Ultradestra
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Radicali ed estremisti dall'antagonismo al potere

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Radicali ed estremisti dall'antagonismo al potere

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L’estrema destra, anche quando esplicitamente vicina a posizioni xenofobe, antisemite, fasciste e naziste non è più una questione limitata a sparute minoranze di collocazione prevalentemente extraparlamentare.
In meno di un secolo dalla fine del secondo conflitto mondiale, movimenti, partiti, leader e idee dell’ultradestra sono entrati a far parte della cultura di massa, hanno permeato le campagne e le agende dei partiti tradizionali, influenzando il contenuto del dibattito pubblico e arrivando al governo di alcune tra le più grandi democrazie al mondo.
Ultradestra dimostra come l’emergere di forze un tempo considerate eversive sia tutt’altro che una tendenza episodica e destinata a esaurirsi nel breve periodo, ma il momento culminante di un processo lungo anni che ha portato allo sdoganamento di stili, linguaggi e politiche un tempo ritenuti pericolosi e di minoranza.
La prepotente marcia dell’ultradestra descritta da Cas Mudde in queste pagine ha stravolto nel volgere di pochi anni la percezione di temi come immigrazione, diversità, sicurezza, Europa e globalizzazione, e sarà ricordata, indipendentemente dalle traiettorie politiche che seguiranno le nostre società future, come una stagione di profonda messa in discussione dei principi fondamentali della democrazia liberale.

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Informazioni

capitolo 1

Storia
Nel 1945, il mondo iniziò a riprendersi dal secondo conflitto mondiale scoppiato nel giro di trent’anni. Si stima che vennero uccisi tra i 75 e gli 85 milioni di persone, e molte di più furono gravemente ferite. L’Europa era in rovine. Furono la Germania nazista e l’Unione Sovietica a subire le peggiori devastazioni, ma quasi tutte le nazioni europee furono gravemente colpite dal collaborazionismo, dalle distruzioni e dall’occupazione. Milioni di appartenenti alle minoranze etniche morirono a causa della violenza nazista e nei campi di concentramento, furono soprattutto ebrei, rom e sinti (a cui ci si riferisce comunemente con il dispregiativo di “zingari”), omosessuali e comunisti.
Mentre il continente europeo iniziava a riprendersi dalla divisione tra fascisti e antifascisti, una nuova divisione stava facendo la sua comparsa, quella tra comunisti e anticomunisti. La Guerra Fredda separò l’Europa in un Occidente capitalista e (principalmente) democratico e un Est socialista e autoritario. Questa divisione precedeva già la Seconda guerra mondiale e i due schieramenti si allearono solo per fronteggiare la comune minaccia fascista, dal momento che l’antifascismo era uno dei pochi valori che i comunisti e le democrazie liberali condividevano (fatto salvo il cinico patto stretto da Hitler e Stalin tra il 1939 e il 1941). Eppure, non appena il fascismo venne distrutto, i due tornarono a essere nemici mortali.
Il favore generale nei confronti dell’antifascismo sopravvisse alla Guerra Fredda, nonostante ci fossero state fondamentali differenze a livello nazionale e locale nel modo in cui i Paesi avevano affrontato l’ultradestra del dopoguerra. Negli Stati comunisti, tutte le idee e i movimenti “fascisti” furono vietati, così come tutti i movimenti e le idee non comunisti. La maggior parte dei collaborazionisti e dei fascisti est-europei furono uccisi durante la guerra e durante la repressione postbellica, oppure riuscirono a scappare verso le Americhe, principalmente, dove si sono integrati in più ampie comunità di emigrati anticomunisti, spesso già portatrici di idee di destra.
La maggior parte delle democrazie occidentali, soprattutto nelle nazioni che furono occupate dalla Germania nazista, attraversarono una fase di repressione dei collaborazionisti e dei fascisti locali, anche violenta ed extragiudiziaria. Molte altre si limitarono invece ad ambigue restrizioni legali sui movimenti e le idee di ultradestra. Le nazioni che non avevano subito un’occupazione, come gli Stati Uniti e il Regno Unito, non introdussero praticamente alcuna restrizione, mentre altre, soprattutto la Germania e l’Italia, vietarono ufficialmente le idee e i movimenti “neofascisti” (si veda il capitolo 8). Nonostante i diversi sistemi legali, e le diverse pressioni sociali, la lezione generale appresa dalla Seconda guerra mondiale fu quella del “mai più”. Era un sentimento che fu anche al centro del processo di integrazione europea, che puntava a integrare le economie e a condividere la sovranità per creare un bastione contro il nazionalismo.
le tre ondate di ultradestra del dopoguerra, 1945-2000
Nel 1988, lo scienziato politico tedesco Klaus von Beyme1 identificò tre ondate di politica di ultradestra nell’Europa occidentale postbellica. Sebbene ci sia un certo dibattito sulle precise caratteristiche e tempistiche di queste diverse ondate, il suo modello fornisce quanto meno una bozza di come l’ultradestra se la sia passata nella seconda metà del Ventunesimo secolo.
Neofascismo, 1945-55
Nel periodo immediatamente successivo alla sconfitta del fascismo, la politica di ultradestra, piuttosto che marciare verso il futuro, aveva fatto notevoli passi indietro. Dal momento che, durante la guerra, quasi tutti i militanti e i gruppi di ultradestra avevano collaborato con i fascisti, la politica di ultradestra era quasi universalmente rifiutata; e in alcuni Paesi, come Germania e Paesi Bassi, ogni forma di nazionalismo veniva percepita negativamente. La maggior parte degli europei che avevano supportato ideologicamente o collaborato opportunisticamente con i regimi fascisti si adattò alla nuova realtà democratica, diventando apolitica o operando all’interno del sistema e dei partiti democratici.
Un piccolo gruppo di fascisti rimasti fedeli alla causa, che non erano stati o non erano più imprigionati, operava principalmente ai margini della società. Erano descritti come “neofascisti”, ma c’era ben poco di nuovo in loro. Erano vecchi fascisti rimasti fedeli alla loro vecchia ideologia, suddivisi in organizzazioni che fornivano cameratismo e supporto sociale per gli “eroi” e i “martiri” della causa fascista. Tra i gruppi più importanti c’erano quelli che si occupavano di aiutare gli ex combattenti del fronte orientale (principalmente Waffen-SS) e le loro famiglie, come il belga Sint-Maartensfonds (Fondo San Martino) o la tedesca Associazione di mutuo soccorso degli ex membri delle Waffen-SS, in sostegno di milioni di bambini e mogli che avevano perso i loro padri e mariti ed erano rimasti senza pensione di Stato perché i loro Paesi li consideravano traditori.
I (neo)fascisti che volevano restare politicamente attivi dovevano operare in un clima ostile dal punto di vista politico e legale. Anche se attente a non mostrarsi apertamente neofasciste, le organizzazioni di ultradestra guidate da ex fascisti di alto rango raramente conquistavano il sostegno popolare e spesso dovevano fronteggiare una notevole repressione da parte dello Stato. La maggior parte dei partiti politici non partecipava alle elezioni e anche se lo faceva restava ben al di sotto della soglia elettorale necessaria a conquistare una rappresentanza parlamentare. Molti partiti (neo)fascisti furono vietati negli anni Cinquanta, incluso il tedesco SRP (Partito socialista del Reich), nel 1952, e l’olandese Movimento nazionale sociale europeo, nel 1956.
L’eccezione principale fu il Movimento sociale italiano (MSI), guidato da un ex funzionario del governo fascista, Giorgio Almirante, e che non fece segreto delle sue inclinazioni: si ritiene che le iniziali del partito significassero “Mussolini sei immortale”. Nonostante la nuova Costituzione italiana affermasse esplicitamente “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto Partito fascista”, il MSI fece il suo ingresso in Parlamento nel 1948 e fu lì rappresentato fino alla sua trasformazione nella “postfascista” Alleanza nazionale, nel 1995. Fornì anche supporto parlamentare al governo Tambroni, nel 1960.
Al di fuori dell’Europa, le idee neofasciste erano spesso rappresentate da organizzazioni di emigrati dall’Est Europa presenti nelle Americhe e in Australia. Queste furono rafforzate dall’afflusso di ex militanti e politici fascisti provenienti soprattutto dai regimi collaborazionisti di Croazia, Ungheria e Slovacchia dopo la fine della Seconda guerra mondiale. In America Latina, alcuni gruppi più o meno rilevanti vennero fortemente influenzati da regimi di ultradestra, come l’Estado Novo di António Salazar in Portogallo e, soprattutto, la Falange di Francisco Franco in Spagna.
Nel tentativo di sfuggire alla loro marginalizzazione nazionale, alcuni leader fascisti cercarono di organizzarsi a livello internazionale. Il tentativo più celebre fu quello del Movimento sociale europeo (ESM), ispirato dal successo dell’MSI, fondato con un congresso a Malmö (Svezia) nel 1951. Nonostante avesse riunito i più rinominati militanti di ultradestra dell’epoca, così come i rappresentanti dei più rilevanti partiti di ultradestra (inclusi l’MSI e il SRP), l’ESM rimase un movimento marginale per tutta la durata della sua breve vita, diventando moribondo già nel 1957. Lo stesso avvenne a tutti gli altri tentativi di collaborazione di ultradestra, inclusi quelli che miravano a sviluppare un nazionalismo europeo guidato da personalità come il fascista britannico Oswald Mosley (coinvolto anche nell’ESM) o l’avvocato e polemista statunitense Francis Parker Yockey, fondatore dell’ambizioso (almeno nel nome) Fronte di liberazione europeo, la cui vita andò dal 1949 al 1954.
Populismo di destra, 1955-80
Dei piccoli gruppi neofascisti continuarono a esistere ai margini delle società occidentali, ma i decenni successivi videro l’avanzata di una varietà di partiti e di politici populisti di destra, definiti più dalla loro opposizione alle élite del dopoguerra che dalla fedeltà a un regime e a un’ideologia sconfitti. Gli ex fascisti giocarono un ruolo in molti di questi partiti, ma essi non erano neofascisti né in termini di ideologia né per quanto riguardava chi vi prendeva parte. Più di qualunque altra cosa, questi partiti si ribellavano ad alcune condizioni del dopoguerra, in particolare la marginalizzazione delle periferie rurali e lo sviluppo del Welfare State.
Sebbene ci fossero già stati dei partiti populisti di destra, come negli anni Quaranta il Partito agricolo nazionale d’Irlanda e il Fronte dell’uomo qualunque in Italia, il movimento distintivo fu l’Unione per la difesa dei commercianti e degli artigiani, meglio noto come poujadismo, dal nome del suo leader Pierre Poujade. Il poujadismo includeva sì parecchi elementi del fascismo, tra cui un forte accento sul personalismo del leader e un martellante antiparlamentarismo – Poujade definì l’Assemblée Nationale “il più grande bordello di Parigi” –, ma non era apertamente antidemocratico. Divenne un movimento di massa praticamente da un giorno all’altro, potendo contare su 400 mila membri nel 1955 e conquistando 52 seggi alle elezioni del 1956 sotto il nome di Unione e fraternità francese. Quando il generale Charles De Gaulle fondò la Quinta Repubblica nel 1958, i poujadisti sparirono rapidamente dal panorama politico francese, lasciando comunque un’importante eredità: Jean-Marie Le Pen, che era stato il leader del loro movimento giovanile e fu il più giovane parlamentare eletto nella storia della Francia postbellica nel 1956 (una conquista che sua nipote, Marion Maréchal-Le Pen avrebbe ripetuto nel 2012).
Dopo i poujadisti, ci furono partiti populisti rurali simili, in particolare il Partito degli agricoltori nei Paesi Bassi, ma i più importanti partiti populisti di destra che emersero nella fase avanzata della seconda ondata ebbero un profilo differente. Nel 1973, il Partito del progresso colse di sorpresa l’establishment politico danese, ottenendo il 15,9% dei voti alle sue prime elezioni. Il partito era stato fondato solo l’anno precedente dallo stravagante avvocato e personaggio televisivo Mogens Glistrup. Sempre nel 1973, un partito simile, inizialmente battezzato Partito di Anders Lange per una forte riduzione delle tasse, delle tariffe e dell’intervento pubblico, ma poi rinominato Partito del progresso nel 1977, conquistò un più modesto 5% in Norvegia. Entrambi i partiti del progresso sarebbero più correttamente descrivibili in termini di “populismo neoliberale”, in lotta contro le tasse elevate e il ruolo dello Stato. Il partito danese voleva eliminare del tutto la Difesa, sostituendo la sua politica con un messaggio nella segreteria telefonica che affermava “ci arrendiamo” in russo.
In aggiunta, vennero fondati alcuni nuovi partiti di ultradestra ibridi, che combinavano cioè idee ed esponenti della vecchia estrema destra (spesso neofascista) con idee e esponenti della nuova destra radicale. Il primo di questi partiti fu probabilmente lo svizzero Azione nazionale per la gente e la nazione, fondato nel 1961; ma il più importante e duraturo fu il tedesco Partito nazional democratico (NDP), fondato nel 1964. Sebbene fosse stato fondato da ex funzionari nazisti, l’NDP si concentrava soprattutto su tematiche postbelliche, incluso il più importante dei temi del futuro: l’immigrazione non europea. Allo stesso modo, il britannico Fronte nazionale (NF), un partito volgarmente razzista, fondato nel 1967 dalla fusione di piccoli gruppi, ebbe un impatto circoscritto sul finire degli anni Settanta, organizzandosi dietro slogan come “Stop all’immigrazione” e “Make Britain Great Again”.
Negli Stati Uniti, il populismo di destra operava principalmente all’interno del più ampio movimento anticomunista, i cui rappresentanti più (tristemente) noti furono il senatore Joseph McCarthy e la John Birch Society. Il movimento ebbe un colpo di coda durante la campagna presidenziale del senatore repubblicano Barry Goldwater, che si concluse in maniera disastrosa ma fornì i semi per la nascita di una nuova, più radicale, sottocultura conservatrice. Il momento più importante per la destra radicale, però, fu la corsa presidenziale del 1968 del governatore dell’Alabama George Wallace, sotto le insegne del Partito indipendente americano. Grazie a un programma esplicitamente razzista, e difendendo con veemenza la segregazione razziale, Wallace è stato l’unico candidato di un partito terzo che nel dopoguerra è riuscito a conquistare degli Stati: in effetti, vinse ben cinque Stati, tutti ex confederati. L’avvenimento fu parte della più ampia opposizione razzista alla desegregazione in corso negli ex Stati confederati, che vide la partecipazione del famigerato Ku Klux Klan (KKK) – il quale aveva già prosperato due volte in passato, sul finire degli anni Sessanta del 1800 e degli anni Venti del secolo scorso, e ora, alla sua terza incarnazione negli anni Sessanta, era nuovamente cresciuto fino a contare circa 50 mila membri – e il più rispettabile Citizens Council, la cui adesione era stimata in circa 250 mila membri.
La destra radicale, 1980-2000
La prima significativa ondata politica di ultradestra in Europa occidentale iniziò sul finire degli anni Ottanta e prese davvero vigore solo negli anni Novanta. Alimentati dalla disoccupazione e dall’immigrazione di massa, per quanto con un ritardo di quasi un decennio, i partiti della destra radicale iniziarono lentamente ma costantemente a fare ingresso nei Parlamenti nazionali. Il primo fu il Blocco fiammingo (VB), che entrò nel Parlamento belga come parte di un’alleanza elettorale, seguito dal Partito di centro olandese nel 1982. Entrambi i partiti avevano un modesto seguito elettorale, attorno all’1%, che nei sistemi elettorali dei rispettivi Paesi, fondati sostanzialmente su un proporzionale puro, si traduceva in un unico rappresentante. Nel 1986, il Fronte nazionale francese, che era stato fondato 14 anni prima e le cui competizioni elettorali fino a quel momento erano state prive di successo, si avvantaggiò di una modifica al sistema elettorale e riuscì a tramutare il suo 9,6% di voti in 35 seggi parlamentari. Due anni dopo, la Francia tornò al precedente sistema maggioritario, ottenendo il suo obiettivo: il Fronte nazionale conquistò una percentuale identica, ma non ricevette nessun seggio.
In aggiunta ai vari nuovi partiti di destra radicale, come i Repubblicani in Germania e i Democratici svedesi (SD), la terza ondata incluse anche alcuni ex partiti istituzionali, come l’FPÖ in Austria e il Partito popolare svizzero (SVP), che si erano tramutati in partiti di destra radicale sotto la guida dei loro nuovi leader (ufficiali o ufficiosi che fossero): rispettivamente, Jörg Haider e Christoph Blocher. Questi partiti si dimostrarono molto più longevi dei precedenti partiti di ultradestra – fatto salvo l’MSI – e, con alcune eccezioni, sono rilevanti ancora oggi.
Dopo la caduta del comunismo, nel 1989, l’ultradestra emerse anche in varie nazioni postcomuniste, seppur inizialmente in forme più marcatamente regionali. Si trattava di partiti come il Partito croato dei diritti e il Partito nazionale slovacco (SNS), che riproponevano l’ideologia, e anche alcuni esponenti, dei partiti fascisti degli anni Trenta e Quaranta, e di partiti che univano elementi di ultradestra alla nostalgia comunista, come il Partito grande Romania. Allo stesso tempo, alcuni politici di ultradestra venivano eletti nelle liste di partiti non di ultradestra, come il Partito socialista bulgaro, il Partito comunista della Federazione russa e Azione elettorale Solidarnosc in Polonia.
A cavallo del...

Indice dei contenuti

  1. Ultradestra
  2. Indice
  3. Prefazione. La grande trasformazione dell’ultradestra di Caterina Froio
  4. Ringraziamenti
  5. Abbreviazioni
  6. Introduzione
  7. Capitolo 1. Storia
  8. Capitolo 2. Ideologia
  9. Capitolo 3. Organizzazione
  10. Capitolo 4. Persone
  11. Capitolo 5. Attività
  12. Capitolo 6. Cause
  13. Capitolo 7. Conseguenze
  14. Capitolo 8. Reazioni
  15. Capitolo 9. Genere
  16. Capitolo 10. Dodici tesi sulla quarta ondata
  17. Cronologia
  18. Glossario
  19. Letture di approfondimento