Saper di amore
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È facile costatare che la parola amore, pur essendo la parola chiave, è anche la più confusa, non solo nel mondo secolarizzato, ma anche tra i cristiani. Ciò che più danneggia la convivenza umana è il fatto che tutti credono di sapere che cosa sia l'amore. Ma chi entra nei sentieri autentici dell'amore fa sempre nuove scoperte e impara a non attribuire agli altri i propri errori. C'è una sola arte da imparare: quella di amare.L'amore ha tanti aspetti che non si imparano, non solo nel sentimento, ma anche nella ricchezza emotiva che governa il cuore nel profondo. Eppure l'amore vero è molto di più rispetto al sentimento e all'emotività, e oggi esige molto «studio». Amare è un verbo e occorre saperlo coniugare in molti modi.Ugo Borghello affronta qui in maniera radicale le prospettive del vero amore cristiano, ma anche le sue malattie. Ci insegna a distinguere tra fede – l'adesione profonda a Cristo – e religione – l'insieme di pratiche e preghiere. A distinguere tra carità – amore incondizionato alla persona, a tutte le persone – e opere di carità – i tanti gesti di servizio che si possono compiere anche senza un corrispettivo di amore vero. Ci insegna che ognuno appartiene a un gruppo primario per il quale è disposto a dare tutto, e che pertanto è auspicabile che tale gruppo sia la comunità cristiana. La Nuova evangelizzazione dipende in gran parte dal far sorgere innumerevoli comunità primarie, come fu per i primi cristiani. Avanti così nell'analisi, si resta convinti che tutti abbiamo bisogno di ritornare continuamete alla fonte gratuita della fede e dell'amore, con una lotta ascetica che renda efficaci anche le nostre miserie.

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2014
ISBN
9788881556175

Note

1 [Indietro] Cfr R. Boudon, L’art de se persuader, des idées douteuses, fragiles ou fausses, Fayard, Parigi 1990.
2 [Indietro] U. Borghello, Liberare l’Amore. La comune idolatria, l’angoscia in agguato, la salvezza cristiana, 4 ed. Ares, Milano 2009.
3 [Indietro] P. Donati, L’amore come cura dei beni relazionali, in J.J. Perez-Soba, M. Magdic (a cura di), L’amore principio di vita sociale. Caritas aedificat (1 Cor 8, 1), Cantagalli, Siena 2011, pp. 139-185.
4 [Indietro] Cfr Z. Bauman, Amore liquido, Laterza, Bari 2009.
5 [Indietro] Si legge nel libro di Giosuè, della Bibbia, che la prostituta Raab protesse le due spie inviate da Giosuè a Gerico. «Ora giuratemi per il Signore che come io ho usato benevolenza con voi, così anche voi userete benevolenza con la casa di mio padre; datemi quindi un segno sicuro (...). Quando noi entreremo nella terra, legherai questa cordicella di filo scarlatto alla finestra da cui ci hai fatto scendere» (Gs 2, 12.18). Impressionante la «corda rossa», segno di un gesto di ospitalità che ha mutato il destino di una peccatrice, dandole un posto nella storia della salvezza.
6 [Indietro] Impressiona leggere le parole di Ratzinger del 24-XII-1969: «Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto. Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi. Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità. Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali. Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la Fede al centro dell’esperienza. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. (...) Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo: lo scopriranno come una speranza per sé stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto». Però ci si può domandare come nascano le piccole comunità fondate sulla fede viva, per favorirne subito la nascita e lo sviluppo. Lungo questo lavoro si daranno molte indicazioni su questo tema decisivo, anche facendo tesoro delle tante comunità vive e non tanto piccole che già ci sono.
7 [Indietro] Benedetto XVI nell’Enc. Caritas in veritate considera sia la dimensione naturale dell’amore per Dio e per gli altri, che il dono soprannaturale, in Cristo, di un amore nuovo o caritas: «Tutti gli uomini avvertono l’interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai completamente, perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. Gesù Cristo purifica e libera dalle nostre povertà umane la ricerca dell’amore e della verità e ci svela in pienezza l’iniziativa di amore e il progetto di vita vera che Dio ha preparato per noi. In Cristo, la carità nella verità diventa il Volto della sua Persona, una vocazione per noi ad amare i nostri fratelli nella verità del suo progetto. Egli stesso, infatti, è la Verità (cfr Gv 14, 6)», n. 1.
8 [Indietro] Dalle tentazioni nel deserto si può capire che il primo pericolo per il bene dell’umanità è una fede nozionale senza carità, una fede demoniaca. Il demonio cita a memoria il Deuteronomio, e certamente conosce gli articoli della fede cristiana, ma li usa contro la carità: non vuole che Gesù riveli la misericordia divina. Ma la prima tentazione fa capire che nello stesso inganno c’è la possibilità di confondere la carità con le opere di carità: il demonio non teme che ci sia pane per tutti o i miracoli per arrivarci: teme che l’uomo si accorga della carità divina, imparando ad amare il prossimo come Gesù ci ama.
9 [Indietro] Cfr S. Pinckaers, Le fonti della morale Cristiana, Ares, Milano 1992. Agostino e Tommaso avevano ben altra visione del rapporto tra virtù e carità. Questa è fine, le virtù sono mezzo. Scrive san Tommaso: «Ogni cosa si dice perfetta in quanto raggiunge il proprio fine, che è la sua ultima perfezione. Ora, è proprio la carità a unirci a Dio che è l’ultimo fine dell’anima umana: poiché come dice san Giovanni: «Chi dimora nella carità dimora in Dio, e Dio in lui» (1 Gv 4, 16). Perciò la perfezione della vita cristiana consiste specialmente nella carità» Summa Theologiae, II-II, q. 184, a.1, c. Da notare che quel «chi dimora nella carità» si riferisce alla carità fraterna, che è segno visibile del nostro dimorare in Dio e Lui in noi.
10 [Indietro] F. Riva - P. Sequeri, Segni della destinazione. L’ethos occidentale e il sacramento, Cittadella Editrice, Assisi 2009, pp. 119-120, nota 6. In questo libro c’è un notevole approfondimento del rapporto tra giustizia e carità, che parte dal costatare come si è potuto ridurre la carità a elargizione volontaria di elemosina, rispetto al dovere verso gli altri richiesto dalla giustizia. Per Sequeri c’è una specificità semantica nel termine agápe trascurata dalla teologia. Si tratta «di una scelta radicale del cristianesimo, la cui originalità si stempera nell’uso corrente», p. 115. Aggiunge: «Anche trascurando, al momento, la deriva verso il referente della «elemosina», la nozione «carità» risulta assai riduttiva, nell’uso più corrente, per dire la dimensione fondamentale dell’amore evangelico. Essa infatti abita comunque l’area semantica di una benevolenza disinteressata e oblativa, non esigibile e rivolta al bisogno», p. 115. Ne deriva che la giustizia si può esigere e diventa il fondamento della società, dove si deve essere certi del diritto e del dovere, mentre la carità, anche eroica, non creerebbe legame sociale. L’amore cristiano diventa virtualmente arbitrario! Apporto nobile ma che non si può esigere. «La carità cristiana si è così concentrata sul profilo alto ed eccezionale dell’idealità oblativa. Ma anche sulla soglia bassa e marginale delle emergenze sociali, dove appunto la giustizia umana appare insufficiente» (pp. 116-117). Fa poi notare che c’è stato un aggiustamento ottocentesco della coppia giustizia-carità che ha finito per lasciare la giustizia e la corrispondente responsabilità sociale allo Stato laico, mentre la carità si connotava religiosamente. Il superamento, per Sequeri, è nella giustizia divina, vissuta all’estremo sulla Croce, che noi studieremo più avanti, con qualche differenza nel considerare la distanza analogica tra carità e amore di compiacenza, che per noi è consistente, mentre per Sequeri è più sfumata, per una diversa sensibilità nell’impostare il rapporto natura-grazia.
11 [Indietro] Nella poesia Canto del Dio nascosto, in Opere letterarie, Ed. Vat., p. 55.
12 [Indietro] J. Vanier diceva che l’uomo ha bisogno di essere guardato negli occhi. Io sostengo che è un bisogno già radicato nel genoma, tanto che a ben vedere si può serenamente cambiare il «cogito ergo sum» di Cartesio con «amor ergo sum», è nell’essere amati che la vita umana prende senso e identità personale. Il senso della vita è sempre un con-senso, un senso insieme ad altri in un gruppo primario. Lo si può chiamare consenso identitario ed è la molla segreta del nostro agire.
13 [Indietro] Si può dire che il segreto della santità e dell’efficacia di Giovanni Paolo II sia stato il puntare tutto su Gesù e sull’uomo reale, unico ma in relazione: non la Chiesa e il mondo, ma Gesù e ogni uomo. In genere i pastori della Chiesa sono preoccupati della Chiesa e della comunità loro affidata; avvertono la loro responsabilità e senza volerlo sono portati a dividere le persone in categorie: quelle loro affidate, il mondo, i musulmani, i «laici», i ricchi o i poveri ecc. Oppure sono aperti teoricamente, pensando al bene di tutti, ma senza un vero incontro con l’uomo reale. Il vero peccato è misurare le persone secondo i talenti e le opere. Se i coniugi capissero bene tutto ciò le famiglie sarebbero angoli di cielo. La forza del Vangelo è nel dono di un amore gratuito, di misericordia, e cioè per chi non lo merita.
14 [Indietro] Un testo di san Josemaría appare esplicito al riguardo: «Gesù Cristo, Signore nostro, si è incarnato e ha assunto la nostra natura per proporsi all’umanità come modello di tutte le virtù. “Imparate da me” – è l’invito – “che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29). In seguito, quando spiega agli Apostoli il segno da cui saranno riconosciuti come cristiani, non dice: “Perché siete umili”. Egli è la purezza più sublime, l’Agnello immacolato. Nulla poteva macchiare la sua santità perfetta, senza ombra (Cfr Gv 8, 46). Eppure non dice: “Capiranno che siete miei discepoli perché siete casti e puri”. Ha camminato per il mondo nel più completo distacco dai beni della terra. Egli era il Creatore e il Signore dell’universo, e non aveva neppure dove posare il capo (Cfr Mt 8, 20). Ma non dice: “Vi riconosceranno come miei, perché non vi siete attaccati alle ricchezze”. Rimane per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto, digiunando rigorosamente (Cfr Mt 4, 2), prima di dedicarsi alla predicazione del Vangelo. E, ancora, non dice ai suoi: “Capiranno che servite il Signore perché non siete mangioni né beoni”. La caratteristica distintiva degli Apostoli, dei veri cristiani di ogni tempo, l’abbiamo ascoltata: “Da questo” – proprio da questo – tutti “sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Trovo perfettamente logico che i figli di Dio siano sempre rimasti colpiti – anche tu e io lo siamo, in questo momento – da quel modo di insistere del Maestro. “Il Signore non stabilisce, come prova della fedeltà dei suoi discepoli, i prodigi e i miracoli strepitosi, benché abbia loro conferito il potere di compierli, nello Spirito Santo. Che cosa dice loro? Capiranno che siete miei discepoli se vi amerete reciprocamente” (San Basilio, Regulae fusius tractatae, 3, 1)». Da Amici di Dio, n. 224.
15 [Indietro] Noto, con dispiacere, che l’ultima versione della Bibbia proposta dalla Cei pone uno stacco (con tanto di titolo proprio) tra i versetti 11 e 12. Viene meno l’effetto, che sta tanto a cuore a Gesù, di riassumere tutti i comandamenti (che chiede di osservare per rimanere nel suo amore) con l’unico suo comandamento, nuovo. Del resto, purtroppo, anche nella liturgia, da tempo si propone Giovanni 15 diviso, staccando nella lettura del giorno seguente «Questo è il mio comandamento», rispetto a ciò che è detto prima. Del resto, che il versetto 12 sia a conclusione dei versetti 9-11 (tanto che alcune traduzioni mettevano «E questo è il mio comandamento...», con un «e» conclusivo) lo si coglie anche in parallelo alla pericope seguente: «Voi siete amici miei, se fate quello che io vi comando» (versetto 14); poi commenta l’amicizia (15-16) e termina: «Questo vi comando, che vi amiate gli uni gli altri».
16 [Indietro] Tornerò spesso sul bisogno radicale di amore, che comporta l’esistenza di un vincolo primario, vera e propria «Chiesa» per tutti gli uomini di ogni tempo. Lo Spirito Santo a Pentecoste inaugura la Nuova Alleanza, proprio come legame ecclesiale di amore che può innalzarci al disopra dei legami carichi di idolatria che caratterizzano le comunità umane. Qui sottolineo che l’incontro con Cristo e il suo amore salvifico può avvenire solo se ci si innesta (battesimo) e si prende coscienza (fede viva) del legame ecclesiale in quanto primario. Un testo del Concilio Vaticano II può aiutare a capire l’importanza della Chiesa unita a Gesù, «[...] La Chiesa, chiamata “Gerusalemme celeste” e “madre nostra” (Gal 4, 26; cfr Ap 12, 17), viene (...) descritta come l’immacolata sposa dell’Agnello immacolato (Ap 19, 7; 21, 2 e 9, 22.17), sposa che Cristo “ha amato, e per essa ha dato sé stesso, al fine di santificarla” (Ef 5, 26), che si è associata con patto indissolubile e incessantemente “nutre e ne prende cura” (Ef 5, 29), che dopo averla purificata, volle a sé congiunta e soggetta nell’amore e nella fedeltà (cfr Ef 5, 24) e che, infine, ha riempito per sempre di grazie celesti, onde potessimo capire la carità di Dio e di Cristo verso di noi, carità che sorpassa ogni conoscenza (cfr Ef 3, 19)» (Lumen gentium, n. 6).
17 [Indietro] Benedetto XVI nel libro intervista Luce del mondo scrive: «Paolo dunque non intendeva la Chiesa come istituzione, come organizzazione, ma come organismo vivente, nel quale tutti operano l’uno per l’altro e l’uno con l’altro, essendo uniti a partire da Cristo», p. 194.
18 [Indietro] Un racconto vero può aiutare a capire: dei ragazzi decisero di passare due settimane in Africa per aiutare i bisognosi. A Nairobi si presentarono dalle suore di Madre Teresa di Calcutta. Li portarono in un grande stanzone disadorno, pieno di bambini piccoli in fin di vita. Mentre tra pianti e strilli un ragazzo stava guardando attonito la scena, una suora, apparentemente burbera, gli disse: «Sei venuto ad aiutare o a guardare?». «Ad aiutare». «E allora datti da fare». «Che cosa posso fare?». «Prendi questo bambino che piange e aiutalo». «Come?». «Come puoi, prendilo in braccio, cullalo, cantagli, fa quello che vuoi». Il ragazzo lo fece, e un quarto d’ora dopo il bambino gli morì tra le braccia. Lo portò dalla suora, che gli disse: «Rallegrati, hai anticipato di un quarto d’ora quello che Dio farà con lui per tutta l’eternità». Quel ragazzo, mesi dopo commentava: «Io divido la mia vita in due parti: prima di Nairobi e dopo Nairobi».
19 [Indietro] Ricordava Benedetto XVI nell’omelia della Domenica delle Palme del 2011: «Secondo la concezione biblica e nella visione dei Padri, il cuore è quel centro dell’uomo in cui si uniscono l’intelletto, la volontà e il sentimento, il corpo e l’anima. Quel centro, in cui lo spirito diventa corpo e il corpo diventa spirito; in cui volontà, sentimento e intelletto si uniscono nella conoscenza di Dio e nell’amore per Lui». Quando parleremo di «cuore» l’intenderemo in questo modo, non solamente secondo parametri sentimentali.
20 [Indietro] Naturalmente per un cristia...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. PREMESSA
  3. INTRODUZIONE
  4. PRIMATO DELLA CARITÀ
  5. CARITÀ & OPERE DI CARITÀ
  6. RELIGIONE «CRISTIANA» & FEDE CRISTIANA
  7. I TRE «CONVINCIMENTI» DELLO SPIRITO SANTO
  8. COME IMPOSTARE UNA FECONDA LOTTA ASCETICA
  9. EDUCARSI AD AMARE
  10. QUADRO CONCLUSIVO
  11. INDICE DEI NOMI
  12. Note