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"Non basta più dire come una volta: «Dio si è fatto uomo affinché l'uomo diventi Dio» – occorre aggiungere che Dio si è fatto uomo perché l'uomo resti umano, e che essendo divinizzato, sia sempre più umano ancora"."L'ultima lezione del Verbo incarnato è stata di rifare gesti semplici e con ciò insegnare ai discepoli a non vedere più lui, ma a vedere ogni cosa in lui, e riconoscere la sua gloria ovunque affiori nel quotidiano".

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2017
ISBN
9788881557417
Emmaus, collana di spiritualità
nuova serie



Nella stessa collana:

Fernando Ocáriz, Carità senza Dio?
Alvaro del Portillo, Figli di Dio, figli della Chiesa
Antonio Maria Sicari, La verità dell’amore
Vittorio Messori, Ipotesi su Maria
Fernando Ocáriz, La Chiesa, mondo riconciliato
Antonio Maria Sicari, Come muoiono i santi. 100 racconti di risurrezione
Gerhard Ludwig Müller, La Croce è Vita
Mauro Leonardi, Il Signore dei sogni. Il patriarca Giuseppe, Giuseppe sposo di Maria, Josemaría Escrivá
Javier Echevarría, Eucaristia & vita cristiana
Antonio Aranda, Una «nuova» evangelizzazione
Francisco Fernández-Carvajal, La direzione spirituale
Livio Fanzaga, Il Paradiso
Javier Echevarría, Vivere la santa Messa
José Luis Illanes, Cristo speranza del mondo
Giovanni d’Avila, Audi, filia
Alfred Monnin, Spirito del curato d’Ars
Javier Echevarría, Getsemani
Antonin Massoulié, La preghiera & le virtù in san Tommaso d’Aquino

Fabrice Hadjadj

RISURREZIONE

Istruzioni per l’uso





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Titolo originale: Résurrection, mode d’emploi
© Magnificat SAS, 15-27, rue Moussorgsky, 75018 Paris, 2016

Per la presente edizione:
© 2017 Edizioni Ares
Via A. Stradivari, 7 - 20131 Milano

Traduzione italiana di Flora Crescini

Il nostro indirizzo internet è:
www.ares.mi.it
La nostra e-mail è:

ISBN 978-88-8155-741-7

In copertina: Mark Rothko, Yellow and Blue (Yellow, Blue on Orange), 1955 Carnegie Museum of Art, Pittsburgh.


INTRODUZIONE



Sono sempre stato credente. Ed è abbastanza comprensibile: provengo da una famiglia piuttosto atea. Perciò dapprima ho creduto ai miei genitori come a degli dèi (non ho dovuto distruggere l’idolo, si è infranto abbastanza presto da solo). Ho anche creduto in Chantal Goya, quando cantava «Questa mattina, un coniglio ha ucciso un cacciatore». Ho creduto in Actarus, il principe Duke Fleed, che pilotava Goldrake. Ho creduto in Charles Ingalls e alla sua Casetta nella prateria (per poco tempo, purtroppo: abitavo al centro dei grattacieli de La Défense). Ho creduto poi alla playmate del mese, in Playboy (o Newlook che vuol dire «nuovo sguardo»). Ho creduto che i cibi crescessero direttamente sugli scaffali del supermercato (e fatico ancora a immaginare il tempo che realmente occorre perché un tacchino ingrassi o una mela maturi). Ho creduto per un istante che il mio organo sessuale non fosse altro che un genere e una fiction (ma l’istante successivo ho visto passare una ragazza molto carina e la fiction mi è apparsa reale come un albero in primavera). Ho creduto alla Rivoluzione francese e alla Rivoluzione socialista, anche se mio padre non faceva parte della Confederazione Democratica del Lavoro...
Ben presto ho creduto in Nietzsche, certo con ciò di essere Al di là del bene e del male, e in Georges Bataille, benché troppo timido per impegnarmi totalmente nella disciplina dell’orgia. Allora ho creduto in Hegel, per cercare di ricapitolare i momenti anteriori della mia credenza e poi, ritornato dal «sapere assoluto», ho creduto in Céline, che predicava il vangelo del Viaggio al termine della notte. Ho creduto, al tempo stesso, nel buddismo zen – lo confesso – e mi sono seduto con direttori commerciali e maestre in menopausa, per ammettere la meraviglia della mia intima vacuità. Con tutto ciò, certamente, credevo molto in me stesso, e soprattutto credevo di non essere credente.
E un bel giorno, pluf! tutto questo misticismo è stato trascinato via dal torrente della vita. Ho riscoperto di essere ebreo e francese, per scoprire subito dopo, in vecchi libri francesi, che Dio si era fatto ebreo. E così sono diventato cristiano. E per giunta cattolico. È stata la fine del tempo della mia credulità. E l’inizio di una molto profonda – e umiliante – oggettività.

Principio di realtà

La fede in un certo falegname galileo, di nome Gesù, morto e risorto a Gerusalemme «sotto Ponzio Pilato» – ossia in una piccola provincia dell’Impero, governata da un piccolo funzionario dell’amministrazione romana – è stata molto efficace nel farmi rimettere i piedi per terra. Questa fede è troppo circostanziata per permetterci voli tra le astrazioni delle «scienze» o delle «spiritualità». Il fatto della Risurrezione, soprattutto, è un principio di realtà molto severo. Coloro che vi hanno creduto erano pescatori che sapevano riparare le loro reti, muratori capaci di costruire cattedrali, monaci abili nel dissodare e arare campi, vale a dire persone estremamente pratiche e concrete. Credere al Risorto era per loro solido come piantare grano o costruire una basilica romanica. E anche più solido, perché si appoggiavano su questa fede per erigere la volta e il crinale del tetto.
I Vangeli della Pasqua vanno tutti in questa direzione. Prendono contropelo le nostre chimere. Immancabilmente, se dovessimo immaginarci un uomo entrato nella gloria divina, ce lo rappresenteremmo come uno che fa cose straordinarie – che splende meglio di una vedette alla cerimonia degli Oscar, che gioca con le stelle, che stabilisce un’armonia tale che il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto (Is 11, 6)... Ebbene, bisogna arrendersi all’evidenza: Gesù risorto non fa nulla di tutto ciò. Salvo una rete così piena di pesci da scoppiare e un’ascensione a proposito della quale due uomini vestiti di bianco gelano gli astanti gridando loro: «Perché state a guardare il cielo?» (cfr At 1, 11) – non compie miracoli. O, se ne compie, sono miracoli al rovescio, nel senso della discrezione, del riserbo, dell’anonimato.
Curiosamente, dopo la sua Risurrezione, non solo risplende meno che al momento della trasfigurazione sul Tabor, ma non ha neanche più il carisma di prima: Maria Maddalena sul momento lo scambia per un semplice giardiniere, i discepoli di Emmaus per il più ignaro degli abitanti di Gerusalemme, gli Apostoli per una specie di pescatore in pensione sulla riva del lago di Tiberiade... Ha superato il trapasso, è risalito dagli inferi, e ci tiene, malgrado tutto e con un pudore inspiegabile, a manifestarsi come un passante: «Stette in mezzo a loro» (cfr Lc 24, 36; Gv 20, 19 e 26). Gli evangelisti insistono su questa modestia. In mezzo a loro vuol dire con una familiarità sorprendente, più sorprendente di ogni apparizione fantastica, perché, in quest’ordine di cose, è un’apparizione fantastica che ci si aspetta.
E la si aspetta a tal punto, questa apparizione fantastica, che non si legge più quello che c’è scritto: ci si immagina che abbia attraversato i muri, che abbia pronunciato parole esoteriche, che si sia presentato come un super passa-muri aureolato di luce. Ma no. Semplicemente è stato là. Dice loro: La pace sia con voi, che è come dire buongiorno. Ha spezzato il pane, ha mangiato il pesce arrostito, ha condiviso il loro pasto. Ha commentato loro le Scritture, come si racconta a tavola un’avventura capitata poco prima. E invece di fare una dimostrazione di forza – piegando per esempio una sbarra di ferro con la potenza del pensiero – ha mostrato le sue piaghe. Di solito, nei miracoli le piaghe scompaiono; qui restano, eternamente.

Il reale alla fonte

In fondo, c’è di meglio che fare cose straordinarie: è illuminare l’ordinario dall’interno. E Gesù non potrebbe fare altrimenti se è proprio il Verbo creatore e redentore – lo stesso che crea, lo stesso che salva, e lo stesso che salva ciò che ha creato, altrimenti non salverebbe nulla (nessuna «tabula rasa» qui, ma una tavola che assume «il frutto della terra e del lavoro degli uomini»). L’ordinario l’ha inventato lui, come una cosa che nessuno prima di lui aveva fatto. Come potrebbe disprezzarlo? Dunque lo riscatta, lo rialza, ne fa venir voglia. Certo, qua e là si è lasciato andare a prodigi impressionanti e anche abbastanza numerosi, come guarire malati per semplice contatto della veste o nutrire migliaia di affamati con uno spuntino per due persone. Ma bisogna ammettere che, rapportati al periodo del suo soggiorno quaggiù (pochi momenti nei tre anni della vita pubblica contro trent’anni di vita nascosta, senza rumore), soprattutto per uno che è Onnipotente, sono effetti, tutto sommato, limitati. E per buone ragioni! Se avesse fatto sorgere dalla terra un’intera città, si rischierebbe di dimenticare che Egli sta già creando l’intero universo. Se con uno schiocco di dita avesse fabbricato delle tettoie, si finirebbe per non comprendere che in un batter d’occhio ha fatto molto meglio: uomini con tutte le loro membra, e che inventano, con l’energia da lui ricevuta, l’arte della falegnameria. Mosè può col suo bastone aprire il Mar Rosso. Gesù, in quanto Verbo eterno, è l’autore di tutto il Mar Rosso, perfino del più piccolo scintillio della più piccola onda, tanto che la cosa più stupefacente da parte sua non è di fendere il mare con un gesto, né di calmare una tempesta (che cosa c’è di più naturale?), ma di domandare un bicchiere d’acqua alla Samaritana.
Così i suoi miracoli finiscono sempre con lo smascherare lo spettacolare. Il Redentore non potrebbe eclissare il Creatore, poiché è il solo e medesimo Dio. Ecco perché i suoi atti straordinari non hanno come scopo di sviare, ma di ricondurre all’ordinario – nella sua provenienza e nella sua provvidenza insondabili. Quando ridona la vista al cieco, è perché si meravigli di vedere come tutti. Quando guarisce la suocera di Pietro, è perché Pietro possa ammirare sua suocera (miracolo di secondo grado). Quando fa uscire Lazzaro dal sepolcro, è perché Lazzaro possa poi morire ancora, in piena verità.
Gli orari degli appuntamenti sono necessari per permettere l’inatteso dell’incontro, ma nulla impedisce di derogarvi per sottolineare il senso di una puntualità che, a lungo andare, potrebbe sembrarci meccanica e fastidiosa. Un bravo direttore scolastico, che ha stabilito l’utilizzo del tempo, può eccezionalmente sospenderlo per organizzare una festicciola improvvisata, nella quale ricorderà che se la campanella suona non è perché gli allievi rientrino nei ranghi, ma per permettere invece l’improbabile confronto tra il professore barbuto e lo scaldabanchi col cappellino da baseball, che mai, altrimenti, avrebbero pensato di incontrarsi. Così il miracolo non sospende il corso ordinario delle cose, se non per riaprire i nostri occhi chiusi dalla routine e svelare il dono nascosto dietro il trantran abituale. Scaturisce dalla sorgente del reale più direttamente del reale stesso: il reale allora alza i suoi veli e fa intravvedere la sua vertiginosa originalità. Nulla di più normale che avere gli occhi nelle orbite: non ce ne stupiamo più. Ma quando per miracolo il cieco nato comincia a vedere come tutti, la vista ci appare per quello che veramente è: un dono che viene dall’Invisibile. E così via, di pari passo, la suocera appare come un favore dell’Eterno, e la morte come possibilità di suprema offerta...

Gloria & quotidiano

Tocchiamo qui uno dei problemi più importanti dell’esistenza, qualcosa che assomiglia alla quadratura del cerchio e che si potrebbe chiamare la riconciliazione tra la gloria e il quotidiano. Senza dubbio vi è una certa mediocrità nell’accontentarsi del quotidiano e nel non ambire alla gloria. Ma vi è anche bassezza nel gioire della gloria di indorarsi sotto i riflettori, senza più essere riconoscenti per il sole di ogni giorno. Quanti artisti hanno trovato l’ispirazione, perché volevano evitare di passare l’aspirapolvere? Quanti filosofi hanno forgiato potenti teorie sull’Uomo, perché volevano evitare di vivere con una donna? Alcuni conquistatori hanno costruito imperi per l’incapacità di coltivare un giardino. Alcuni scrittori hanno prodotto capolavori, per paura di dover educare i figli. Quanto ai futuri superuomini, sono certamente i più inetti di tutti. Le loro protesi bioniche ignorano la rivoluzione di una semplice carezza, o la felicità di fabbricare un mobile con le proprie mani. Se desiderano connessioni permanenti con memorie di 1000 megabit, è perché non hanno mai saputo guardare gli uccelli del cieloosservare i gigli del campo (Mt 6, 26 e 28). E se, grazie a un controllo sanitario ininterrotto, sperano di diventare immortali, è perché non hanno niente a cui dare la propria vita (ecco perché questi immortali vivranno meno a lungo di molti mortali: abbastanza presto avranno voglia di darsi agli ultimi progressi dell’eutanasia). La loro ossessione dei super-poteri è il marchio della loro impotenza: non riescono a cogliere l’incredibile del visibile, il presente di ogni presenza, l’impressionante di ogni impressione, il sensazionale di ogni sensazione...
Il Risorto non è uno di questi superuomini. La sua gloria sposa il quotidiano. Non appena ha raggiunto il vertice della perfezione, non trova nulla di meglio che ritrovarsi tra i suoi amici, per conversare e mangiare con loro. Ci tiene a mostrarsi semplicemente umano, e questo basterebbe da solo a provare che è Dio (perché un semplice umano non vuole apparire come un semplice uomo, e ha anche la spiacevole tendenza a farne delle grosse per apparire come un dio). Il Risorto non gioca con le stelle perché le stelle sono già il suo gioco. Non brilla come una vedette, perché vuole illuminare il faccione rubicondo del primo venuto. E fa già in modo che il lupo dimori insieme con l’agnello, la pantera si sdrai accanto al capretto, perché invia i suoi discepoli come agnelli in mezzo ai lupi (Lc 10, 3) e mi permette di andare a letto fedelmente con mia moglie (non dirò chi dei due è la pantera).

Alzarsi al mattino

Questa è dunque la tesi che innerva questo piccolo libro: le apparizioni del Risorto hanno un carattere eminentemente pratico. Non sono fantasmagorie per fuggire l’hic e speculare sui lontani; esse ci riconducono all’amore del prossimo, ci insegnano a vedere le cose dall’alto, ossia non cose diverse dalla quotidianità dei mortali, ma le stesse cose a partire dallo Spirito. Giovanni osserva che in ciò sta l’essenziale: Non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato (Gv 7, 39). E Gesù lo esplicita nel suo ultimo discorso prima della Passione: È bene per voi che io me ne vada, se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi (Gv 16, 7).
La Pasqua si compie nella Pentecoste. Si può uscire dall’Egitto, ma questa liberazione sarebbe il più grande disastro se ogni ebreo avesse abbandonato la schiavitù solo per diventare un piccolo Faraone. Si può ammirare la vittoria del Risorto, ma la sua ascensione sarebbe il più grande smacco se il fedele si disfacesse della paura della morte solo per diventare un mostro d’orgoglio, per disprezzare le opere del Creatore e ignorare l’umiltà del Messia. La glorificazione di Gesù deve sfociare sulla sparizione del Risorto e sull’invio del suo Spirito, che fa vivere il quotidiano a partire dal suo zampillare, da e verso l’Ineffabile.
Le parole che traduciamo solennemente con «risuscitare» (egeirô, anistêmi) nella lingua greca rimandano ad azioni ordinarie: alzarsi, svegliarsi, mettersi in piedi. L’angelo Gabriele le usa con Giuseppe: Alzati, prendi con te il bambino e sua madre (Mt 2, 13). Gesù con il paralitico: Alzati, prendi la tua barella e cammina (Mc 2, 9). Tenersi sulle due gambe: che cosa c’è di più banale? Solo un ex paralitico può ricordarci che è un privilegio. E un privilegio raddoppiato dal fatto di aggiungervi le braccia e di essere passato dall’essere infermo all’essere barelliere (cosa che il barelliere abituale dimentica spesso, perché crede di essere nella posizione di soccorritore, mentre è innanzitutto nella posizione di essere soccorso da Dio). La barella che un tempo lo trasportava, è ora issata dall’ex paralitico come insegna di un’incomparabile delizia. In ciò, è più forte del Cyborg stanco di aver le gambe, e che vorrebbe sostituirle con dei reattori.
Nello stesso ordine di idee, che cosa c’è di più ordinario che essere padre? Perfino nostro padre ci è riuscito, si fa per dire! Così noi crediamo facilmente che sia molto meglio essere esperto in un particolare settore, preferibilmente innovativo. Eppure né Giuseppe né Maria lavorano in un settore di questo genere. La sacra famiglia ci ricorda che, più dell’invenzione tecnologica o anche artistica, la paternità e la maternità sono il compimento e la novità eterna. Gli angeli discendono dal cielo per cose altrettanto banali, mentre non si muovono per la fabbricazione di un’intelligenza artificiale superiore (se non forse per metterla «fuori uso»).
Quando la macchina si perfeziona, è soprattutto perché noi possiamo restare sotto le coperte a divertirci con film di evasione. Ma che Cristo risusciti, è innanzitutto perché possiamo alzarci il mattino, semplicemente, e rendere grazie – e in ciò non potrebbe sostituirci la macchinetta per il caffè.

Istruzioni per l’uso di queste istruzioni per l’uso

Esiste già una pubblicazione tristemente famosa che si intitola Suicidio, istruzioni per l’uso: contiene il repertorio di tecniche abbastanza sbrigative per farsi fermare il cuore o saltare il cervello*.
Ahimè, con la Risurrezione non possiamo pretendere una simile efficacia. Se è relativamente facile porre fine ai propri giorni, in compenso è molto più duro darvi inizio. Non ci si tira fuori da tre metri sotto terra come ci si getta dal sesto piano. Sono capace di eliminarmi dai viventi, non di risuscitarmi dai morti.
Questa impossibilità corrisponde anche a un’altra impossibilità molto diffusa: quella di essermi dato io stesso la vita. In effetti, è tanto impossibile risuscitarsi quanto farsi nascere. E tuttavia – cosa incredibile per il nostro orgoglio! – siamo nati. Certamente si controbatterà che farsi nascere è impossibile all’uomo considerato come individuo, ma non all’uomo considerato come specie (perché abbiamo già fatto nascere, evidentemente, un certo numero di figli), mentre risuscitare è impossibile sia alla specie sia all’individuo. Risponderò che l’analogia ha certamente dei limiti, ma – da un certo pun...

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