Atlante della filosofia
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Il pensiero occidentale dalla A alla Z

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Atlante della filosofia

Il pensiero occidentale dalla A alla Z

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La parola «Atlante» indica quei libri che contengono l'essenziale di alcune scienze, prime fra tutte la geografia e la storia. Questo libro fa qualcosa di simile per la filosofia: una densa e sintetica esposizione di quasi tre millenni di pensiero, con un accenno alle filosofie orientali, ma concentrata sulla storia dell'Europa, dato che la filosofia è invenzione, in senso stretto, del nostro continente, e con un'attenzione precipua al pensiero contemporaneo e al suo rapporto con la religione e le scienze fisiche e umane. Un'esposizione spassionata, sotto forma di schede di agevole consultazione, con una prosa chiara, ma rispettosa del rigore scientifico, delle dottrine dei pensatori più significativi e delle scuole più importanti inquadrate nel proprio contesto socio-culturale, con le loro risposte alle domande fondamentali: il senso dell'essere, l'essenza delle cose, la situazione e il destino dell'uomo nel cosmo. La filosofia non è un optional dell'uomo, ma una delle manifestazioni più alte della sua spiritualità, l'unica via per aggiungere un «supplemento di anima» a una civiltà in cui prevalgono, distruttivamente, una scienza neutrale e una tecnologia di dominio.

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2019
ISBN
9788881558575

Premessa






Intendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è, è la ragione. Ciascun individuo è, senz’altro, figlio del proprio tempo; e anche la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero.

HEGEL, Filosofia del diritto, prefazione



Il mitico titano Atlante reggeva sulle sue spalle il mondo. La parola è stata poi usata per indicare quei libri che contenevano l’essenziale di alcune scienze, prime fra tutte la geografia e la storia. Ho pensato di fare qualcosa di simile per la filosofia: una densa e sintetica esposizione di quasi tre millenni di pensiero, che hanno interessato tutte le civiltà, anche se solo quella europea, a partire dalla Grecia, ha avuto in senso forte ciò che si chiama «filosofia», la cui storia è appunto narrata da questo Atlante. Una densa e sintetica «cronaca» del «viaggio», che dura da 2.600 anni, della filosofia europea, redatta in 197 fotografie, che offrono il contributo dei pensatori più significativi e delle scuole più importanti. Nessuna polemica o esaltazione, ma una esposizione il più possibile spassionata di quelle dottrine che verranno salutate come verità e di quelle che verranno rifiutate come errori.
Ho cercato di far parlare i pensatori in prima persona e nella loro autenticità. Con una prosa che spero facile e chiara, ma anche rispettosa del rigore scientifico, presento le risposte date dalle diverse dottrine filosofiche alle domande fondamentali della filosofia: il senso dell’essere, l’essenza delle cose, la situazione e il destino dell’uomo nel cosmo. Quelle domande che Kant ha riassunto nella conclusione della sua opera maggiore: che cosa posso sapere? che cosa debbo fare? che cosa posso sperare? Vi sono brevi riferimenti alla filosofia prima dei greci, ma la cornice che racchiude il «racconto» è la storia dell’Europa, fatta coincidere con quella della filosofia, invenzione, in senso stretto, del nostro continente. Il discorso sulla filosofia si estende, nell’ultima parte, la più lunga, a quello sulle scienze fisiche e umane, particolarmente sviluppate nell’Otto e Novecento.
Windelband, all’inizio della sua famosa Storia della filosofia (1892), ha scritto che ogni sistema filosofico nasce da tre fattori: la situazione storica, i pensatori precedenti e la genialità del pensatore. Ecco perché questo Atlante collega sempre i filosofi e le loro scuole con il momento sociale e culturale in cui operarono, senza dimenticare il rapporto della filosofia con quelle due attività spirituali, con cui maggiormente ha dovuto intessere rapporti non sempre facili né pacifici: la religione e la scienza. Vi sono state epoche in cui la filosofia costituiva il fondamento della cultura e della educazione, altre, come anche la nostra, in cui la filosofia, se non è proprio assente, vive nella marginalità o nella subordinazione ad altre attività spirituali.
Ha osservato Heidegger: «Lungo è il tempo di povertà della notte del mondo. Nel mezzo di questa notte, la povertà del tempo giunge al suo apice. Allora il tempo misero non si rende neppure più conto della propria indigenza. Questa incapacità per cui la stessa indigenza della povertà è dimenticata, è la vera e propria povertà del tempo» (Sentieri interrotti, 1950). Parole amaramente vere. Ma non meno veri sono il malessere prodotto e sofferto dalla cosiddetta «morte della filosofia», come anche l’attesa e la speranza di un suo ritorno, di cui tante manifestazioni della nostra cultura, ambivalente e conflittuale, ci offrono segni palesi. La filosofia non è un optional dell’uomo, ma una delle manifestazioni più alte della sua spiritualità. Come aveva compreso Hegel: «Un popolo civile senza metafisica è simile a un tempio riccamente ornato, ma privo di santuario» (Scienza della logica, 1812-16).

1. Quando è nata la filosofia



Alla domanda: «quando è nata la filosofia», la risposta più frequente è: «con i greci». Si tratta di una risposta, insieme, giusta e meno giusta, a seconda che il termine «filosofia» venga inteso in senso stretto o in senso vasto. Nel senso vasto del termine la filosofia, come capacità di chiedersi ragione dell’universo che lo circonda, è propria dell’uomo molto prima dei greci. L’uomo, infatti, è un ente che si meraviglia della esistenza del cosmo ed è naturalmente portato a chiedersi il «perché» delle cose. In tal senso la filosofia non è nata con i greci, ma con l’homo sapiens. Ecco perché sentiamo parlare di una filosofia indiana, egiziana, ebraica. Gli antropologi Placido Tempels e Marcel Griaule hanno parlato anche una «filosofia dei bantù» (ceppo etnico-linguistico africano) e di una «metafisica dei Dogon» (popolazione africana del Mali).
Se, invece, intendiamo filosofia in senso stretto e forte, allora non v’è traccia di essa prima dei greci. Come ha scritto un grande storico, Werner Jaeger, «con i greci per la prima volta si costituisce un ideale di cultura come consapevole principio fondativo. Il “miracolo greco” è la filosofia come chiara visione delle norme costanti, su cui si basa ogni accadimento e mutamento nella natura e nel mondo umano. Il greco è il popolo filosofo fra tutti» (Paideia. La formazione dell’uomo greco, 1947). Le «filosofie» pregreche erano concezioni sapienziali, nelle quali elementi religiosi, scientifici e filosofici si mescolavano. La razionalità e la capacità di connettere causa ed effetto non mancavano neppure al pensiero primitivo, anche se in esso prevaleva una «anima» partecipativa, che induceva a stabilire con ogni essere della natura dei rapporti personali e vitali. Ma la «filosofia», prima dei greci, non si era ancora costituita come forma di spiritualità autonoma rispetto al mito religioso (e qualcosa di simile era anche presso i greci, prima che inventassero la filosofia).
Filosofia è parola greca: da phílos (amico) e sophía (saggezza), significa «amore per la saggezza». Cicerone (Conversazioni di Tuscolo, V, 3) ne considera inventore Pitagora. I due più importanti filosofi della Grecia fanno nascere la filosofia dalla «meraviglia». L’uomo, come ogni altro animale, si nutre, si difende dai nemici e dal freddo, si riproduce. Ma, in più di loro, è un «animale curioso». Possiede, dunque, una qualità unicamente sua, quella di «meravigliarsi» del mondo e di sé stesso. Già il fanciullo si chiede il «perché» di tutto ciò che vede, che nell’adulto diventa la «meraviglia» per tutto ciò che esiste: «Di certo è tipico del filosofo l’essere pieno di meraviglia (thaumázein) e il principio della filosofia è appunto la meraviglia» (Platone, Teeteto, 155 d); e Aristotele: «Gli uomini furono mossi a filosofare dalla meraviglia, rimanendo prima stupiti dinanzi ai problemi più semplici, e poi progredendo a poco a poco sino a porsi problemi molto più alti» (Metafisica, 982 b). Una origine riconfermata da Tommaso d’Aquino: «Lo stupore (admiratio) è il desiderio di sapere qualcosa: esso nasce nell’uomo per il fatto ch’egli vede l’effetto e ignora la causa; oppure per il fatto che la causa di quell’effetto trascende la conoscenza o la capacità dell’uomo. Perciò lo stupore è causa di piacere, in quanto gli è congiunta la speranza di poter giungere alla conoscenza di ciò che si desidera sapere» (Summa theologiae, II, I, 32).
La filosofia, dunque, è figlia di quel «perché», che unicamente l’uomo enuncia e che non riguarda solo i fenomeni della natura: «perché piove, nevica, fa caldo, ecc.», ma anche l’universo nella sua unità. È uno «stupore ontologico»: «La fonte, che alimenta ogni ricerca metafisica, è la meraviglia che qualcosa in genere sia e non piuttosto il nulla» (Max Scheler, L’eterno nell’uomo, 1921). Esso si traduce, secondo Martin Heidegger, nella domanda filosofica fondamentale: «Perché esiste in generale l’essente e non invece il nulla?» (Che cos’è la metafisica, 1953). In questo senso, filosofi sono tutti gli uomini e gli uomini soltanto.
Aristotele, nella Esortazione alla filosofia, ha mostrato che l’uomo non può fare a meno di filosofare. Chi vuole filosofare, fa filosofia; ma anche chi vuole rifiutare la filosofia, deve darne una ragione, cioè deve anch’egli fare filosofia. La filosofia non appartiene solo alla classe dei filosofi «di professione», ma all’homo sapiens, in quanto vivente dotato di ragione (lógos). L’esigenza filosofica permane dentro ogni uomo, nella nostra epoca come in ogni altra (ci dice Karl Jaspers): «La deliberazione di una condotta filosofica della vita nasce dalla oscurità in cui il singolo si trova, dallo smarrimento in cui brancola senza amore, dall’oblio di sé derivantegli dalla dispersione nell’indaffaramento, quando, improvvisamente risvegliato, impaurito, si chiede: Che sono io? Che cosa mi manca? Che debbo fare?» (Introduzione alla filosofia, 1950). Quando l’uomo risponde, si apre alla Trascendenza e diventa sé stesso.
La filo-sofia, in quanto amore della saggezza, non è la saggezza, il philó-sophos non è il sophós, come insiste Platone: «Chiamarlo sapiente mi sembra eccessivo, questa parola conviene solo a un Dio; ma chiamarlo amico della sapienza o qualcosa di analogo, è quanto meglio si adatta alla sua natura» (Fedro, 268 d). La filosofia, dunque, è la tensione verso una saggezza che, nella sua totalità, non è mai del tutto raggiungibile. La filosofia è ricerca della verità, essa non parte dalla certezza, ma dal dubbio. Socrate più di ogni altro ha considerato il dubbio come il primo passo del filosofo, che egli (Platone, Menone, 80 a) paragona al «pesce elettrico»: chi lo tocca riceve una scossa, che lo scuote dal torpore e lo stimola alla ricerca di quella verità, che il filosofo non possiede e non comunica. La sacerdotessa di Delfi avrebbe detto che l’uomo greco più sapiente di tutti era Socrate ateniese. Socrate stesso interpretò questo oracolo nel senso che questa «sapienza» andava intesa come sapere di non sapere: «L’uomo più sapiente? Chi riconosce che in verità la sua sapienza non ha nessun valore. Sapiente, infatti, è unicamente Dio» (Apologia, 21 a).

2. Caratteri della filosofia



La filosofia è in primo luogo un sapere critico: essa pone in crisi ogni certezza prestabilita, dubita e ironizza su tutto. In questo senso Hegel dirà (Enciclopedia delle scienze filosofiche, 1830) che la filosofia è sempre un inizio, in quanto non può avere «presupposti». Le scienze rivolgono la loro indagine a oggetti esistenti (metallo, fiore, animale). La filosofia non ha un suo specifico campo di indagine. Ciò che la caratterizza non è l’oggetto, ma il metodo con cui essa indaga ogni og­getto: essa è «la considerazione pen­sante degli oggetti». Il «dubbio me­todico» (ossia come strumento della certezza) non è una invenzione di Cartesio, ma una caratteristica della filosofia, la quale non si appaga delle evidenze sensibili o delle certezze indiscutibili, ma tende alla comprensione razionale. I greci inventarono la fi­losofia quando passarono dal mŷ­thos al lógos (dal racconto religioso alla ragione critica).
Ciò spiega perché spesso la filosofia sia entrata in conflitto con le religioni. Il metodo di indagine razionale non poteva non mettere in contrasto i filosofi con le autorità religiose e politiche, necessariamente preoccupate di difendere la loro tradizione. La religione è fede in una verità indiscutibile e il filosofo, che dubita di tutto, non può che insospettire la casta sacerdotale, che non di rado lo considera un ateo: Socrate, come è noto, fu condannato a morte perché «negava gli dèi della città». Ma già prima di lui Anassagora per lo stesso motivo fu cacciato da Atene.
Le religioni hanno offerto le prime risposte alla domanda sul senso e sul fine della vita. Ma la filosofia seguirà una via diversa, distinta e anche opposta a quella della religione: nella religione prevale il tema della salvezza, nella filosofia quello della conoscenza; la prima prende il via dalla rivelazione e dalla fede, la seconda dalla ragione e dalla ricerca critica; la certezza raggiunta è totale nella religione, rimane problematica nella filosofia; la quale si esprime per concetti, non come la prima per immagini e simboli. Religione e filosofia, ci dice Pascal, hanno due divinità diverse: il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe; e quello dei filosofi e degli scienziati (Memoriale, 1654). Nelle forme più alte della religione e della filosofia le due divinità non si escludono reciprocamente. Ma restano diverse.
La filosofia non è solo sapere critico. Essa è anche sapere sintetico. È vero che ogni sapere è, in qualche modo, sintetico, dato che non può non servirsi di categorie generali, i «concetti»: «Boby» (individuo) è un «cane» (genere). Ma il sapere della filosofia è sintetico in senso pieno, in quanto non ha come oggetto gli «enti», ma l’«essere». Nel dialogo La repubblica (475 b) Platone spiega al suo interlocutore Glaucone che cosa sia la filosofia: è una attività che non cerca un ramo della sapienza, ma l’intera sapienza (sophía pâsa); filosofo è colui che è in grado di conoscere «ciò che è nel modo in cui è» (ho ésti to on). E Aristotele: «il sapiente conosce tutte le cose, per quanto ciò è possibile» (Metafisica, 982 a). Cartesio, nella seconda delle Meditazioni metafisiche, prende in esame il concetto di «cera». Esso designa una materia informe, che l’esperienza mi mostra solo nelle forme diverse ch’essa può assumere. Ne consegue che nessuna esperienza sensibile mi mostra quella cera, che rimane identica nonostante le sue trasformazioni. Posso dunque definirla solo con l’intelletto, ossia con una conoscenza filosofica: «È la stessa cera che io vedo, tocco, immagino. Ma la sua percezione non è un vederla, né un toccarla, né un immaginarla. Essa deriva da una visione della mente (inspection de l’esprit)». Una «visione» che non ha come oggetto tutte le cose, ma il Tutto delle cose.
I greci non inventarono solo la filosofia, ma anche le scienze (e filosofia e scienza, all’inizio, non si distinguevano molto tra di loro). Ora le scienze si occupano degli enti e delle loro connessioni costanti, mentre la filosofia è la risposta a ciò che Heidegger chiamerà la domanda sull’essere (Seinsfrage). Essa non indaga le cose, ma la totalità delle cose; non gli enti, ma l’essere degli enti: non i perché, ma il Perché (ossia il Perché-dei-perché). La filosofia, dunque, ha un solo oggetto: l’essere, anche se i filosofi lo chiameranno con nomi diversi: Idea del Bene (Platone), Motore immobile (Aristotele), Uno (Plotino), Sostanza (Spinoza), Spirito (Hegel), in ogni caso l’oggetto della filosofia è il Principio assoluto.
La filosofia è sempre, nella sua tendenza, riduzione del molteplice all’unità (reductio ad unum), è una visione sistematica, che abbraccia tutto il cosmo (una Weltanschauung, cioè una visione del mondo). In tal senso Hegel ha potuto scrivere nella Fenomenologia dello spirito (1807): «Il vero è l’intero» («Das Wahre ist das Ganze»). E Max Scheler (L’eterno nell’uomo, 1921) ha potuto definire la filosofia come «l’audacia della ragione, che si spinge sino alla certezza assoluta».
Un grande storico della filosofia, Wilhelm Windelband, nei suoi Preludi (1884), ha mostrato che soltanto presso i greci si trova per la prima volta una «curiosità» per il conoscere. Lo spirito greco si libera dagli affanni della vita e inizia una ricerca volta a conquistare un sapere per amore del sapere stesso, come è chiaro dalla prima pagina della Metafisica di Aristotele: «Tutti gli uomini sono volti per natura alla conoscenza. Ne è un segno evidente la gioia che essi provano...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. Elenco dei nomi degli autori e delle correnti trattate