Una matita nelle mani di Dio
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Una matita nelle mani di Dio

Vita e santità di Madre Teresa

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Una matita nelle mani di Dio

Vita e santità di Madre Teresa

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"Io non sono che una piccola matita nelle mani di Dio. È Lui che scrive. È Lui che pensa. È Lui che decide. Lo ripeto: non sono che una piccola matita" Questo libro ripercorre la vita di Madre Teresa, al secolo Agnes Gonxhe Bo­jaxhiu, soffermandosi sui passaggi salienti sia della vocazione sia dell'opera delle Missionarie e dei Missionari della Carità a cui ha dato vita, per ispirazione divina. Con stile giornalistico rivivono in queste pagine gli incontri, le rivelazioni private e gli aneddoti più significativi, attingendo anche dagli scritti della Santa le riflessioni e i pensieri più folgoranti. Dopo il racconto dei miracoli che hanno permesso il riconoscimento della santità di Madre Teresa, ne completano il ritratto le parole con cui Giovanni Paolo II e Papa Francesco hanno accompagnato rispettivamente le cerimonie di beatificazione e di canonizzazione.

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2018
ISBN
9788881557585

Riccardo Caniato



Una matita
nelle mani di Dio

Vita & santità di Madre Teresa




con le parole di

Giovanni Paolo II & Papa Francesco


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Cercate prima il Regno e la giustizia di Dio,
e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù.
Mt 6, 33




Nessuno ha amore più grande di quello di
dare la sua vita per i suoi amici.
Gv 15, 14





A mio Papà

nei dieci anni
del suo passaggio al Cielo

Infanzia & vocazione














Madre Teresa era solita presentarsi così: «Per sangue e origine sono albanese. Ho la nazionalità indiana. Sono una religiosa cattolica. Per la mia vocazione appartengo al mondo intero. Il mio cuore, però, appartiene interamente al cuore di Gesù». La sua intera biografia si può riassumere degnamente in queste poche righe.


Albanese & benestante



Volendo ripercorrere alcuni snodi salienti della sua esistenza straordinaria, partiamo dall’inizio: le radici albanesi di cui la «Santa dei poveri» andava fiera, ricordando con l’evangelista Luca (6, 44) che «ogni albero si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, non si vendemmia uva da un rovo».
Dal passaporto diplomatico indiano, che le aprì le porte di quasi tutti i Paesi del mondo, apprendiamo che la Madre – che scelse il nome di Teresa, all’atto della vestizione, in onore di santa Teresina di Lisieux – era nata il 26 agosto 1910, col nome, al secolo, di Agnes Gonxhe Bojaxhiu. Vide la luce a Skopje, capitale dell’attuale Macedonia, che allora era una cittadina di 25 mila anime, di ceppo albanese, che custodivano nascostamente, ma gelosamente, la loro identità di popolo all’ombra plurisecolare dell’Impero ottomano.
Fu l’ultima di tre fratelli, di cui un maschio, Lazar, nato nel 1907, e una femmina, Age, la primogenita, del 1904.
Contrariamente a una certa vulgata Agnes non nacque povera, ma da famiglia benestante e cattolica. Suo padre, Kole, non era infatti il modesto contadino in seguito a lungo mediaticamente accreditato, ma un professionista di spicco e influente nella comunità; e fu tra l’altro eletto membro del consiglio comunale. Aveva ereditato dai genitori un importante giro di affari, che si estendeva dal Kossovo, da dove la sua famiglia si era trasferita, fino all’Egitto. Lui stesso viaggiava molto per seguire i suoi commerci e parlava correttamente diverse lingue. A Skopje possedeva un rinomato negozio di drogheria, dove si commerciavano non solo prodotti alimentari, ma anche tessuti, pelli e vari capi d’abbigliamento coloniali. Inoltre, a seguito del buon andamento degli affari, si distinse anche come imprenditore edile e costruì il primo teatro cittadino.


L’assassinio del padre



Uomo generoso e caritatevole, Kole formava con la moglie Dranafile Bernaj – detta Drane, le cui origini erano addirittura nobili – una coppia affiatata, e insieme crearono le condizioni per una famiglia felice, sempre aperta agli amici e all’accoglienza dei meno fortunati e bisognosi.
In questo contesto i figli crescevano sereni. Tra tutti, a detta del fratello Lazar molti anni dopo, la piccola Agnes era la più allegra e spensierata. La chiamavano affettuosamente Gonxha, che significa «bocciolo», a motivo delle sue guancette rosee e paffute.
Un’armonia così solidamente costruita non si guastò nemmeno con la tragica, prematura morte del capofamiglia. Kole fu avvelenato durante un breve soggiorno a Belgrado, dove si era recato per una riunione politica del suo partito. Bojaxhiu era sì un uomo buono, ma anche un patriota e, per di più, un cristiano praticante: queste peculiarità gli furono fatali sotto una dominazione turca e musulmana, in un tempo e in una regione in cui i bollori nazionalisti erano in perenne fermento e, ora, stavano per esplodere.
Nel 1912, infatti, Skopje ritroverà la sua indipendenza, che, peraltro, verrà subito rimessa in discussione durante la Prima guerra mondiale; e, dopo la fine della Seconda e la parentesi della dominazione italiana, sarà annessa, con la Macedonia, alla federazione comunista jugoslava. Il Regno di Albania, così come era avvenuto alla sua fondazione, nel XV secolo, per mano dell’eroe nazionale Gjergj Kastrioiti, si consumò anche nel XX secolo nello spazio di pochissimi anni. Al suo posto, dopo pesanti mutilazioni e smembramenti territoriali, nascerà una dittatura di influenza sovietica, che rimanderà per parecchio tempo l’appuntamento con la libertà e la democrazia.
Le conseguenze di tali sconvolgimenti saranno drammatici anche per il microcosmo dei Bojaxhiu, al punto che Agnes, una volta partita per le missioni, non bacerà mai più i volti a lei cari della mamma e della sorella, nel frattempo trasferitesi a Tirana.
Il regime, vedendo in quella suora famosa una pericolosa avversaria reazionaria e papista, le negherà, infatti, sistematicamente, a ogni sua richiesta, il visto di ingresso; e la stessa sorte toccherà al fratello Lazar, che, emigrato in Italia, farà fortuna e famiglia stabilendosi a Palermo. Alla sorella Age, licenziata senza spiegazioni da Radio Tirana, dove lavorava come annunciatrice, e a mamma Dranafile, entrambe ridotte in estrema povertà, verrà al tempo stesso impedito l’espatrio, giustificando tale divieto con imprecisati «motivi di salute»; e questo ripetutamente, fino alla morte delle due donne, avvenuta nel 1973 per Drane e l’anno seguente per Age. Madre Teresa avrebbe così potuto riabbracciare unicamente il fratello Lazar, ma solamente a partire dal 1960, quando lo rincontrò per la prima volta a Roma, per poi intrattenere costanti rapporti fino alla dipartita di lui, nel 1981.


Dranafile: una madre coraggio



Ma, ritornando alla cronologia dei fatti, dopo la morte di Kole è la figura di Dranafile Bojaxhiu a imporsi sulla scena. I biografi sono concordi nell’indicare in questa donna piccola e indomita il collante della famiglia dopo il grave lutto che la colpì e un insuperabile modello di fede per la piccola Agnes.
«Mia madre era una santa», ebbe a ripetere in più occasioni la Suora di Calcutta: «Cercava di educarci all’amore di Dio e del prossimo». Nel solco di quanto si era fatto la loro casa rimase sempre aperta ai poveri, anche se, morto Kole, il suo socio, tale Nicholas, aveva truffato i Bojaxhiu, privandoli dell’eredità e gettandoli nella miseria. Ma neanche per questo Drane si era persa d’animo, mettendosi a tessere, a ricamare e a vendere i suoi splendidi manufatti, garantendo sostentamento ai figli.
«Nonostante la morte del babbo», testimoniò sempre Madre Teresa, «la vita della nostra famiglia proseguì felice. Eravamo più uniti di prima, vivevamo gli uni per gli altri, cercando il bene di ciascuno».
Questo bene Drane lo individuava saldamente in Dio: «La mamma faceva ogni sforzo affinché amassimo Gesù. Fu lei stessa a prepararci alla Prima Comunione e ad amar Dio al di sopra di tutte le cose».


Nel santuario di Letnice



Fu in questo contesto che Agnes maturò l’idea di farsi missionaria. Fin da piccola aveva partecipato attivamente alle attività della parrocchia del Sacro Cuore, dove aveva anche ricevuto i primi rudimenti scolastici, proseguiti poi nella scuola pubblica, dove apprese il serbo-croato.
Ma in chiesa, grazie anche all’esempio materno, aveva maturato a sua volta i germi della fede.
Negli anni dell’infanzia imparò a tessere con Dio un rapporto quotidiano fatto di meditazioni e di preghiera. Inoltre, fu grazie ai volumi della biblioteca parrocchiale se imparò a leggere e a prendere contatto con le Sacre Scritture, le storie dei santi, il catechismo e il Magistero.
Poi, improvvisa, la chiamata: «Avevo dodici anni quando avvertii per la prima volta con estrema chiarezza il desiderio di farmi suora».
Questa percezione si verificò durante uno dei pellegrinaggi che la famiglia compiva ogni anno, a piedi o in carrozza, alla Madonna di Cernagora, venerata nel Santuario di Letnice. La mamma, devotissima alla Vergine, aveva intrapreso questa usanza, mentre ogni sera invitava i figli a recitare il Rosario con lei.
In un giorno del 1922 Agnes sentì, dunque, con forza, la proposta di consacrarsi a Dio. Fu come – rivelò in seguito – se la Madonna stessa glielo chiedesse; e già lì comprese che avrebbe dovuto essere una mano tesa per i poveri.
Di ritorno da quel pellegrinaggio, tuttavia, la vita riprese il suo corso quotidiano e finì per assopire, per alcuni anni, l’intuizione, o la voce forte di quel giorno.


I missionari del Bengala



Ma Dio ben presto ritornò a bussare. Nel 1925 divenne parroco al Sacro Cuore il gesuita padre Jambrenkovic, il quale, da eclettico qual era, diede immediato impulso a moltissime attività, che spaziavano dal teatro alla musica, dalla letteratura alla poesia, dalle scienze alla psicologia, passando per la medicina.
Per cementare i ragazzi cristiani della città fondò, poi, l’Associazione dei Giovani Cattolici, da cui dipese la Confraternita della Vergine Maria, a cui prontamente aderì anche Agnes. Fu durante questi momenti di formazione e preghiera che la giovane venne a conoscenza de...

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  1. Una matita nelle mani di Dio
  2. Le parole di Giovanni Paolo II & Papa Francesco
  3. Dagli scritti di Madre Teresa