IL LINGUAGGIO DELLA RIPRESA (LA PRODUZIONE)
Introducendo il concetto di Découpage si è rilevato che, in sede di ripresa, lo spazio-tempo continuo e unitario della realtà viene suddiviso in piccole parti discrete e discontinue che servono poi per creare, in sede di montaggio, un nuovo spazio e un nuovo tempo che sono però virtuali – che sono cioè categorie mentali stimolate dalle immagini, ma prodotte, in ultima analisi, dallo spettatore – che pertanto hanno caratteristiche affatto diverse dai corrispondenti aspetti fenomenologici della realtà.
È bene, a questo punto, soffermarsi ad analizzare meglio quali siano gli elementi che maggiormente concorrono a determinare queste differenze e precisare il senso e gli effetti di queste virtualità. Si cercherà innanzi tutto di descrivere e definire i parametri che concorrono a creare l’idea virtuale di spazio, rinviando il discorso sul tempo (cui si è già accennato nel paragrafo concernente la scaletta) alla trattazione del montaggio.
1. LO SPAZIO CINEMATOGRAFICO
I parametri che definiscono lo spazio virtuale cinematografico possono essere suddivisi in due categorie: statici e dinamici. I fattori statici sono quelli che riguardano la composizione del quadro, cioè le caratteristiche osservabili nell’immagine quando essa venga analizzata dal punto di vista della disposizione volumetrica degli elementi in essa inseriti e dei loro reciproci rapporti prospettici apparenti. I fattori dinamici sono invece quelli che riguardano lo spazio interattivo, cioè quelli che pongono lo spazio “interno” di un quadro in rapporto sia a ciò che è ad esso “esterno” (il cosiddetto “fuori campo”) sia allo spazio (virtuale) dei quadri antecedente e successivo. Schematicamente possiamo quindi distinguere:
- Fattori statici della Composizione del quadro:
- Grandezze scalari del “campo/piano”
- Pesature compositive in rapporto al formato schermico
- Angolazioni e inclinazioni
- Obiettivi di ripresa
- Contrasto Soft-focus/Profondità di campo
- Luce e Colore
- Fattori dinamici dello Spazio interattivo:
- Il “fuori campo” e i raccordi spaziali
- I movimenti di macchina
Prima di passare nel concreto all’analisi dei suddetti fattori, è bene premettere che la suddivisione proposta è puramente teorica e finalizzata unicamente ad una maggiore comodità d’analisi. Il cinema, come detto, è infatti essenzialmente movimento e tutti i parametri che qui si definiscono come statici fanno, sempre e comunque, parte dello spazio virtuale dinamico.
1.1. Le grandezze scalari del “campo/piano”
Nella sceneggiatura tecnica, come già accennato, la descrizione di ogni inquadratura viene fatta precedere dall’indicazione di grandezza scalare di Campo o Piano. Con tali termini si indica la grandezza apparente di luoghi e persone rispetto ai bordi dello schermo, cioè la loro apparenza prospettica all’interno del quadro. Si usa il termine campo riferito alla raffigurazione di luoghi; il termine piano è invece riferito alla figura umana.
La grandezza scalare apparente dell’oggetto/persona nel quadro dipende da: a) la sua distanza dalla macchina da presa; b) il tipo di obiettivo utilizzato per la ripresa (vedi oltre). In relazione a tale grandezza apparente di luoghi e figure, si possono avere:
Oltre che nei casi citati, il termine “campo” è utilizzato anche per riprese in interni per indicare grandezze scalari equivalenti al C.L e al C.M. e denominate Campo Totale (C.T.) e Semi Totale, che riportano, rispettivamente, la totalità o una parte di un ambiente.
La classificazione di campi e piani qui proposta non pretende di essere rigorosa ed esaustiva di tutte le possibilità di determinazione del piano, ma vuole solo fornire dei parametri di orientamento. C’è chi propone una classificazione più pignola per i piani ristretti – indicando, per esempio, con Mezzo Primo Piano (M.P.P.) la ripresa del corpo umano dal busto in su e riservando la dizione P.P. solo al piano comprendente testa e spalle – e c’è chi aggiunge gli aggettivi “largo” o “stretto” ad ogni indicazione di piano. In effetti però – come possono facilmente dimostrare i piani delle fig. 4 bis, 5 bis e 6 bis, che sono vicine ma non uguali ad alcuni dei piani indicati – una classificazione precisa non è possibile perché, come ricorda Metz, [op. cit., p. 170] piani e campi “sono di numero infinito” e sono essenzialmente“invenzioni del cineasta”. Campi e piani non possono quindi, in alcun modo, essere considerati come elementi di un lessico sempre riutilizzabile in forma immutata (cioè alla stregua delle parole di una lingua). Al contrario sono in sé categorie vuote senza alcun preciso significato fino a quando non vengano contestualizzate in un discorso visivo testuale che conferisca loro precisi contenuti e specifiche funzioni di carattere descrittivo, narrativo ed espressivo. Un discorso approfondito ed esaustivo sull’argomento è quindi possibile solo dopo un ampio discorso sul montaggio e solo a livello testuale (cioè relativo al singolo film) perché il ruolo e la funzione di un campo o di un piano possono cambiare a seconda che essi facciano parte di un’inquadratura lunga e con variazioni scalari all’interno (come nel caso di un movimento di macchina) o che, al contrario, appaiano sullo schermo dopo una grandezza scalare diversa e rimangano inalterati per tutta la durata dell’inquadratura. Ciò premesso, si cercherà ugualmente di rintracciare qualche parametro di riferimento che permetta di fare generalizzazioni di massima sulla loro funzione e sul loro uso discorsivo più ricorrente.
1.1.1. Funzione espressiva di campi e piani
Come scrive Marcel Martin, “la maggior parte dei campi e dei piani non hanno altra ragion d’essere che la comodità della percezione e la chiarezza del racconto” [1985, p. 40]. I parametri generali che stanno alla base dell’ampia scelta fra tutti i piani e campi sono quindi il rapporto fra il valore significante del luogo dell’azione e l’espressione della soggettività del personaggio che l’azione compie.
In linea generale si può sostenere che i campi larghi hanno una funzione essenzialmente descrittiva, mentre nei piani stretti prevale la sottolineatura psicologica dello stato d’animo del personaggio. Il C.L.L, in cui la presenza umana non è percettibile o è spesso solo accidentale, e il C.L., in cui la figura umana pur essendo percepibile risulta comunque molto ridotta in rapporto allo spazio che l’inquadratura mostra, possono però avere una funzione psicologica per esprimere la solitudine di un personaggio e/o la sua impotenza di fronte alla natura. A parte questi casi, dal C.M, in cui spazio e peso della figura umana cominciano a equilibrarsi senza il prevalere dell’uno sull’altro, alla M.F., in cui il mondo circostante ha più che altro una semplice funzione di presenza di riferimento (spesso unicamente per permettere allo spettatore una collocazione spaziale del personaggio), ciò che guida e impone la scelta è sempre il rapporto fra necessità di mostrare l’oggettività dell’azione e il bisogno di far conoscere le reazioni soggettive dei personaggi.
Non è ovviamente possibile indicare “regole” precise e generali per la ricerca di questo bilanciato rapporto fra soggettività ed oggettività. Si possono però individuare due parametri generali molto importanti che spesso operano in modo complementare: il rapporto con il “fuori campo” dell’immagine e la contestualizzazione di genere in cui l’azione viene ad iscriversi.
Come si è già osservato l’immagine è sempre una metonimia (o sineddoche), cioè l’espressione di una parte per significare un tutto. Quindi, quando si seleziona uno spazio da inquadrare, è essenziale che ciò che l’immagine mostra possa in qualche modo inferire, cioè richiamare alla mente, ciò che dal campo viene escluso, ma la cui “presenza mentale” nella percezione dello spettatore risulta essenziale. Di conseguenza, il campo prescelto non solo deve corrispondere all’esigenza di porre l’accento sul particolare interno al quadro cui si voglia dare preminenza, ma deve anche ottemperare all’esigenza opposta: non escludere elementi essenziali.
Per decidere sull’essenzialità o meno di un elemento può venirci in aiuto l’altro parametro correlato: il contesto di genere. In un dialogo salottiero fra due o più personaggi, ad esempio, un’abbondanza di pian...