I 7 sacramenti
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I 7 sacramenti

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Non solo Dio è capace di humor, ma ne è proprio l'inventore. Ne era persuaso l'arcivescovo statunitense Fulton J. Sheen, che ha scritto questo libro «perché gli uomini vivono in un mondo che è diventato decisamente troppo serio». Ma cosa c'entra questo con i sacramenti? Un sacramento richiede quel divino senso dello humor capace di combinare gli elementi visibili e quotidiani con le realtà eterne e invisibili.Sfogliando queste pagine, finalmente disponibili in italiano, il lettore è colpito dalla straordinaria brillantezza e dalla proverbiale capacità di comunicazione dell'autore. Il testo è apparso negli Stati Uniti nel 1964 e pertanto fa riferimento ai riti anteriori alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II. Tuttavia la sostanza dei sacramenti non è cambiata e le stesse riflessioni sugli aspetti rituali costituiscono un arricchimento per una migliore comprensione del sacramento stesso. I contenuti della fede sono esposti in modo colloquiale, quasi parlato, con abbondante ricorso a suggestioni tratte dalla vita quotidiana e dall'esperienza comune e, naturalmente, con senso dello humor. Una donna può forse accontentarsi di guardare la foto di suo marito senza mai rivederlo? Così, un cristiano non può accontentarsi di pensare a Cristo e leggere la sua Parola senza poi incontrarlo nei sacramenti.

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2020
ISBN
9788881559916

IV

Il sacramento della Penitenza

Il sacramento della Penitenza è stato istituito per le ferite spirituali ricevute dopo il Battesimo. Il peccato originale è stato lavato nel bambino battezzato e, nel caso dell’adulto, anche i peccati personali. Ma il Signore è «pragmatico». Egli sa che la veste bianca battesimale non resta sempre immacolata; che «il giusto cade sette volte al giorno» e che le offese contro di noi si devono perdonare «settanta volte sette». Di conseguenza, nella sua misericordia, ha istituito un sacramento che è un tribunale di misericordia per la guarigione spirituale.
Alcuni hanno affermato che non c’è differenza tra il sacramento della Penitenza e la psicanalisi perché in entrambi i casi la mente umana, quando è disturbata, cerca di liberarsi di ciò che la opprime. È vero che come la mano andrà all’occhio per liberarlo da un granello, così la lingua andrà in aiuto del cuore per garantirgli sollievo. Come afferma Shakespeare: «La mia lingua dirà l’angoscia del mio cuore; altrimenti il mio cuore, celandola, si spezzerà». Non stiamo qui criticando il metodo psicanalitico, ma solo l’errore di affermare che non ci sia differenza tra questo e il sacramento della Penitenza. Ma le differenze tra psicanalisi e Confessione sono enormi.
Contrasto tra psicanalisi e Confessione
La psicanalisi è il riconoscimento di un comportamento della mente; la Confessione è un riconoscimento di colpa. Il primo deriva dal subconscio, l’altro dalla coscienza. Una persona può essere orgogliosa del suo stato mentale; alcuni sono orgogliosi di essere atei, immorali o gangster. Molti pazienti chiederanno allo psichiatra: «Dottore, ha mai sentito di un caso come il mio?». Al contrario, nessuno è orgoglioso della sua colpa. Anche in isolamento, il peccatore si vergogna. Non ci vuole coraggio nell’ammettere che uno sia «folle» ma incolpevole; ci vuole invece una tremenda dose di eroismo, di cui pochi sono capaci, per portare il peso della propria colpa al Calvario e stendere le mani ai piedi del Crocifisso e dire: «Io sono responsabile di questo».
La psicanalisi procede in base a una teoria, e non sempre un’unica teoria. La Confessione invece si basa sulla conformità o non conformità allo standard assoluto della legge divina. La psicanalisi non coincide con una specifica teoria che giudica uno stato mentale. Ci sono tre teorie principali: una attribuisce i disturbi mentali al sesso (Freud); un’altra al complesso di inferiorità (Adler); e la terza al raggiungimento della sicurezza (Jung). Poiché l’analista è guidato da una teoria, non gli è mai richiesto di avere un’idoneità morale per il suo scopo; il suo personale diritto etico a ricevere fiducia non ne risente. Egli può vivere con la sua sesta moglie e tuttavia consigliare alla gente come essere felice nel matrimonio.
Ma nella confessione è diverso. Le liberazioni del penitente si pongono sempre sul piano morale – non su quello psicologico. Il penitente sa che è davanti a un giudizio, non a una teoria, e che il confessore che ascolta i suoi peccati tiene il posto di Dio. Poiché il prete è il mediatore tra Dio e l’uomo, la Chiesa chiede sempre che il prete che assolve i penitenti sia egli stesso in stato di grazia; cioè che sia partecipe della vita divina. Il riconoscimento della colpa, quindi, da parte del penitente, non è soggetto a capricci individuali, teorie, idiosincrasie e fisime di chi ascolta, ma alla legge divina e all’ordine e agli standard morali di Cristo, il quale insegna che uno deve essere santo per santificare.
Una terza differenza è che nella psicanalisi c’è l’esame da parte di un altro o di una mente esterna; nella Confessione è il penitente stesso che è il proprio procuratore e il proprio giudice. Nell’analisi c’è spesso la ricerca di comportamenti per rafforzare una teoria; ma in una confessione spontanea, il penitente analizza le sue proprie colpe e le confessa, senza averli girati e rivoltati in «libera associazione» e poi sottomessi alla «privata interpretazione del subconscio» che prende il posto dell’interpretazione privata della Bibbia. L’uomo naturalmente concede il perdono agli altri che lo hanno offeso, con il semplice riconoscimento delle colpe, senza che qualcun altro la tiri per le lunghe. Una condizione indispensabile per ricevere il perdono nel sacramento è questa aperta ammissione della colpa, come ha fatto il figliol prodigo quando è ritornato alla casa paterna.
Un’altra differenza sta nell’assoluta segretezza di quanto si dice in confessione, che non deve essere mai divulgato, né inserito in un libro o in una storia clinica, come spesso avviene con il materiale derivante da un esame psicanalitico. Le offese che l’uomo arreca a Dio non appartengono a ogni uomo; pertanto, egli non può farne uso. La materia della confessione appartiene a Dio e i peccati non possono mai essere rivelati dal confessore finché non lo farà Dio nel giorno del giudizio. Le orecchie del confessore sono le orecchie di Dio e la sua lingua non può mai parlare di ciò che Dio ha sentito con le sue orecchie.
Una differenza ulteriore sta nella diversa postura che una persona assume in Confessione e in psicanalisi. In un caso, la persona mentalmente disturbata sta su un divano; nella Confessione sta sulle sue ginocchia. C’è una passività nel riconoscimento di uno stato mentale su un divano; ma c’è un’umile attività da parte di uno che ammette la propria responsabilità morale sulle proprie ginocchia. nell’esame psicologico è del tutto assente qualcosa come la contrizione o la soddisfazione. Nella Confessione, il dolore e la riparazione dei propri peccati sono parti integranti del sacramento. Quando uno vede una fila di confessionali in un’ampia chiesa, con i piedi che sporgono da sotto le cortine come millepiedi, realizza che l’uomo si è ridotto all’umile condizione del verme per potersi rialzare di nuovo, rigenerato alla gloriosa amicizia di Cristo che è morto per lui.
Un’ultima e importante differenza tra psicanalisi e Confessione è questa: nella psicanalisi, il riconoscimento degli stati mentali viene da noi stessi; nella Confessione, l’impeto o il desiderio di confessare i nostri peccati viene dallo Spirito Santo. La notte dell’Ultima Cena, Nostro Signore ha detto che avrebbe mandato il suo Spirito per convincere il mondo sul peccato (cfr Gv 16, 8). Solo attraverso lo Spirito di Cristo noi sappiamo di essere peccatori, vedendo le nostre vite in relazione alla croce. Lo Spirito Santo chiama l’anima a trovare la sua strada per rifugiarsi tra le braccia del Padre. Quando una persona è nel peccato, è in esilio lontana da casa, come uno che dimora in terra straniera guardando alla gioia del ritorno. È un invito a partecipare alla gioia del Buon Pastore che si carica in spalla la pecorella smarrita e l’agnello perduto per riportarli all’ovile della Chiesa.
La ragione per cui questa chiamata deve venire da Dio è che noi siamo schiavi del peccato. Proprio come un prigioniero non può liberarsi da sé dalle fastidiose sbarre e dalle catene, neanche il peccatore può farlo senza la potenza dello Spirito. A Dio solo appartiene l’iniziativa in questo sacramento. È la sua voce che ci chiama al pentimento. Possiamo fare la nostra confessione perché la nostra coscienza ci invita a farlo, ma è la voce dello Spirito Santo che ci parla della misericordia, dell’amore e della giustizia di Dio. Sotto l’impulso dello Spirito Santo l’anima si sente come Lazzaro risorto dai morti.
Due requisiti di base per il sacramento
Affinché ci possa essere un sacramento della Penitenza, sono necessarie due cose, entrambe piuttosto impossibili da trovare secondo una prospettiva umana. In primo luogo uno deve creare il penitente e, in secondo luogo, deve creare un confessore. Per creare un penitente, si deve prendere un uomo nel suo orgoglio, avvolto in un silenzio glaciale, che rifiuta di liberarsi dalla sua colpa e dirgli: «Tu dovrai andare da un uomo e inginocchiarti di fronte a lui – un uomo che forse non è migliore di te – e gli dirai ciò che hai nascosto a te stesso e ai tuoi figli. Gli dirai che te ne vergogni e farai tutto ciò in ginocchio».
Per quanto possa essere difficile creare un penitente che confesserà ogni cosa con un fermo proposito di correggersi, è ancora più difficile creare il confessore. Dove si troverà uno investito da Dio dell’autorità di perdonare i peccati? Quanto dovrà allenarsi il cuore umano a guarire le ferite degli altri e poi a sigillare le proprie labbra per sempre in modo che ciò che ha appreso come rappresentante di Dio non sia mai rivelato agli uomini?
Solo Dio può crearli entrambi, poiché senza il suo potere e la sua misericordia, diremmo: «L’umanità è troppo orgogliosa, non ci saranno mai penitenti»; «L’umanità è troppo indiscreta, non ci saranno mai confessori». E tuttavia il sacramento esiste. Ci sono penitenti poiché ci sono confessori e ci sono penitenti e confessori perché Cristo è Dio.
Il sacramento ha a che fare con i peccati
Quando un bambino nasce, è generalmente sano; ma col tempo è soggetto a disagi e problemi organici che opprimono e tormentano la vita. Anche nell’ordine spirituale, benché l’anima sia stata resa pulita e libera da ogni peccato grazie al Battesimo, nondimeno contrae delle macchie dei problemi spirituali nel corso della vita. Questi sono noti come peccati. Se il peccato è abbastanza grave da rompere la vita divina, è chiamato «mortale», perché conduce alla morte della vita di Cristo nell’anima. Se l’errore commesso non distrugge la vita divina, ma le reca solo offesa, è chiamato «veniale».
Un peccato grave produce sempre un triplice effetto nell’anima. Il primo è l’estraniarsi da sé. Un peccatore si sente nel proprio intimo come un campo di battaglia in cui ha luogo una guerra civile. Non è più un’unità, ma una dualità in cui due forze al suo interno si scontrano per il dominio.
Il peccato grave allontana il peccatore dal suo prossimo, poiché un uomo che non è in pace con sé stesso non è in pace neanche col suo vicino. Le guerre mondiali non sono altro che la proiezione su vaste aree della superficie terrestre delle guerre psichiche che si agitano nelle anime confuse. Se non ci fossero battaglie nell’intimo dei cuori, non ce ne sarebbero nel mondo. È stato dopo che Caino ha ucciso Abele che egli ha posto la domanda anti-sociale: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4, 9).
L’effetto più grave del peccato non è l’alienazione da sé e dal prossimo; è l’allontanamento da Dio. Poiché la grazia è la vita divina nell’anima, ne consegue che un peccato grave è la distruzione di quella vita divina. È per questo che la Lettera agli Ebrei chiede: «Per quanto sta in loro, essi crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia» (Eb 6, 6)? Il peccato, inoltre, è una seconda morte. I meriti che abbiamo guadagnato sono perduti; ma quei meriti possono essere ottenuti di nuovo, grazie alla misericordia di Dio, nel sacramento della Penitenza.
Istituito da Cristo
Il sacramento della Penitenza fu istituito da Cristo nella forma di un giudizio per rimettere, mediante l’assoluzione sacramentale, i peccati commessi dopo il Battesimo e per permettere a una persona pentita di confessare i propri peccati.
In tutto l’Antico Testamento c’è stata una preparazione a questo sacramento nella misura in cui Dio si sforza di indurre gli uomini a riconoscere i propri peccati dinanzi a lui. Per carpire una confessione, Dio disse ad Adamo: «Hai forse mangiato dell’albero?». Dio chiese al primo assassino: «Dov’è tuo fratello?». Nella legge mosaica il peccatore portava un’offerta per il peccato, che veniva bruciata sulla pubblica piazza per mostrare che costui non temeva di ammettere la propria colpa. Il profeta Natan ascoltò la confessione di David dopo il suo peccato con Betsabea e gli impose una penitenza. Giovanni Battista ascoltò la confessione di quelli che venivano a sentirlo predicare. Si trattava solo di prefigurazioni del futuro sacramento, perché il perdono dei peccati è diventato possibile solo grazie ai meriti della passione di Nostro Signore.
Nessuno dubita che Nostro Signore abbia il potere di rimettere i peccati. I Vangeli riferiscono la guarigione del paralitico a Cafarnao. Nostro Signore dapprima ha detto al paralitico che i suoi peccati gli erano rimessi, al che quelli che stavano intorno ridevano di lui. In risposta il Salvatore chiese loro se fosse più facile guarirlo o rimettere i suoi peccati; così lo guarì, «perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra» (Mc 2, 10).
Nostro Signore stava affermando che Dio apparso in forma umana aveva il potere di perdonare i peccati, vale a dire che, servendosi della natura umana che aveva ricevuto da Maria, egli stava perdonando i peccati. C’è qui un’anticipazione del fatto che egli continuerà a perdonare i peccati proprio attraverso l’umanità, cioè attraverso coloro che sono dotati del potere sacramentale per farlo. L’uomo non può rimettere i peccati, ma Dio può perdonarli attraverso l’uomo.
Nostro Signore ha promesso di conferire questo potere di perdonare innanzitutto a Pietro, che ha reso pietra fondante della Chiesa. Egli ha detto a Pietro che avrebbe ratificato in Cielo le decisioni che questi avrebbe preso sulla terra. Alludeva a queste decisioni con le due immagini del «legare» e «sciogliere». A chi deteneva le chiavi del regno era concesso il potere di giurisdizione. Questa promessa fatta a Pietro fu seguita poco dopo da un’altra fatta agli apostoli. La seconda promessa non conferiva il primato, perché questo era riservato a Pietro. Gesù disse loro: «”Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”» (Gv 20, 21-23).
Il nostro divino Redentore qui dice di essere stato mandato dal Padre; ora egli manda loro con il potere di perdonare o non perdonare. Queste parole implicano «ascoltare le confessioni», perché altrimenti come farebbero i sacerdoti della Chiesa a sapere quali peccati perdonare e quali non perdonare, senza prima ascoltarli?
Si può essere certissimi che questo sacramento non sia di istituzione umana, perché se la Chiesa avesse inventato tutti i sacramenti, ne avrebbe certamente abolito uno, cioè il sacramento della Penitenza. Questo a causa della fatica che grava su quanti devono ascoltare le confessioni, sedendo lunghe ore in confessionale ad ascoltare la terribile monotonia della natura umana caduta. Ma poiché esso è di istituzione divina – quale splendida opportunità di restituire la pace ai peccatori e renderli santi!
Si potrebbe domandare perché il Signore chieda di raccontare i peccati. Perché non nascondere la testa in un fazzoletto e dire a Dio che ci dispiace? Bene, se questo modo di chiedere scusa non funziona quando siamo colti da un poliziotto, perché dovrebbe andar bene con Dio? Versare lacrime in un fazzoletto non è prova di dispiacere, perché noi siamo i giudici. Chi sarebbe mai condannato al carcere se ogni uomo fosse il proprio giudice? Quanto sarebbe facile per assassini e ladri sfuggire alla giustizia e al giudizio avendo semplicemente un fazzoletto a portata di mano!
Poiché il peccato è orgoglio, esso richiede umiliazione e non c’è maggiore umiliazione che liberare la propria anima davanti al prossimo. Questa auto-rivelazione ci guarisce da più di una malattia morale. Certe cose che feriscono, fanno più male se restano taciute. Una bolla può essere curata se viene incisa per rilasciare il pus; così anche un’anima in cammino verso la Casa del Padre, quando ammette le proprie colpe e chiede perdono. L’intera natura suggerisce la liberazione di sé stessi. Se lo stomaco assume una sostanza estranea che non può assimilare, la vomita; così avviene con l’anima. Essa cerca di liberarsi da ciò che la opprime, cioè l’insopportabile contraddizione interna.
Inoltre, quando un peccato è riconosciuto e ammesso, perde la sua tenacia. Il peccato appare in tutto il suo orrore quando è visto alla luce della crocifissione. Sopprimi un peccato ed esso sarà sepolto per riemergere più tardi in forma di complessi. È come tenere il tappo su un tubetto di dentifricio. Se uno lo sottopone a una pressione intensa, il dentifricio uscirà da qualche parte, non si sa dove. La direzione ordinaria d’uscita sarà verso l’alto. Così anche noi, se sopprimiamo la nostra colpa o la neghiamo, sottoponiamo a pressione la nostra mente dando luogo a delle aberrazioni. Il peccato non fuoriesce dove dovrebbe, cioè nel sacramento. È per questo che la macchia di Lady Machbeth riemergeva lavandosi le mani. Avrebbe dovuto lavarsi l’anima, non le mani.
Confessione al sacerdote
Ci si potrebbe chiedere: perché confessare i propri peccati a un prete? Forse questo non è neanche santo, come il penitente. Può essere. Ma benché non sia santo nella persona, egli è santo nei suoi poteri, poiché Cristo ha conferito questo potere alla sua Chiesa – solo la Chiesa afferma questo e solo la Chiesa lo esercita. Il sindaco di una città potrebbe non essere buono quanto i suoi cittadini, ma ha il potere che costoro non hanno; così è per il sacerdote.
Inoltre, non è il sacerdote che assolve: egli è solo lo strumento di Cristo. Può forse un uomo perdonare i peccati da sé stesso? No! Può perdonare i peccati un uomo unito a Dio? Sì! È questo il modo in cui Cristo, il Figlio di Dio, ha perdonato i peccati attraverso la sua natura umana. È il modo in cui egli ha perdonato i peccati della Maddalena; in cui ha perdonato i peccati del paralitico e quelli del buon ladrone. Egli ha donato quel potere alla sua Chiesa.
Poiché il sacerdote agisce in nome di Cristo, egli è vincol...

Indice dei contenuti

  1. Nota editoriale
  2. I sacramenti
  3. I. Il sacramento del Battesimo
  4. II. Il sacramento della Confermazione
  5. III. Il sacramento dell’Eucaristia
  6. IV. Il sacramento della Penitenza
  7. V. Il sacramento dell’Unzione degli infermi
  8. VI. Il sacramento dell’Ordine Sacro
  9. VII. Il sacramento del Matrimonio
  10. Epilogo
  11. Conclusione
  12. Indice