Pilato e Gesú
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Pilato e Gesú

  1. 96 pagine
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Pilato e Gesú

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Chi è Ponzio Pilato, il prefetto della Giudea davanti al quale si svolse il processo a Gesú che si concluse con la crocifissione? Un tiranno crudele e spietato o un funzionario pavido ed esitante, che si lascia convincere dal sinedrio a condannare un uomo che ritiene innocente? Una maschera ironica e disincantata che pronuncia battute memorabili ("Che cos'è la verità?", "Ecce Homo!", "Quel che ho scritto, ho scritto") o una severa figura teologica senza la quale il dramma della passione non avrebbe potuto compiersi? Rimettendo in scena il processo in tutte le sue fasi, Agamben ne propone una inedita e puntuale lettura. Nel dialogo fra Pilato e Gesú, due mondi e due regni si stanno di fronte: la storia e l'eternità, il sacro e il profano, il giudizio e la salvezza.

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Informazioni

Editore
nottetempo
Anno
2020
ISBN
9788874528387
Pilato e Gesù
1. Il symbolon, il “credo” in cui i cristiani compendiano la loro fede, contiene, accanto a quelli del “signore Gesù Cristo” e della “vergine Maria”, un unico nome proprio, del tutto estraneo – almeno in apparenza – al suo contesto teologico. Si tratta, per di piú, di un pagano, Ponzio Pilato: staurothenta te yper emon epi Pontiou Pilatou, “crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato”. Il “credo” che i Padri avevano formulato a Nicea nel 325 non conosceva questo nome. Esso vi fu aggiunto nel 381 dal Concilio di Costantinopoli, secondo ogni evidenza per fissare anche cronologicamente il carattere storico della passione di Gesù. “Il credo cristiano”, è stato osservato, “parla di processi storici. Ponzio Pilato vi figura per ragioni essenziali e non è solamente un uccello del malaugurio capitato per caso in quei luoghi” (Schmitt, p. 253).
Che il cristianesimo sia una religione storica, che i “misteri” di cui essa parla siano anche e innanzitutto fatti storici, è scontato. Se è vero che l’incarnazione di Cristo è “un evento storico di infinita, inappropriabile, inoccupabile unicità” (ibid.), il processo di Gesù è allora uno dei momenti chiave della storia dell’umanità, in cui l’eternità ha incrociato in un punto decisivo la storia. Tanto piú urgente è il compito di comprendere come e perché questo incrocio fra il temporale e l’eterno e fra il divino e l’umano abbia assunto proprio la forma di una krisis, cioè di un giudizio processuale.
2. Perché proprio lui, Pilato? Una formula del tipo Tiberiou kaesaros – che si legge sulle monete coniate da Pilato e aveva per sé l’autorità di Luca, che data cosí la predicazione di Giovanni (Lc. 3,1) – o sub Tiberio (come Dante fa dire a Virgilio: “nacqui sub Iulio”, Inf. 1,70) sarebbe stata certamente piú consona all’uso. Se i padri riuniti a Costantinopoli hanno preferito Pilato a Tiberio, il prefetto – o, come preferisce chiamarlo Tacito (Ann. XV,44), in una delle poche testimonianze extrabibliche che menzionano il suo nome, il “procuratore” della Giudea – a Cesare, è possibile che sull’indubbio intento cronografico abbia prevalso il rilievo che la figura di Pilato ha nella narrazione dei Vangeli. Nella puntigliosa attenzione con cui soprattutto Giovanni, ma anche Marco, Luca e Matteo descrivono le sue esitazioni, il suo tergiversare e mutare opinione, riferendo alla lettera le sue parole, a volte decisamente enigmatiche, gli evangelisti rivelano forse per la prima volta qualcosa come l’intenzione di costruire un personaggio, con la sua psicologia e i suoi idiotismi. È la vivezza di questo ritratto che fa esclamare a Lavater in una lettera a Goethe del 1781: “Io trovo in lui tutto: cielo, terra e inferno, virtú, vizio, saggezza, follia, destino, libertà: egli è il simbolo di tutto in tutto”. Si può dire, in questo senso, che Pilato sia forse l’unico vero “personaggio” dei Vangeli (Nietzsche lo ha definito nell’Anticristo “l’unica figura – Figur – del Nuovo Testamento che meriti rispetto”), un uomo di cui conosciamo le passioni (“si meraviglia molto”, Mt. 27,14; Mc. 15,5; “ha grande paura”, Gv. 19,8), il risentimento e l’ombrosità (come quando, a Gesù che non gli risponde, grida: “Ah, non mi parli – emoi ou laleis! Non sai che posso liberarti o farti crocifiggere?”), l’ironia (almeno secondo alcuni, nella famigerata replica a Gesù: “Che cos’è la verità?”), l’ipocrita scrupolosità (di cui testimonia tanto il sollevare una questione di competenza con Erode che il lavacro rituale delle mani, con cui crede di purificarsi del sangue del giusto condannato), la stizza (il perentorio “quel che ho scritto, ho scritto” ai sacerdoti che gli chiedono di cambiare l’iscrizione sulla croce). Ne conosciamo fuggevolmente anche la moglie, che durante il processo gli manda a dire di non condannare Gesù, “perché oggi ho molto sofferto in sogno a causa sua” (Mt. 27,19).
3. Di questa vocazione a diventare personaggio si ricorderanno Michail Bulgakov, nelle stupende storie su Pilato che il diavolo racconta nel Maestro e Margherita, e Alexander Lernet-Holenia, nella grandiosa farsa teologica inserita nel Conte di Saint-Germain. Ma ne testimonia per tempo, nei testi che ci si ostina a chiamare “apocrifi” del Nuovo Testamento (il termine, che ha finito col significare “falsi, non autentici”, significa in verità semplicemente “nascosti”), la presenza di un vero e proprio ciclo di Pilato. Innanzitutto nel Vangelo di Nicodemo (Moraldi, pp. 567-588), in cui il processo di Gesù è messo in scena in modo molto piú dettagliato rispetto ai sinottici. Quando Gesù è introdotto da Pilato, gli stendardi che i vessilliferi tengono in mano si inchinano miracolosamente davanti a lui. Nel processo intervengono anche dodici proseliti che testimoniano – contro l’accusa che Gesù sia “figlio della fornicazione” – che Giuseppe e Maria hanno contratto matrimonio, e Nicodemo, che testimonia anch’egli a favore di Gesù. In generale tutto il processo è qui reso drammaticamente come un contraddittorio fra gli accusatori ebrei, che sono nominati uno per uno (Anna, Caifa, Summa e Datan, Gamaliele, Giuda, Levi, Alessandro, Neftali e Giairo) e Pilato, che appare spesso fuori di sé ed è quasi apertamente dalla parte di Gesù, anche perché sua moglie “è devota a Dio e simpatizza con gli Ebrei”. Il dialogo con Gesù sulla verità, che nei sinottici termina bruscamente con la domanda di Pilato, qui, come vedremo, continua e acquista tutt’altro significato. Tanto piú inaspettato è il cedimento finale di Pilato alle insistenze degli Ebrei, quando preso da un improvviso timore, ordina che Cristo sia flagellato e crocifisso.
4. La leggenda su Pilato (i cosiddetti Acta o Gesta Pilati) si costituisce secondo due linee divergenti. Innanzitutto una leggenda “bianca”, attestata dalle lettere pseudoepigrafe a Tiberio e dalla Paradosis, secondo la quale Pilato, insieme a sua moglie Procla, avrebbe compreso la divinità di Gesù e solo per debolezza avrebbe ceduto alle insistenze degli Ebrei. Di questa leggenda testimonia Tertulliano scrivendo che Pilato era stato forzato a far crocifiggere Gesù dalle violente pressioni degli Ebrei (violentia suffragiorum in crucem dedi sibi extorserint), ma “essendo già nel suo intimo cristiano (pro sua conscientia christianus)” aveva informato con una lettera l’Imperatore dei miracoli e della resurrezione di Gesù (Apol. XXI, 18-24). La Paradosis (qualcosa come la “consegna”, ma anche la “tradizione”) di Pilato presuppone la redazione di questa lettera (di cui esistono numerose versioni, tutte, ovviamente, false) e comincia appunto con l’indignazione di Tiberio dopo la lettura del messaggio (Moraldi, pp. 717-723). Egli fa condurre Pilato in catene a Roma e gli chiede come abbia potuto crocifiggere un uomo che sapeva autore di cosí grandi prodigi. Pilato si giustifica accusando gli Ebrei e si dichiara persuaso che Gesù “fosse superiore a tutte le divinità che noi adoriamo”. La leggenda bianca di Pilato lo presenta cioè, paradossalmente, in qualche modo come un segreto campione del cristianesimo contro gli Ebrei e i pagani. Ne testimonia l’autodifesa che Pilato rivolge a Gesù quando Tiberio decide di punirlo con la decapitazione:
Signore, non mi confondere con questi miserabili Ebrei nella distruzione. Giacché, se io ho levato la mano contro di te, l’ho fatto forzato da quella folla di Ebrei che mi tormentava: ma tu sai che ho agito per ignoranza. Non condannarmi dunque per questo peccato, ma perdonami e cosí perdona anche la tua serva Procla, che mi sta accanto nell’ora della morte e che tu hai destinato a profetizzare la tua crocifissione. Non condannarla a causa della mia mancanza ma abbi pietà e includici fra i tuoi giusti.
E quando un Pilato ormai cristi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Nota dell’editore
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Pilato e Gesù
  6. Glosse
  7. Bibliografia
  8. Indice