella posizione, con un domestico sul sedile posteriore, imbacuccato nel mantello.
Il giorno era al termine, in molti tratti la strada era attraversata dalle acque; ecco un torrente più impetuoso degli altri: il postiglione spera comunque di riuscire ad attraversarlo; non ce la fa, l’acqua si sta già portando via la vettura, i cavalli nuotano; il postiglione non perde la testa, riesce a staccare la carrozza e scompare.
Il domestico si getta dal suo sedile, fa due bracciate e guadagna la riva. Intanto la carrozza, tutta nuova, come abbiamo detto, e ben chiusa, scendeva tranquillamente quella specie di fiume. E l’addetto, cosa faceva? Il beato ragazzo dormiva.
Si capisce però che alle prime scosse si era svegliato. Valutando con sangue freddo la situazione, pensò che la vettura non poteva galleggiare a lungo così, perciò si tolse in fretta gli abiti, abbassò il finestrino della portiera, a cui l’acqua non arrivava ancora, strinse tra i denti i dispacci e, piccolo com’era, si lanciò fuori.
Mentre nuotava vigorosamente, il domestico era andato lontano a cercare soccorso. Così, raggiunta la riva, il nostro inviato diplomatico si ritrovò solo e nudo sulla terra come il primo uomo. Quanto alla vettura, essa navigava già lontanissima.
Dopo qualche passo, il giovane fortunatamente scorse una capanna verso cui si affrettò per chiedere asilo. In quella casa c’erano solo due donne, zia e nipote. Puoi immaginare le grida e i segni di croce che fecero vedendo arrivare da loro un uomo travestito da modello dell’accademia.
L’addetto riuscì a far comprendere loro i motivi della sua disavventura e, vedendo una fascina di legna accanto al focolare, disse alla zia di gettarla nel fuoco, che sarebbe stata ben pagata.
«Ma», disse la zia, «dal momento che siete completamente nudo, voi non potete avere dei soldi».
Il ragionamento non faceva una grinza. Per fortuna giunse in quella casa il domestico, e questo cambiò tutta la faccenda. La fascina fu gettata nel fuoco, l’addetto si avvolse in una coperta e si consigliò con il domestico.
La contrada non offriva alcuna risorsa: quella casa era la sola nel raggio di due leghe; bisognava dunque ripassare la frontiera per cercare soccorso.
«E dei soldi!», disse l’addetto al suo Frontin.
Quest’ultimo si frugò nelle tasche e, come il servo di Alceste15, non riuscì a cavarne che un mazzo di carte, un bottone e qualche moneta da dieci centesimi, tutto molto infradiciato.
«Signore», disse, «ho un’idea! Io mi avvolgerò nella vostra coperta, e voi prenderete i miei pantaloni e il mio abito. Camminando di buona lena, in quattro ore arriverete ad A... e andrete a trovare il buon generale T... che ci ha fatto tanta festa al nostro passaggio».
A quella proposta, l’addetto ebbe un fremito: indossare una livrea, mettersi i pantaloni di un domestico e presentarsi agli abitanti di A... al comandante della piazza e alla sua sposa! Aveva visto troppe volte Ruy Blas16 per adattarsi a quell’espediente.
«Buona donna», disse alla sua ospite, «mi coricherò nel vostro letto, aspettando il ritorno del mio domestico che voglio mandare nella città di A... a cercare soldi».
La savoiarda non si fidava troppo; oltretutto, in quel l...

Indice dei contenuti

  1. Invito alla lettura, di Giuseppe Conte
  2. Viaggio e Mito nell’Oriente di Nerval, di Bruno Nacci
  3. Cronologia
  4. Edizioni
  5. Studi
  6. Nota alla traduzione
  7. Nota all’edizione italiana
  8. VIAGGIO IN ORIENTE