Il grande salto
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L'uomo, il digitale e la più importante evoluzione della nostra storia

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L'uomo, il digitale e la più importante evoluzione della nostra storia

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“Il libro di Luca Tomassini è manifesto di una chiamata alle armi di cultura e impresa, leva che dovrebbe smuovere politica, media, società civile, scuola.” Dalla prefazione di Gianni Riotta Viviamo nel futuro che un tempo potevamo solo immaginare. Lo straordinario sviluppo tecnologico degli ultimi cinquanta anni ci ha consegnato un mondo sempre più veloce e interconnesso nel quale i cambiamenti sono continui e dirompenti. Il digitale ha cambiato per sempre le nostre vite: Internet, intelligenza artificiale e machine learning hanno consegnato al nostro tempo nuovi modi di lavorare, viaggiare, sperimentare e innovare, di agire e pensare; l’imminente avvento del 5G offrirà possibilità di sviluppo straordinarie in settori decisivi quali lavoro, scuola e sanità. Siamo di fronte a un vero e proprio salto evolutivo, una rivoluzione che non conosce confini geografici, politici o ideologici e che per la prima volta nella storia dell’umanità coinvolge l’intero pianeta. Saremo all’altezza? Certo che sì Il grande salto mostra che lo faremo proprio attraverso la nostra capacità di resistere, rischiare, innovare e immaginare il futuro, azioni squisitamente umane nelle quali nessun computer o intelligenza artificiale potrà mai sostituirci.

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capitolo 1
Ricordo del futuro
Ogni previsione si basa su modelli matematici strutturati secondo i dati dell’esperienza acquisita, o sulle conoscenze disponibili in un dato momento, e ha, naturalmente, un margine più o meno grande di incertezza e affidabilità.
Mi limiterò a osservare innanzitutto il presente, tentando di riconoscere in questo nostro tempo, rivoluzionario e rivoluzionato, il seme dello sviluppo prossimo venturo, della prossima rottura radicale; cercando di sintetizzare e unire in scenari possibili le strade che sono già aperte, già percorribili e percorse quotidianamente da tutti noi, e soprattutto di valutare gli incroci che questi scorrimenti già determinano, in un vero e proprio “cluster tecnologico secolare”.1 E osserverò anche, con particolare riguardo, il passato, sia esso più antico o recente, in una sorta di riflessione necessaria a comprendere e a far comprendere i meccanismi che lo hanno determinato nelle forme a noi note, fino a farlo diventare presente, in modo da poter dormire sogni tranquilli sulle sorti del nostro avvenire.
Ecco. Forse, questo “balzo all’indietro” suonerà un po’ strano a chi conosce e ha letto i miei libri, a chi segue le mie attività, a chi sa del mio inguaribile ottimismo progressista.
Ma non si dice spesso che la memoria è la chiave del presente, e quindi del futuro? E poi c’è il discorso sulla tranquillità. Nessuna migliore fermezza in sé stessi, nessuna più grande tranquillità del sapere chi siamo, da dove veniamo, che cosa è successo e cosa hanno fatto, pensato, immaginato e scoperto coloro che ci hanno preceduto.
La memoria è il fondamento dell’identità.
Delusi?
Parlerò inevitabilmente di futuro non come di un destino ineluttabile o fato, ma come motore del tempo presente dell’uomo.
Le nostre azioni, siano esse figlie della pura ricerca scientifica e della produzione tecnologica, siano esse concettuali o speculative, sono come il battito d’ali della farfalla mattutina che scatena il temporale vespertino. Ricorderemo quel battito quando saremo sotto gli scrosci del prossimo acquazzone, e sorrideremo, soddisfatti del nesso che ci si è rivelato e del tesoro prezioso di consapevolezza accumulata dentro di noi, che ci farà proseguire.
La piena coscienza delle nostre potenzialità e dell’impatto che i dispositivi hanno avuto e hanno su stili di vita, benessere, e salute del pianeta Terra, sono la più alta forma, a mio modo di vedere, di civiltà e cultura; l’ambito dove l’essere umano si realizza come tale.
Memoria del Futuro. Guardare indietro per guardare avanti, o anche guardare contemporaneamente indietro e avanti. Voglio celebrare in questo breve excursus la Storia dell’Umanità, che è una storia fatta di scoperte, innovazioni, accelerazioni, espansioni, meraviglie, successi, cambiamenti irreversibili (ormai ci sono addirittura corsi universitari sulla “storia dell’innovazione”!).
Quella della nostra specie è una storia che è andata avanti per balzi e rivoluzioni. Fili che spezzano e poi riannodano i frutti del passato ai frutti del presente; dialoghi tra epoche lontane, immaginate o vissute.
Così, in un giorno lontano, una mela cadde sulla testa di un giovane scienziato inglese, sfollato in campagna per un’epidemia di peste che imperversava nel suo paese, che faceva una passeggiata in giardino. Dapprima forse quel ragazzo fu vinto dal dolore ma poi quell’episodio gli permise di scoprire che esisteva una forza naturale che attirava senza sosta le cose alla terra, e vide l’esistenza della forza di gravità. Grazie a lui, grazie a quella mela matura caduta sul suo capo riccioluto, possiamo oggi pensare di arrivare con un razzo su Marte. Quello scienziato, oltre a consentirci di utilizzare al meglio un’infinità di fattori, costruire macchine e strumenti efficaci, e scoprire una componente fino allora segreta della struttura del mondo, ci salvò la vita, la salvò a tutti, a tutti i suoi nipoti e pronipoti per generazioni, e ai figli e ai pronipoti dell’intera umanità. Ci indicò, attraverso una formula elementare, elegante e semplicissima, il modo per uscire e abbandonare il pianeta Terra, vincendo l’attrazione gravitazionale, in caso di catastrofe globale.
L’episodio riportato non è che uno dei mille frammenti di questa nostra incredibile storia della quale voglio dare, nella prima parte, una rapida carrellata, senza pretese di esaustività. Scorreremo insieme liberamente i punti salienti, quelli a cui, potendo avere a disposizione una macchina del tempo, si vorrebbe ritornare, quelli dai quali fu impossibile tornare indietro e dire no, solo perché era ovvio e giusto dire di . E se, in un mio libro di qualche anno fa, mi piacque parlare di Rinascimento, ora mi sovvengono – sempre pescando dal mondo dell’arte – i tagli nelle tele di Lucio Fontana.2
Se il web, allora, seguendo questo mio “vecchio” parallelo, rassomigliava alla rete quattrocentesca,3 quello che ci aspetta d’ora in avanti va ben al di là di una semplice nuova codifica razionale del mondo reale, così come l’opera di Fontana andava oltre il dipinto, oltre il quadro da cavalletto.
La comunicazione (matrice d’ogni vera crescita ed esperienza significativa) non segue ormai più il vecchio, canonico modello dell’emittente-strumento di trasmissione-ricevente, ma i canali di scorrimento sono aperti, congiunti da snodi mobili e vivi, reattivi, intelligenti, dotati di proprie facoltà, siano essi artificiali o umani, quasi come in una rete neurale.
La Storia dell’Umanità appare allora come il dispiegamento ininterrotto della sua particolarissima intelligenza creatrice, perché ogni invenzione o scoperta (compiuta anche non strettamente o necessariamente in ambito tecnologico, si pensi alle scoperte geografiche dell’Età Moderna, si pensi alle conseguenze culturali e sociali della scoperta dell’America) è stata foriera di innovazione, ovvero di rivoluzione. E ogni innovazione è stata una sfida, posta dall’essere umano all’essere umano stesso; una conferma della propria presenza, del proprio essere nel mondo, e al contempo una riscoperta di sé e un avanzamento sociale. Tutto questo si intreccia in quella che, più di “specie umana”, potremmo ormai anche definire “rete umana”, “human world web”, tanto per rimarcare quanto non ci siano strutture, tecnologie o intelligenze aliene che governano i nostri passi e le nostre scelte. Siamo sempre stati noi, e sempre lo saremo. Eppure, ogni volta che si è aperta una porta su una diversa prospettiva, fino ad allora impensata o solo vagheggiata, ci è sembrato che il mondo crollasse, che fosse prossimo alla rovina e al disfacimento, che ci sfuggisse di mano.
Quando racconto queste cose alla mia generazione, la domanda più frequente è Si stava meglio quando si stava peggio?
Alcuni, lungo il corso della storia, di fronte alle innovazioni radicali, si sono sentiti addirittura responsabili o complici di un tracollo e hanno criticato il nuovo che avanza, quasi fosse il male assoluto, apportatore di distruzione delle certezze acquisite. Ma la Scienza ci ha insegnato che le verità rimangono tali solo fino a quando non interviene un elemento capace di riscriverle in forma più compiuta. Così, ogni volta che siamo diventati diversi, abbiamo avuto, per fortuna, anche la capacità di riconoscerci, e non abbiamo rimpianto il punto in cui siamo ed eravamo, figlio dei mutamenti passati.
La prima invenzione degna di questo nome, scoperta, o forse anche meglio sarebbe definirla “il primo gesto tecnologico”, fu l’accensione di un fuoco e il suo controllo. Bene preziosissimo, rubato agli antichi dei che, soli, ne custodivano la fiamma, fece in modo, tra l’altro, che potessimo nutrirci della carne senza rischiare di morire per le infezioni batteriche dovute alla decomposizione, e senza rovinarci i denti.
Il primo oggetto trasformato in utensile sembra essere stata una pietra scheggiata, da utilizzare come strumento di caccia. Ci fu poi l’arco che, montata questa punta scheggiata in cima a un bastone, tramite un sistema di accumulo e rilascio di energia, ci permise di scagliare le frecce a grande distanza, di mirare alla preda senza dover avvicinarci a lei facendola scappare, e che ci evitò di dover saltare addosso all’animale e di lottare con lui in un pericolosissimo combattimento corpo a corpo.
Arrivarono poi le prime forme di imbarcazioni simili a canoe e piroghe, che ci permisero la conquista dell’acqua, di laghi, fiumi e mari, e ci offrirono la possibilità di scoprire mondi lontani e diversi, incontrare persone con cui operare scambi di merci e di idee. Ci fu la ruota, che aggiunse velocità al nostro passo, e moltiplicò il peso trasportabile da uno o più cavalli, attraverso il carro.
Si perfezionarono le tecniche di allevamento e nacque l’agricoltura, che schiudeva la possibilità apparentemente soprannaturale di generare e far germogliare da un seme nella terra una pianta che dà frutto.
Cominciammo così a costruire le abitazioni, prima esclusivamente per ripararci dal freddo e dalle intemperie, poi per stare vicino alle piantagioni fino a diventare proiezione della nostra cultura e specificità individuale. Il controllo dei materiali ci consentì di creare oggetti d’uso quotidiano: vasi, ciotole, scodelle. La conquista dei metalli, rame, bronzo, ferro, portò alla creazione di strumenti (chiodi, aghi, seghe);4 con questi realizzammo strumenti ancora più grandi che ci permisero di creare forni, macine ecc.
Lavorando il vetro, costruimmo i cannocchiali, che potenziando la vista, ci permisero di scoprire il mondo intorno a noi, sopra di noi, addirittura fuori dal pianeta Terra. Oggi con i telescopi penetriamo nelle profondità siderali del cosmo e ne ricaviamo immagini suggestive che ci aiutano a dare forma ai calcoli teorici (si pensi alla recente prima fotografia di un buco nero), e mentre andiamo lontano nello spazio andiamo lontano nel tempo, sin quasi alle età iniziali dell’universo conosciuto (quasar).
Con la scoperta dei raggi X, cominciammo a osservare anche l’interno del nostro corpo, così che il movimento non fosse solo ascendente, verso le stelle, ma anche più prossimo e intimo a noi.
Ci fu un graduale spostamento del modo di ricavare energia necessaria alla produzione e al lavoro. Se all’inizio si faceva affidamento soltanto sulla forza fisica per zappare, conciare le pelli ecc., ci si affidò in seguito, con la “conquista” della stanzialità e l’abbandono della vita nomade, alla forza degli animali da traino, fino a sostituirli con macchinari appositi.
Scesi nelle profondità delle strutture fisiche, sfruttammo le inanimate particelle elementari. Compresa poi la loro pericolosità, il rischio derivato dall’impiego dell’energia nucleare, stiamo ormai levando lo sguardo alle stelle, e chiediamo al sole, al vento, all’acqua di darci la forza per proseguire nel nostro cammino.
Scoprimmo l’elettricità che ci consentì di sostituire il fuoco, e fare luce piena anche quando i nostri occhi da soli non avrebbero visto che oscurità. L’elettricità che ha rivoluzionato il nostro modo di vivere, e ci è diventata indispensabile; che ci ha consentito di trasportare l’energia e mettere in funzione macchinari dislocati nello spazio, anche a grandi distanze. Abbiamo scoperto le forze fondamentali della natura, siamo stati in grado di controllarle, di comprenderle in un sistema teorico, di piegarle ai nostri bisogni.
Costruimmo anche, ben presto, strumenti che non erano adatti a nessun lavoro produttivo in particolare, ma potevano intrattenere le divinità e procurarci piacere. Furono i primi flauti, i primi tamburi, forse ancora non diversi da una canna spezzata e da un legno cavo. Da lì, si percepì la possibilità di creare dei suoni simili al canto degli uccelli; di non essere solo i fruitori di tali melodie, ma gli artefici. Si tirarono alcune corde sopra un guscio di tartaruga e si intuì la possibilità di un sistema musicale. Da qui alla Nona Sinfonia di Beethoven, quanto tempo è passato?
L’ingegno ci...

Indice dei contenuti

  1. Il grande salto
  2. Indice
  3. Prefazione di Gianni Riotta
  4. Capitolo 1. Ricordo del futuro
  5. Capitolo 2. L’esperienza che mancava
  6. Capitolo 3. Pandemie e risposte
  7. Capitolo 4. Assaggio del futuro
  8. Capitolo 5. Fratture da colmare
  9. Capitolo 6. Lavoro
  10. Capitolo 7. Ri(e)voluzione Digitale
  11. Capitolo 8. Dati
  12. Capitolo 9. AI
  13. Capitolo 10. Con il 5G niente sarà più come prima
  14. Capitolo 11. I digitali salveranno il mondo?
  15. Nonostante tutto, continuo a essere e a dichiararmi un ottimista