Francisco Fernàndez-Carvajal
Parlare con Dio
Meditazioni per ogni giorno dell'anno
Tempo ordinario (I)
Settimane I-XV
Nota editoriale
«Mi hai scritto: “Pregare è parlare con Dio. Ma, di che cosa?”. – Di che cosa? Di Lui, di te: gioie, tristezze, successi e insuccessi, nobili ambizioni, preoccupazioni quotidiane... debolezze! E atti di ringraziamento e suppliche: e Amore e riparazione. In due parole: conoscerlo e conoscerti: “frequentarsi”!»; «Non sai pregare? – Mettiti alla presenza di Dio, e non appena comincerai a dire: “Signore,...non so fare orazione!...”, sii certo che avrai cominciato a farla» (san J. Escrivá). Parlare con Dio: non è un obiettivo riservato a gente speciale. Da tutti Dio aspetta amore. Dall’imprenditore immerso in delicate trattative al chirurgo che quotidianamente conosce la tragedia delle vite appese a un filo, al commerciante che riempie la sua bottega dei migliori prodotti, alla segretaria che passa ore sul computer, all’impiegato che prende il primo treno all’alba, alla professoressa che deve correggere l’ultimo compito in classe, alla casalinga indaffarata tra i bambini e le pentole, allo studente che ha previsto tre esami entro la prossima sessione: tutti chiamati a comportarsi da figli di Dio e a rivolgersi a Lui come a un Padre, ogni giorno, per confidargli i più intimi sentimenti e ricevere da Lui la risposta più appropriata. Questa è preghiera cristiana, orazione personale, fiduciosa, attenta, innamorata. Francisco Femandez-Carvajal ha composto uno straordinario sussidio per la preghiera una raccolta di meditazioni, una al giorno per tutto l’anno, che partono dalle letture della Messa quotidiana e, sulla falsariga dell’Antico e del Nuovo Testamento, convocano la tradizione cristiana, dai Padri della Chiesa ai migliori autori di spiritualità, per presentare, nel volgere dei tempi liturgici e delle epoche dell’anno, tutti i temi di cui un cristiano ha motivo di trattare nell'intimità con suo Padre-Dio. Con chiarezza, in una lingua che ha presenti le persone semplici quanto quelle colte, poiché guarda in primo luogo ai membri della famiglia cristiana, Parlare con Dio accompagna l’itinerario interiore degli uomini normali, i christifideles laici che vivono profondamente impegnati nelle attività di questo mondo. Per questa sua concretezza, unita alla completezza, l’opera si segnala anche come “prontuario involontario” di ascetica e morale cristiana e merita amplissima diffusione. Accanto ai testi patristici, dei classici di spiritualità e del Magistero, l’Autore attinge con dovizia e filiale gratitudine all’insegnamento spirituale di san Josemaría Escrivá (1902-1975), fondatore dell’Opus Dei, la cui canonizzazione è stata celebrata nel 2002, nel centenario della nascita.
Calendario liturgico 2014-2033
TEMPO ORDINARIO I
Settimane I-XV
Prima settimana. Lunedì
1. LA CHIAMATA DEI PRIMI DISCEPOLI
• Il Signore chiama i discepoli nel mezzo del loro lavoro. Chiama anche noi mentre siamo impegnati nelle attività della vita ordinaria, e vuole che rimaniamo al nostro posto perché santifichiamo quelle attività e lo facciamo conoscere attraverso esse.
• La santificazione del lavoro. L’esempio di Cristo.
• Lavoro e preghiera.
I. Dopo il battesimo, con il quale inaugura la sua vita pubblica, Gesù si pone alla ricerca di coloro che renderà partecipi della sua missione salvifica. E li trova mentre sono intenti a svolgere il loro lavoro professionale; sono uomini avvezzi alla fatica, forti, di vita semplice. «Passando lungo il mare della Galilea», leggiamo nel Vangelo della Messa1, «vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”». E cambia la loro vita. Gli apostoli risposero con generosità alla chiamata di Dio. Quei quattro discepoli – Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo – conoscevano già il Signore2, ma questo è il momento preciso in cui, rispondendo alla chiamata divina, decidono di seguirlo definitivamente, senza condizioni, senza calcoli, senza riserve. Allo stesso modo oggi molti rispondono a quella chiamata in mezzo al mondo, con una donazione totale nel celibato apostolico.
Da questo momento, Cristo sarà al centro delle loro vite, ed eserciterà sulle loro anime un’indescrivibile attrattiva. Gesù li cerca mentre svolgono la loro ordinaria attività, come Dio fece con i Magi – pochi giorni fa lo abbiamo considerato – attraverso quel che poteva esser loro più famigliare, la luce di una stella; come l’Angelo, a Betlemme, chiamò i pastori intenti al loro dovere di fare la guardia al gregge, perché venissero ad adorare il Dio Bambino e a far compagnia nella notte a Maria e a Giuseppe.
Nel mezzo del nostro lavoro, dei nostri impegni quotidiani, Gesù ci invita a seguirlo, a fare di lui il centro della nostra esistenza, a servirlo nel compito di evangelizzare il mondo. «Dio ci tira fuori dalle tenebre della nostra ignoranza, dal nostro brancolare in mezzo ai mille casi della storia, e ci chiama con voce potente, come un giorno chiamò Pietro e Andrea: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini” (Mt 4, 19), qualunque sia il posto che occupiamo nel mondo»3. Ci sceglie e ci lascia – noi che, come la maggior parte dei cristiani, siamo laici – lì dove ci troviamo: in famiglia, nel nostro lavoro, nell’associazione culturale e sportiva alla quale apparteniamo, perché proprio lì, in quel luogo e in quell’ambiente, lo amiamo e lo facciamo conoscere attraverso i vincoli famigliari, le relazioni di lavoro e di amicizia.
Dal momento in cui decidiamo di porre Cristo al centro della nostra vita, tutto quanto facciamo viene informato da questa risoluzione. Dobbiamo pertanto chiederci se siamo coerenti nell’impegno di trasformare il lavoro in occasione per crescere nell’amicizia con Gesù, attraverso lo sviluppo delle virtù umane e di quelle soprannaturali.
II. Signore ci cerca e ci invia nel nostro ambiente sociale e professionale. Ma vuole che questo lavoro adesso sia diverso. «Mi scrivi dalla cucina, accanto al focolare. Sta scendendo la sera. Fa freddo. Accanto a te, la tua sorellina – l’ultima che ha scoperto la pazzia divina di vivere fino in fondo la propria vocazione cristiana – sbuccia patate. Apparentemente – pensi – il suo lavoro è uguale a prima. E invece c’è tanta differenza! È vero: prima sbucciava patate “soltanto”; adesso si sta santificando sbucciando patate»4.
Per santificarci nelle faccende domestiche, tra le garze e le pinze dell’ospedale (trattando i malati col sorriso sulle labbra), nella fabbrica, dalla cattedra, conducendo un trattore o dei muli, rassettando la casa o pelando patate..., il nostro lavoro deve assomigliare a quello di Cristo nella bottega di Giuseppe – lo abbiamo contemplato qualche giorno fa – e a quello degli apostoli, che il Vangelo della Messa di oggi ci presenta intenti a svolgere la loro professione di pescatori. Dobbiamo guardare al Figlio di Dio fatto Uomo mentre lavora, e domandarci di frequente: che farebbe Gesù al mio posto? come realizzerebbe questo mio compito? Il Vangelo ci dice che Egli «ha fatto bene ogni cosa»5, con perfezione umana, senza raffazzonature: questo significa lavorare con spirito di servizio nei confronti di chi ci sta vicino, con ordine e serenità, con intensità. Gesù avrà certo consegnato i lavori commissionatigli entro i termini pattuiti; avrà rifinito la sua opera con amore, pensando alla soddisfazione dei clienti al ricevere quelle cose semplici, ma perfette; avrà avvertito la stanchezza... Ed Egli svolse la sua attività anche con piena efficacia soprannaturale, perché con quel lavoro stesso stava compiendo la redenzione dell’umanità, unito al Padre con amore e per amore, e unito anche, per amore, a tutti gli uomini6. E quanto si fa per amore, impegna.
Nessun cristiano, per quanto il suo lavoro possa essere, all’apparenza, poco importante – o tale venir giudicato da persone leggere e superficiali – può pensare di poterlo realizzare in qualche modo, con pigrizia e negligenza, senza cura e perfezione. Quel lavoro lo vede Dio, e ai suoi occhi ha un’importanza che noi non possiamo immaginare.
«Mi hai domandato che cosa puoi offrire al Signore. – Non ho bisogno di stare a pensare la risposta: le cose di sempre, ma completate meglio, con un tocco finale di amore, che ti porti a pensare di più a Lui e meno a te»7.
III. Per un cristiano che vive sapendosi sempre alla presenza di Dio, il lavoro deve essere orazione – sarebbe un vero peccato che «sbucciasse patate “soltanto”», invece di santificarsi «sbucciando patate» – un modo di stare insieme al Signore durante l’intera giornata, una grande opportunità per esercitare le virtù, senza le quali non potrebbe raggiungere la santità alla quale è stato chiamato; ed è, anche, un efficace mezzo di apostolato. Pregare significa parlare con il Signore, elevare l’anima e il cuore fino a Lui per lodarlo, ringraziarlo, chiedergli perdono, implorare nuovi aiuti. E tutto questo si può fare con pensieri, parole, affetti – orazione mentale e preghiera vocale ma si può realizzare anche mediante azioni capaci di significare a Dio quanto desideriamo amarlo e quanto abbiamo bisogno di Lui. Così, dunque, è orazione anche «ogni lavoro ben fatto e realizzato con visione soprannaturale»8, cioè con la coscienza di star collaborando con Dio nel condurre a perfezione le cose create, impregnandole tutte dell’amore di Cristo e cooperando alla sua opera di redenzione, che si è compiuta non solo sul Calvario, ma anche nella bottega di Nazaret.
Il cristiano che è unito a Cristo mediante la grazia trasforma le sue opere rette in orazione; perciò è così importante la devozione dell’offerta delle azioni al mattino, quando ci alziamo, e nella quale, con poche parole, diciamo al Signore che tutta la giornata è per Lui; ed è altrettanto importante, per la vita interiore, rinnovarla durante la giornata altre volte, specialmente nella santa Messa. Il valore del lavoro del cristiano – lavoro che egli trasforma in orazione – dipende però dall’amore con cui lo si compie, dalla rettitudine d’intenzione, dall’esercizio della carità, dallo sforzo per realizzarlo con competenza professionale. Quanto più rendiamo attuale l’intenzione di trasformarlo in strumento di redenzione, tanto meglio lo realizzeremo con perfezione umana, e tanto maggior aiuto staremo prestando a tutta la Chiesa. In certi tipi di lavoro, che per loro natura esigono grande concentrazione, non sarà facile riportare spesso il pensiero a Dio; ma se ci siamo abituati a frequentarlo, cercandolo anche con sforzo, Egli sarà come «il sottofondo musicale» in tutto quel che facciamo. In questo modo non ci sarà uno stacco tra lavoro e vita interiore, «come il battito del cuore non intralcia l’attenzione alle nostre attività, di qualunque tipo esse siano»9. Al contrario, lavoro e orazione si completano, così come voci e strumenti si fondono con armonia. Il lavoro non solo non intralcia la vita di orazione, ma ne diventa tramite. Si compie allora quanto chiediamo supplici al Signore in questa bella preghiera: «Actiones nostras, quaesumus Domine, aspirando praeveni et adiuvando prosequere: ut cuncta nostra oratio et operatio a te semper incipiat et per te coepta finiatur»; ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto; perché ogni nostra attività abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento10. «Allora soltanto saremo di Cristo – tutta la nostra vita sarà sua -, e le nostre azioni – tutte – avranno Gesù Cristo per principio e per fine»11.
Se Cristo, che abbiamo costituito centro della nostra esistenza, fa da sfondo a tutto quanto realizziamo, ci risulterà sempre più naturale profittare delle pause che si presentano in ogni lavoro affinché la «musica di fondo» si distenda in una vera canzone. Quando stiamo cambiando attività, quando siamo fermi davanti alla luce rossa del semaforo, quando stiamo per iniziare un nuovo argomento di studio, mentre attendiamo una comunicazione telefonica, quando riponiamo gli arnesi al loro posto..., verrà quella giaculatoria, lo sguardo a un’immagine della Madonna o al crocifisso, una silenziosa richiesta di aiuto all’angelo custode, che ci procureranno un intimo conforto e ci aiuteranno a perseverare nel nostro compito.
Poiché l’amore è ricco di risorse, ed è ingegnoso, sapremo escogitare degli «espedienti umani», dei promemoria che ci aiutino a non dimenticare che attraverso l’umano dobbiamo giungere a Dio. «Metti sul tuo tavolo di lavoro, nella stanza, nel tuo portafogli..., un’immagine della Madonna, e rivolgile lo sguardo quando cominci il tuo lavoro, mentre lo svolgi e quando lo finisci. Lei ti otterrà – te rassicuro! – la forza per fare della tua occupazione un dialogo amoroso con Dio»12.
Note al capitolo 1
1 Mc 1, 14-20. – 2 Gv 1, 32-42. – 3 SAN J. ESCRIVÁ, È Gesù che passa, Edizioni Ares, Milano 19885, 45. – 4 IDEM, Solco, Edizioni Ares, Milano 19874, 498. – 5 Mc 7, 37. – 6 Cfr J.L. ILLANES, La santificazione del lavoro, Edizioni Ares, Milano 19812, pp. 92 ss. – 7 SAN J. ESCRIVÁ, Solco, 495. – 8 Cfr R. GÓMEZ PÉREZ, La fe y los dìas, Palabra, Madrid 19733, pp. 107-110. – 9 SAN J. ESCRIVÁ, Lettera, 15 ottobre 1948. – 10 Enchiridion indulgentiarum, n. 1. – 11 Cfr S. CANALS, Ascetica meditata, Edizioni Ares, Milano 19862, p. 102. – 12 SAN J. ESCRIVÁ, Solco, 531.
Prima settimana. Martedì
2. FIGLI DI DIO
• Il senso della filiazione divina illumina la nostra giornata.
• Alcune conseguenze: fraternità, atteggiamento davanti alle difficoltà, fiducia nell’orazione...
• Coeredi con Cristo. La gioia, un anticipo della gloria; non dobbiamo perderla per le difficoltà.
I. «“Io l’ho costituito mio sovrano sul Sion, mio santo monte. Annuncerò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: ‘Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato’ (Sal 2,6-7)”. La misericordia di Dio Padre ci ha dato come Re suo Figlio. Nella minaccia si intenerisce; annuncia la sua ira e ci dona il suo amore: “Tu sei mio figlio”; si rivolge a Cristo... e si rivolge a te e a me, se decidiamo di essere “alter Christus, ipse Christus”»1; ed è ciò cui tendiamo, nonostante le nostre debolezze: imitare Cristo, identificarci con Lui, essere buoni figli di Dio in mezzo al nostro lavoro, nei normali impegni quotidiani.
Domenica scorsa contemplavamo Gesù che, come uno fra tanti, va da Giovanni per esser battezzato nel Giordano. Lo Spirito Santo si posò su di Lui e si udì la voce del Padre: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto»2. Cristo è, dall’eternità, il Figlio Unigenito di Dio, «nato dal Padre prima di tutti i secoli [...], generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create», professiamo nel Credo della Messa. In Lui e per Lui – vero Dio e vero Uomo – siamo stati fatti figli di Dio ed eredi del cielo.
Nel Nuovo Testamento la filiazione divina occupa un posto fondamentale nell’annuncio della «buona novella» cristiana, quale realtà significativa dell’amore di Dio per gli uomini: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!»3. Lo stesso Gesù non si stancò mai di ripetere ai suoi discepoli questa verità: ora in modo diretto, insegnando loro a rivolgersi a Dio come al Padre4; ora additando loro la santità quale imitazione filiale5; ora facendo ricorso alle numerose parabole nelle quali Dio è rappresentato dalla figura del padre. Particolarment...