Prologo
(Interno del Cremlino, di tarda mattina — due guardie davanti alla porta dell’ufficio di Stalin.)
PRIMA GUARDIA — Sei all’erta compagno?
SECONDA GUARDIA — Certo sono all’erta.
PRIMA GUARDIA — È un grande compito il nostro: vigilare da vicino la vita del grande compagno Stalin.
SECONDA GUARDIA — Tremendo compito, che non mi concede di allentare la tensione nervosa nemmeno per un minuto.
PRIMA GUARDIA — Dici bene: è un compito tremendo. E non per le conseguenze, fatali per noi, se appena commettessimo un errore, una rilassatezza (alle nostre persone non dò alcuna importanza); ma per le conseguenze che ne verrebbero alla causa proletaria, e quindi agli uomini di tutto il mondo. Anche agli uomini non ancora nati.
SECONDA GUARDIA — Esattamente (pausa).
PRIMA GUARDIA — Io sono nuovo a questo servizio: non ho mai visto lo straniero che si trova ora nell’ufficio di Stalin.
SECONDA GUARDIA — È l’ambasciatore dell’India, Ménon.
PRIMA GUARDIA — Dell’India?
SECONDA GUARDIA — Già.
PRIMA GUARDIA — C’è anche questa soddisfazione, nell’essere guardie del corpo di Stalin: si vedono questi importanti uomini di tutto il mondo oppresso, che vengono qui a prendere il verbo.
SECONDA GUARDIA — Veramente meravigliosa è la dottrina del comunismo.
Coro primo (delle due guardie)
GUARDIE — Io lascio allo straniero nemico della mia classe la reazione e la rabbia impotente, e lascio ai pavidi che si annidano fra noi il piagnisteo. Io non dubito, né dubiterò. Come potrei dubitare se vedo coi miei occhi l’incredibile potenza che abbiamo raggiunto? Grandi nazioni come la Cina, per secoli patria solo di miseria e di fame, in pochi anni, da che hanno accettata la nostra dottrina, si sono portate alla ribalta del mondo. Già la loro potenza spaventa il cuore degli sfruttatori d’Occidente. E l’India, e l’Indonesia, e gli arabi fino a ieri inerti, tutti i popoli oppressi guardano a noi, e mandano a noi messaggeri che vedano e riportino. Chi può ormai più dubitare che il comunismo è la dottrina che sanerà i mali del mondo?
(Via le due guardie e la facciata dell’ufficio di Stalin.)
Primo episodio
(Interno dell’ufficio: Stalin, che per essere stato in gioventù morso da un cane rabbioso ha il braccio sinistro alquanto rattrappito e lo tiene d’abitudine aderente al fianco; e l’ambasciatore Ménon, seduti — da una finestra s’intravede il mausoleo di Lenin.)
AMBASCIATORE (ha dei fogli in mano) — Non c’è altro: questo è il testo del documento, così come viene proposto dal mio governo.
STALIN — approva coi capo, ma non ascolta; sta scribacchiando su un foglio.
AMBASCIATORE — Forse non vado errato se presumo, signor
Primo Ministro, che voi intendiate farmi qualche osservazione in merito al documento che vi ho letto.
STALIN — seguita a scribacchiare.
AMBASCIATORE — Riguardo, forse, al primo capoverso?
STALIN — Il primo capoverso?
AMBASCIATORE — Fin dall’inizio della mia esposizione ho visto che voi avete preso appunti, signor Primo Ministro.
STALIN — Che appunti? Ah! Questi non sono appunti (mostra il foglio).
AMBASCIATORE — Oh, soltanto dei piccoli disegni.
STALIN — Non sono dei piccoli disegni: sono dei lupi.
AMBASCIATORE — Già (pausa). Comunque, circa il contenuto del primo capoverso...
STALIN (interrompendolo) — Sentiamo: voi, cosa credete che io sia?
AMBASCIATORE — Come dite?
STALIN — Cosa sono, io, ai vostri occhi?
AMBASCIATORE — Non capisco.
STALIN — Eppure parlo chiaro. Cosa credete che io sia?
AMBASCIATORE — Voi, il Primo Ministro Stalin? Non so cosa possa contare la mia modesta opinione. Così all’improvviso, poi... Comunque ai miei occhi, e agli occhi di tutti, io credo, voi siete un grandissimo capo. Avete a disposizione la potenza d’uno dei massimi stati moderni: ecco siete, fuori d’ogni dubbio, uno dei capi più potenti che la storia abbia mai visto.
STALIN — Ah, così. E non pensate che io sono anche un uomo come tutti gli altri?
AMBASCIATORE — Certo, questo è implicito, ma...
STALIN — Un uomo come tutti, che un solo grammo di veleno o un’iniezione sbagliata, potrebbero togliere di mezzo?
AMBASCIATORE (perplesso) — Non capisco.
STALIN — Mio padre era nato contadino, servo della gleba.
AMBASCIATORE — Intendete dire... Certo. Provenite da una condizione umilissima, e torna quindi a vostro maggior merito l’aver raggiunto...
STALIN (reciso) — Io sono un contadino. Il contadino russo fa i suoi conti, dissoda la dura terra, lavora e non si dà tregua tutto l’anno, poi quando arriva l’inverno ed egli dovrebbe avere un po’ di pace, allora, regolarmente, arrivano anche i lupi.
AMBASCIATORE — I lupi...
STALIN — I lupi, che assalgono lui, e la sua casa: regolarmente. E sapete cosa fa il contadino ai lupi? Li stermina (traccia una sbarra sul foglio). Ogni volta li stermina!1 (Si alza in piedi e dà la mano all’ambasciatore, che si avvia all’uscita:) Questo documento va bene; lasciatelo pure qui. E ricordatevi di quello che vi ho detto: il contadino russo, i lupi, li stermina.
(L’ambasciatore esce. Stalin torna a sedersi.)
Secondo episodio
(Stalin preme un pulsante — entra il suo segretario capo Vladimiro Nichiforovic Malin.)2
STALIN — Malin, questa maledet...