Parlare con Dio IV
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Vol. IV

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NUOVA EDIZIONE - SOLO IN FORMATO EBOOKParlare con Dio: non è un obiettivo riservato a gente speciale. Da tutti Dio aspetta amore. Dall'imprenditore al chirurgo, alla segretaria, al commerciante, all'impiegato, al sacerdote, alla professoressa, alla casalinga, allo studente: tutti chiamati a comportarsi da figli di Dio e a rivolgersi a Lui come a un Padre, ogni giorno, per confidargli i più intimi sentimenti e ricevere da Lui la risposta più appropriata. Francisco Fernández-Carvajal ha composto uno straordinario sussidio per la preghiera personale: una raccolta di meditazioni, una al giorno per tutto l'anno, che partono dalle letture della Messa quotidiana e, sulla falsariga dell'Antico e del Nuovo Testamento, convocano la tradizione cristiana, dai Padri della Chiesa ai migliori autori di spiritualità, per presentare, nel volgere dei tempi liturgici e delle epoche dell'anno, tutti i temi di cui un cristiano ha motivo di trattare nell'intimità con suo Padre Dio.DettaglioVolume I: Avvento. Natale. Epifania. Quaresima. Settimana Santa. PasquaVolume II: Tempo ordinario (settimane dalla I alla XV)Volume III: Tempo ordinario (settimane dalla XVI alla XXIX)Volume IV: Tempo ordinario (settimane dalla XXX alla XXXIV). Feste e Santi

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2020
ISBN
9788881559688
Francisco Fernàndez-Carvajal


Parlare con Dio


Meditazioni per ogni giorno dell'anno

Tempo ordinario (III)
Settimane XXX-XXXIV
Feste e santi


logoares3

Nota editoriale

«Mi hai scritto: “Pregare è parlare con Dio. Ma, di che cosa?”. – Di che cosa? Di Lui, di te: gioie, tristezze, successi e insuccessi, nobili ambizioni, preoccupa­zioni quotidiane... debolezze! E atti di ringraziamen­to e suppliche: e Amore e riparazione. In due parole: conoscerlo e conoscerti: “frequentarsi”!»; «Non sai pregare? – Mettiti alla presenza di Dio, e non appena comincerai a dire: “Signore,...non so fare orazio­ne!...”, sii certo che avrai cominciato a farla» (san J. Escrivá). Parlare con Dio: non è un obiettivo riservato a gente speciale. Da tutti Dio aspetta amore. Dall’imprendi­tore immerso in delicate trattative al chirurgo che quotidianamente conosce la tragedia delle vite appe­se a un filo, al commerciante che riempie la sua bottega dei migliori prodotti, alla segretaria che pas­sa ore sul computer, all’impiegato che prende il pri­mo treno all’alba, alla professoressa che deve correg­gere l’ultimo compito in classe, alla casalinga indaf­farata tra i bambini e le pentole, allo studente che ha previsto tre esami entro la prossima sessione: tutti chiamati a comportarsi da figli di Dio e a rivolgersi a Lui come a un Padre, ogni giorno, per confidargli i più intimi sentimenti e ricevere da Lui la risposta più appropriata. Questa è preghiera cristiana, orazione personale, fiduciosa, attenta, innamorata. Francisco Femandez-Carvajal ha composto uno straordinario sussidio per la preghiera una raccolta di meditazioni, una al giorno per tutto l’an­no, che partono dalle letture della Messa quotidiana e, sulla falsariga dell’Antico e del Nuovo Testamento, convocano la tradizione cristiana, dai Padri della Chiesa ai migliori autori di spiritualità, per presenta­re, nel volgere dei tempi liturgici e delle epoche del­l’anno, tutti i temi di cui un cristiano ha motivo di trattare nell'intimità con suo Padre-Dio. Con chiarezza, in una lingua che ha presenti le perso­ne semplici quanto quelle colte, poiché guarda in primo luogo ai membri della famiglia cristiana, Par­lare con Dio accompagna l’itinerario interiore degli uomini normali, i christifideles laici che vivono pro­fondamente impegnati nelle attività di questo mon­do. Per questa sua concretezza, unita alla completez­za, l’opera si segnala anche come “prontuario invo­lontario” di ascetica e morale cristiana e merita am­plissima diffusione. Accanto ai testi patristici, dei classici di spiritualità e del Magistero, l’Autore attinge con dovizia e filiale gratitudine all’insegnamento spirituale di san Josemaría Escrivá (1902-1975), fondatore dell’Opus Dei, la cui canonizzazione è stata celebrata nel 2002, nel centenario della nascita.

Calendario liturgico 2014-2033

calendario

TEMPO ORDINARIO III

Settimane XXX-XXIV

Trentesima domenica del Tempo ordinario. Ciclo A

1. CREATI PER LA GIOIA

• Il Signore vuole discepoli allegri. Quel che serve per essere felici «non è una vita comoda, ma un cuore innamorato».
• Il primo comandamento e la gioia.
• Portare la gioia alle persone che Dio ci ha messo accanto nella vita.
I. L’antifona d’ingresso della Messa1 ci invita alla gioia e ci indica la via per trovarla: «Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto». Quan­do non cerchiamo Dio è impossibile essere con­tenti. La tristezza nasce dall’egoismo, dall’ansiosa ricerca di compensazioni, dal disinteresse per le cose di Dio e per quelle dei nostri fratelli gli uomi­ni: in definitiva, dall’essere assorbiti da sé stessi. Il Signore ci ha creato per la felicità, e quanto più ci chiama vicino a sé, tanto più ci desidera allegri. Già nell’Antico Testamento viene annunciato: «Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci, poiché cose grandi ha fatto il Signore... Voi, figli di Sion, rallegratevi, gioite nel Signore vostro Dio, perché vi dà la pioggia in giusta misura, per voi fa scen­dere l’acqua, la pioggia d’autunno e di primavera, come in passato»2.
Per i cristiani la gioia è un’autentica necessità. Quando l’anima è allegra esce da sé stessa e ha ali per volare verso Dio e per darsi con generosità al servizio degli altri; un cuore allegro è più vicino a Dio, è pronto a compiere grandi imprese ed è di incoraggiamento e di stimolo per i suoi fratelli. La tristezza paralizza i migliori propositi di santità e di apostolato, e incupisce l’ambiente. È un gran male. Per questo san Paolo più volte raccomanda­va ai primi cristiani: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi»3. D’altra parte, in mezzo alle persecuzioni che li facevano soffrire, la gioia era la loro fortezza e il mezzo migliore per attrarre altri alla fede.
La tristezza non deriva da difficoltà o da soffe­renze più o meno gravi, ma dal distogliere lo sguardo da Cristo. San Tommaso insegna che questo male dell’anima è un vero vizio causato da un amore disordinato per sé stessi, ed è causa di molti altri mali4. È come una radice malata che produce solo frutti amari. La tristezza dà origine a molte mancanze di carità, risveglia l’ansia di compensazioni e, spesso, rende l’anima pigra nella lotta contro le tentazioni che derivano dalla sen­sualità.
«Quel che occorre per raggiungere la felicità non è una vita comoda, ma un cuore innamora­to»5, infatti la gioia è il primo effetto dell’amore, e la tristezza lo sterile frutto dell’egoismo, della pi­grizia, in definitiva del disamore. «La tristezza muove all’ira e al rancore; e così sperimentiamo che, quando siamo tristi, siamo suscettibili e ci adiriamo per qualunque motivo; e più ancora, la tristezza rende l’uomo sospettoso e pieno di mali­zia, e talvolta giunge a turbarlo tanto da offuscar­gli la ragione e renderlo fuori di sé»6. L’anima intristita cade facilmente in peccato e si ritrova priva di forze per compiere il bene; è sulla strada della disfatta. «Aceto su una piaga viva, tali sono i canti per un cuore afflitto»7.
Se talvolta ci accorgiamo che questa malattia maligna dell’anima è in agguato o che ci ha già invasi, esaminiamoci e vediamo dove abbiamo messo il nostro cuore. «Laetetur cor quaerentium Dominum. – Si rallegri il cuore di coloro che cercano il Signore.
– Ecco una luce, per indagare sui motivi della tua tristezza»8. È davvero difficile essere tristi – anche in mezzo al dolore, alla povertà, alla malat­tia – quando veramente abbiamo lo sguardo fisso nel Signore, e siamo generosi in ciò che ci sta chiedendo in quella situazione, forse umanamen­te difficile. Come san Paolo, potremo sempre dire: «Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione»9. Se realmente cerchia­mo il Signore nella nostra vita, niente potrà to­glierci la pace e la gioia. Il dolore purificherà l’anima e le pene stesse si trasformeranno in gioia.
II. «Laetetur cor quaerentium Dominum...», si rallegri il cuore di coloro che cercano il Signore.
Il Vangelo della Messa di questa domenica10 invita alla gioia, perché è una esortazione all’amore. Il comandamento dell’amore è anche quello della gioia, che perciò «non è una virtù distinta dalla carità, ma è un atto o un effetto di essa»11. Ecco perché l’indice della nostra unione con Dio è manifestato dalla gioia e dal buon umore che poniamo nell’adempimento dei nostri doveri, nel rapporto con gli altri, nel modo con cui sopportia­mo il dolore e le contrarietà.
Quando i farisei si avvicinarono a Gesù per domandargli quale fosse il più grande dei coman­damenti, Gesù rispose loro: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso». Di questo abbiamo bisogno: volgerci a Dio con tutto quel che abbiamo e siamo, servire il prossi­mo, con apertura e generosità, e dimenticarci di noi stessi, non preoccuparci della nostra comodi­tà, mettere da parte la vanità e l’orgoglio, guardare oltre noi, amare.
Molti pensano di poter essere più felici quando avranno più cose, quando saranno più ammirati, e dimenticano che abbiamo bisogno solamente di «un cuore innamorato». E nessun amore, se non l’Amore, può appagare il nostro cuore, creato da Dio per essere colmato dai beni eterni. Tutti gli amori limpidi – gli altri non sono amori – acqui­stano il loro vero significato quando cerchiamo il Signore sopra tutte le cose. Al contrario, né l’egoi­sta, né l’invidioso, né colui che mette l’anima nei beni della terra, conosceranno la gioia che Gesù ha promesso ai suoi12, perché non saprà amare, nel senso più profondo e nobile della parola. «Ma l’amore, quando è perfetto, ha pur la forza di farci dimenticare ogni nostro contento per contentare l’Amato. Ed è proprio così, tanto è vero che ci divengono leggere anche le tribolazioni più gravi quando, sopportandole, sappiamo di far piacere al Signore»13. Tutte le difficoltà e le tribolazioni sono leggere quando ci giungono dalla mano del Signo­re..
III. «Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo... Viva il Signore e benedetta la mia rupe, sia esaltato il Dio della mia salvez­za»14, recitiamo con le parole del salmo responsoriale. In Lui troviamo la sicurezza e tutto ciò di cui abbiamo bisogno, anche la gioia e la pace quale che sia la condizione in cui ci troviamo. Per que­sto, non tralasceremo mai di avere con Lui un rapporto personale, pieno di intimità, ogni giorno. Molte cose nostre dipendono da questo. Portere­mo la gioia e la pace che attingiamo da questa fonte inesauribile che è Cristo a quanti Dio ci ha messo accanto, alle nostre case, che non dovranno mai essere tristi né cupe, né agitate da incompren­sioni ed egoismi, ma «luminose e allegre»15, come fu quella in cui visse Gesù con Maria e Giuseppe. Quando nel linguaggio usuale si dice «questa casa pare un inferno», ci viene subito in mente un focolare senza amore, senza gioia, senza Cristo. Un focolare cristiano dev’essere allegro perché in esso è presente il Signore che lo presiede, e perché essere suoi discepoli significa, tra le altre cose, vivere le virtù umane e soprannaturali alle quali è così intimamente connessa la gioia: generosità, cordialità, spirito di sacrificio, simpatia, impegno di rendere la vita più amabile a coloro che ci stanno vicino.
Dobbiamo trasmettere l’allegria e la serenità, conseguenza del nostro frequentare quotidiana­mente il Signore, all’ambiente di lavoro, alla stra­da, ai rapporti con i clienti, a chi ci domanda un’informazione stradale in una città che gli è sconosciuta. Sono molte le persone scontente e inquiete che per mettersi sul giusto cammino han­no bisogno, prima di tutto, di vedere la gioia che il Signore ci ha lasciato. Quanti hanno scoperto la via che porta a Dio attraverso la gioia cristiana, veramente vissuta da un collega di lavoro, da un amico!
È con gioia che i cristiani devono compiere gli obblighi propri del loro stato. E quanto più questi sono elevati, tanto più si dovrà notare la nostra allegria16. Quanto maggiore è la responsabilità (genitori, sacerdoti, superiori, insegnanti), tanto più vi sarà l’obbligo di serbare la gioia per comu­nicarla. Il volto del Signore doveva risplendere di allegria, e la sua pace si manifestò anche nell’ora della Passione e morte: anche in quei momenti ha voluto darci esempio perché lo imitassimo quan­do il cammino della vita ci si facesse ripido e arduo. Se ricorreremo a nostra Madre santa Maria – «Causa nostrae laetitiae, Causa della nostra leti­zia» – potremo ritrovare facilmente il cammino della pace e della vera gioia, qualora l’avessimo smarrito. Capiremo subito che la via che conduce alla gioia è la stessa che porta a Dio.

Note al capitolo 1

1 Antifona d’ingresso; Sal 104, 34. – 2 Gl 2, 21-23. – 3 Fil 4, 4. – 4 Cfr SAN TOMMASO, Somma teologica, II-II, q. 28, a. 4. – 5 SAN J. ESCRIVÁ, Solco, 795. – 6 SAN GREGORIO MAGNO, Moralia, 1, 31, 31. – 7 Pro 25, 20. – 8 SAN J. ESCRIVÁ, Cammino, 666. – 9 2 Cor 7, 4. – 10 Ut 22, 34-40. – 11 SAN TOMMASO, op. cit, II-II, q. 28, a. 4. – 12 Cfr Gv 16, 22. – 13 SANTA TERESA, Fondazioni, 5, 10. – 14 Salmo responsoriale; Sal 17, 2-4; 47; 51. – 15 Cfr SAN J. ESCRIVÁ, È Gesù che passa, 22. – 16 Cfr P.A. REGGIO, Espiritu sobrenatural y huen humor, p. 24.

Trentesima domenica del Tempo ordinario. Ciclo B

2. È GESÙ CHE PASSA

• Ricorrere a Gesù, che ci è sempre vicino, nelle nostre debolezze e sofferenze.
• La misericordia del Signore. Bartimeo.
• La gioia messianica.
I. Dio passa nella vita degli uomini portando luce e gioia. La prima lettura1 è un grido di giubilo per la salvezza di un «resto» del popolo d’Israele, per il suo ritorno dall’esilio alla terra dei padri. Ritornano tutti, gli storpi e i malati, «il cieco e lo zoppo», che trovano nel Signore la salute.
«Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: Il Signore ha salvato il suo popolo, un resto di Israele. Ecco li riconduco dal paese del setten­trione... fra di essi sono il cieco e lo zoppo... ritor­neranno qui in gran folla». Dopo tanti patimenti, il profeta annuncia le benedizioni di Dio sul suo popolo. «Essi erano partiti nel pianto, io li ripor­terò tra le consolazioni; li condurrò a fiumi d’ac­qua per una strada diritta in cui non inciamperanno».
In Gesù hanno compimento tutte le profezie. È passato per il mondo facendo il bene2, anche a chi non gli chiedeva niente. In Lui si manifesta con pienezza la misericordia divina verso chi era più bisognoso. Nessuna miseria tiene lontano Cristo dagli uomini: dà la vista ai ciechi, guarisce la lebbra, fa camminare zoppi e paralitici, dà da mangiare a una moltitudine affamata, scaccia de­moni, si avvicina a coloro che più soffrivano nel­l’anima o nel corpo. «Eravamo noi che dovevamo andare a Gesù; ma si opponeva un duplice ostaco­lo. I nostri occhi erano ciechi [...]. Giacevamo paralizzati sul nostro lettuccio, incapaci di giun­gere alla grandezza di Dio. Per questo il nostro amabile Salvatore e Medico delle anime nostre discese dalla sua altezza»3. Noi, che soffriamo per tante infermità, «dob­biamo credere tanto più fermamente quanto più grave o disperata è la malattia che ci affligge»4. Ci sono periodi in cui sentiamo con più crudezza la sofferenza: momenti in cui la tentazione è più forte, o nei quali conosciamo la stanchezza e l’o­scurità interiore o verifichiamo con lucidità la nostra debolezza. Ricorreremo allora a Gesù, sem­pre vicino, con fede umile e sincera, come quella di tanti malati e miseri che compaiono nel Vange­lo. Diremo allora al Maestro: «“Signore, non fidar­ti di me. Io sì, mi fido di te”. E nel presagire nell’anima l’amore, la compassione,...

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